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martedì 18 ottobre 2016

Tradurre in italiano Coetzee, Gordimer, Joyce, Fitzgerald, Mansfield, Morrison, Naipaul e altri. Intervista a Franca Cavagnoli


Librobreve intervista #70
 
Franca Cavagnoli
Esce per Feltrinelli il 20 ottobre Un ritratto dell’artista da giovane di James Joyce nella traduzione di Franca Cavagnoli (pp. 320, euro 9,50). Scrittrice e traduttrice, Franca Cavagnoli ha pubblicato per Frassinelli i romanzi Una pioggia bruciante (2000, Feltrinelli Zoom 2015), Non si è seri a 17 anni (2007) e Luminusa (2015). Ha pubblicato anche La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre (2012; Premio Lo straniero 2013) Mbaqanga (2013) e Black (2014). Ha tradotto e curato opere di J.M. Coetzee, Nadine Gordimer, Katherine Mansfield, Toni Morrison, V.S. Naipaul. Per Feltrinelli ha curato e tradotto anche Il grande Gatsby (2011, premio Von Rezzori 2011 per la traduzione letteraria) e i Racconti (2013) di Francis Scott Fitzgerald. 

LB: Qual è l'ultimo libro che ha tradotto e quale è stata invece la sua prima esperienza di traduzione letteraria? Che ricordo ne conserva?
R: L’ultimo è Un ritratto dell’artista da giovane di Joyce, che esce in questi giorni per Feltrinelli. È uno dei libri più importanti della mia adolescenza e desideravo tradurlo da molto tempo, ma non mi sentivo mai pronta. Anche il primo è stato un romanzo irlandese – La ragazza dagli occhi verdi di Edna O’Brien, uscito per e/o. Ricordo lo smarrimento, la perenne sensazione di non farcela, un forte sentimento di impotenza.

LB: Oggi immagino che tutti traducano direttamente al computer ma immagino altresì che non sia stato sempre così. Al di là delle possibilità di controllo e revisione globale del testo che un qualsiasi software di elaborazione testi consente, pensa che questo cambiamento abbia dei riverberi sul risultato che magari non sono ancora stati studiati? (Mi ha colpito la sua annotazione sulla "s" del nome Gatsby che, in fase di traduzione, lei digitava "z", riportando il personaggio nell'alveo del suo nome originario James Gatz. Con una penna in mano sarebbe successo?)
R: Certo che sarebbe successo. Non ha a che fare con il mezzo con cui si scrive – il computer o la macchina da scrivere. È un lapsus. Quella ‘z’ ha cominciato a venire fuori a un certo punto della traduzione, durante la scena al Plaza, ed è stata rivelatrice. Per me Jay Gatsby è tornato a essere James Gatz in quella scena lì: il sogno ormai langue e l’illusione si schianta a terra in mille schegge.

LB: Nella sua prefazione alla nuova traduzione de Il grande Gatsby uscita per Feltrinelli, lei ricorda Ricoeur e quella sorta di "elaborazione del lutto" che si verifica nell'atto di accoglienza che è ogni traduzione. Qual è stato il lutto più difficile da elaborare?
R: L’ultimo. È sempre l’ultimo. E i miei tempi di elaborazione del lutto – il travaglio del lutto – sono lunghi. Riuscirò a non sentire più questo sentimento di mestizia, il distacco da Stephen Dedalus, solo fra molto tempo. 

Giuseppe Pontiggia
LB: Sempre in quella sua prefazione veniamo a conoscenza delle preoccupazioni di Fitzgerald per i risvolti e i comunicati stampa che dovevano accompagnare l'uscita del suo libro nel 1925 (libro che - ricordiamo - ebbe inizialmente un'accoglienza tiepida). Nei contratti di traduzione che ho letto mi ha sempre colpito il fatto che il traduttore dovesse fornire, contestualmente al file finale della traduzione, anche una proposta di risvolto, la quale poteva poi essere ripresa e adattata dalla redazione, così come totalmente ignorata. Mi sono chiari i motivi "industriali" di questa richiesta. Lei che ne pensa? Chi dovrebbe scrivere i risvolti e soprattutto che cosa si dovrebbe scrivere nei risvolti? (Io ad esempio confesso che per anni ho fatto fatica ad avvicinarmi al romanzo di Fitzgerald proprio a causa delle copertine e delle quarte di copertina che mi sembravano tutte uguali, scontate e ripetitive; quando finalmente ho letto il romanzo mi è parso che tutti quei paratesti e confezioni avessero solo incrostato malamente un libro che è molto altro e forse tutt'altro.)
R: Molti editori non lo scrivono nel contratto e alcuni non lo chiedono proprio. Non dovrebbe essere imposto. Scrivere un risvolto è una delle cose più difficili: bisogna selezionare attentamente ciò che si decide di inserire quando si ha a disposizione solo una ventina di righe. Dovrebbe occuparsene l’editor o il direttore editoriale: è una grande responsabilità. Ma può farlo anche chi traduce, se se la sente. Io li faccio da molti anni e ho imparato dal mio Maestro, Giuseppe Pontiggia. Un risvolto dovrebbe dare le coordinate sul contenuto e avere un valore informativo, promozionale e critico. Dovrebbe suggerire la trama e far risaltare gli elementi forti del libro: un paio, non di più. La difficoltà sta proprio qui: è difficile concentrare tanto in poche righe. Non ricordo più chi ha detto: «Non ho abbastanza tempo per essere breve». E poi il linguaggio deve essere evocativo, espressivo. Bisogna, cioè, badare alle valenze espressive e non solo a quelle concettuali, mentre la maggior parte dei risvolti è scritta in una prosa solo mediamente comunicativa.


LB: Che la poesia non paghi è vero anche nell'ambito della traduzione. Scorrendo la sua bibliografia si nota una sostanziale assenza della poesia. Effettivamente è così? E se è così, le manca poter tradurre poesia? Quale libro di poesia vorrebbe tradurre?
R: No, non mi manca. Leggo poesia – ora sto leggendo le dolenti liriche di Herbert riunite in L’epilogo della tempesta (Adelphi) – ma non ho con la poesia la frequentazione quotidiana che ho con la prosa. Non traduco poesia perché non scrivo poesia. Scrivo e traduco romanzi e racconti. Ma ho tradotto molta prosa poetica, da Sarah Kirsch a Katherine Mansfield a James Joyce. Prima di Un ritratto dell’artista da giovane ho tradotto Giacomo Joyce, una narrazione in prosa poetica, l’unico testo che Joyce ha ambientato a Trieste e non a Dublino.

LB: Sbuffa mai mentre traduce? In quali circostanze solitamente?
R: No. Se mai mi escono sospiri di autentica disperazione, quando non capisco fino in fondo quello che leggo e la ricerca che faccio non dà frutti.

LB: Chiedo un consiglio e una regola, se è possibile parlare di regola: nel caso di una traduzione di un romanzo, crede sia meglio operare continue revisioni sull'avanzamento della traduzione o cercare di concentrare e ridurre i momenti dedicati alla revisione del testo tradotto?
R: L’uno e l’altro. Alla fine della mattinata di lavoro rileggo quello che ho tradotto quella mattina. E lo stesso faccio l’indomani prima di cominciare a tradurre: rileggo quello che ho tradotto il giorno prima. E poi, quando ho finito la traduzione, cominciano le varie revisioni di tutto il libro: con il testo a fronte prima e, dopo, più letture dell’italiano senza più guardare il testo inglese, o solo occasionalmente. Rileggo più volte, e l’ultima rilettura è sempre a voce alta.

LB: Studiare teoria della traduzione è importante, oltre ad essere affascinante. La preparazione teorica di un traduttore ne aumenta sicuramente consapevolezza e senso di responsabilità. Ci consiglia un paio di testi fondamentali, uno di base e introduttivo e uno "avanzato", già immerso in questo tema?
R: Consiglierei il mio La voce del testo (Feltrinelli, Premio Lo Straniero 2013) e Traduzioni estreme di Franco Nasi (Quodlibet).

LB: Accenniamo brevemente agli aspetti della formazione dei nuovi traduttori. Che cosa si può insegnare e che cosa non si può insegnare?
R: Si può insegnare tutto, ma chi vuole imparare deve avere un’inclinazione, sentire forte, dentro, il desiderio di tradurre.

LB: Per chiudere vorrei che ci segnalasse il lavoro di qualche giovane traduttore, magari ancora non notato, che secondo lei merita particolare attenzione. Grazie.
R: Consiglierei senz’altro i lavori di due traduttrici davvero in gamba – Stella Sacchini e Camilla Diez –, che traducono dall’inglese e dal francese rispettivamente e hanno vinto il Premio Babel per giovani traduttori nel 2014 e 2015. È un premio che abbiamo voluto istituire per dare visibilità ai giovani. Da quest’anno il premio ha cambiato nome e ora si chiama Premio Babel-Booksinitaly. Abbiamo comunicato la rosa dei finalisti proprio oggi: Stefano Musilli, Luca Salvatore e Marta Silvetti.
 

giovedì 27 giugno 2013

"Le sabbie immobili" di Giuseppe Pontiggia

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #16


Se Pontiggia vedesse il titolo che ho dato a questa rubrica forse sfodererebbe la sua personale definizione di "rileggere": "Si usa per i classici che si leggono per la prima volta". Dopo aver pensato a questo, mi sono detto che forse il titolo più corretto per questa rubrica di Librobreve sarebbe stato "Rimessa in circolazione di classici o quasi classici (dentro e fuori catalogo)." Ma non è di questo che voglio parlarvi, e ormai non cambio più il titolo. Semmai ne invento uno nuovo. Ho citato questo esempio per darvi l'idea dell'efficacia e della gittata della sua riflessione linguistica. A dieci anni esatti dalla morte di Giuseppe Pontiggia, credo siano molti i suoi libri che potremmo leggere/rileggere per rinsaldare un pensiero di grande e importante scrittore. Ma mi soffermo su uno dei suoi libri più brevi e ancor oggi efficacissimo. Per ricordarlo allora riparto da Le sabbie immobili, stupendo titolo di un libretto concentratissimo come il succo di limone. Si tratta di un volumetto davvero smilzo costituito da paragrafi assai brevi quando non da veri e propri aforismi. Comparve nel 1991 per la casa editrice Il Mulino e poi, in seguito, come tutta l'opera di Pontiggia, confluita tra l'altro anche nei Meridiani, proposto nel catalogo Mondadori assieme a titoli ancor più noti e fortunati. Chi era abituato a seguirlo sulla sua pagina di "Domenica" de Il Sole-24 ore, qui ritroverà in fondo quel Pontiggia, attento ai minimi accadimenti nel corpo della lingua italiana, e quindi della società che in quella lingua si esprime.


Ho pensato che per ricordare Pontiggia e questo libro brevissimo, avrei potuto fare a meno di dilungarmi in tanti discorsi o di usare troppi aggettivi (grande critico dell'uso dell'aggettivo fu proprio Pontiggia!). E allora credo che per una volta abbia senso ricordare l'autore e l'opera con la logica dell'avverbio passim latino, pescando un po' qua e un po' là, senza premeditazione, senza rispettare l'ordine di comparsa nel libro, ma riaprendolo soprattutto nelle pagine degli aforismi dedicate alle parole (spesso proprio agli aggettivi), alle concrezioni, ai tic, ai controsensi, magari soffermandomi su quelle più legate alla condizione "italiana" e tralasciando a malincuore il paragrafo Proustiano che a mio avviso costituisce la coppia di pagine più bella del libro. Se vi fidate, è semplicemente un tralasciare per invitarvi con più forza a riprendere in mano Le sabbie immobili, così come le altre sue opere. Buona lettura. 

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ONESTAMENTE Più che un avverbio è una perorazione, un appello. Fa pensare immediatamente al suo contrario, come le donne che invocavano il pudore quando stavano per perderlo.

SINCERAMENTE Lo stesso che onestamente. Sono sinceramente contento per te, credimi. Come credergli?

REALIZZARSI Aspirazione diffusa. Temibile soprattutto quando si realizza. Non basta a distogliere gli altri dallo stesso obiettivo.

GIOVANE RAGAZZA Per distinguerla da vecchia ragazza.

AEROMOBILE Termine usato dagli altoparlanti negli aeroporti italiani, quando l'aereo ritarda. Esprime tecnicità, efficienza, rinnovamento.

CASUAL Il contrario di casuale. Classico di massa. Stile casual. Ha influenzato anche la letteratura. 

CULTURA Facile da definire. Tutto quello che non pensiamo sia cultura è cultura.

SERVOSTERZO Amato dagli automobilisti. Dà agli italiani l'illusione di avere quello che non hanno mai avuto.

MEDIA Vanno pronunciati "midia" per differenziarli dai mezzi di comunicazione di massa.

DIALOGO Ricercato da tutti, purché non sia reciproco.

DEVO DIRE Di successo recente quanto fulmineo. Esprime acquiescenza a uno stato di necessità. Esempio di sopraffazione dimessa. Democratico.

VINCENTI Basta guardarli.


CARISMA Parola che lo sta perdendo, per averlo distribuito a troppi.

RECITARE Come recita la guida, la legge, la didascalia. In un paese di attori, anche l'orario ferroviario recita.

QUI LO DICO E QUI LO NEGO C'è tutta l'Italia.

lunedì 28 gennaio 2013

Guido Morselli quarant'anni dopo la morte. Intervista con Valentina Fortichiari

Librobreve intervista #10

Cade quest'anno il quarantennale della morte di Guido Morselli. Quest'intervista vorrebbe essere un piccolo approfondimento di alcuni aspetti della sua opera e allo stesso tempo un invito alla lettura. Lo facciamo proprio con chi, circa trent'anni fa, scrisse Invito alla lettura di Guido Morselli (Mursia). Valentina Fortichiari, ora all'ufficio stampa di Longanesi, ha curato per Adelphi diversi libri dello scrittore nato a Bologna e ritiratosi poi - come noto - in provincia di Varese. Ripercorrendo alcune vicende biografiche e bibliografiche ricaveremo un ritratto di scrittore la cui opera non accusa molto il trascorrere dei decenni, un artista colmo di stile, affamato di creatività vera (non certo quella che oggi viene passata per "creatività"). La tenuta delle sue opere, in un momento in cui anche i romanzi e le poesie sembrano portare stampigliata la data di scadenza "Best before", si sostanzia nello stile e nella sua ricerca inquieta e dovrebbe farci pensare ad un classico. L'intervista si chiude su alcuni consigli di lettura di libri (brevi) di Morselli e mi auguro costituisca una cavalcata piacevole tra domande e risposte, sia per i morselliani della prima ora sia per chi non ha ancora letto nulla di questo scrittore.

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LB: Il 2012, anno del centenario della nascita di Morselli, mi pare trascorso senza particolari iniziative. 
RISPSOTA: Affatto. Il Premio dedicato a Morselli lo ha ricordato a Varese; a Milano è stata organizzato un ricordo alla Sala del Grechetto (in collaborazione con il Premio Chiara e l'Unione  Lettori) con la sottoscritta, Giulio Giorello e Romano Oldrini.

LB: Quest'anno cade invece il quarantennale della morte dello scrittore, una ricorrenza assai più significativa, sia perché dalla morte inizia la sua vicenda editoriale sia perché, a mio personalissimo avviso, le ricorrenze delle morti hanno forse un po' più senso di quelle delle nascite. Le risultano iniziative particolari in programma per questo 2013 e degne di menzione? 
RISPOSTA: Mi ha fornito un'ottima idea.

LB: Quarant'anni fa il suicidio dello scrittore. Di lì, grazie anche all'interessamento dell'amico Dante Isella, cominciò la vicenda editoriale postuma con Adelphi, con pubblicazioni che si sono succedute a ritmo costante per tutto il secondo lustro degli anni Settanta e poi, rallentando, anche negli anni Ottanta e Novanta. Si può affermare che lei ha seguito costantemente le vicende dello scrittore, sin da un precoce Invito alla lettura uscito da Mursia: può tratteggiare i passaggi più significativi dell'interesse che ha suscitato l'opera di Morselli nel suo complesso o determinati titoli in particolare? 
RISPOSTA: Oltre a Invito uscì da Rizzoli Immagini di una vita, da me curato, con uno scritto di Giuseppe Pontiggia (2001). L'interesse più significativo nei riguardi dello scrittore ha accompagnato di anno in anno la pubblicazione delle sue opere soprattutto da parte di Adelphi (dagli anni Settanta a fine Novecento). Dal famoso saluto di Giulio Nascimbeni "È nato un Gattopardo del Nord" (anni '70), ai tanti contributi critico-giornalistici, un elemento si può notare: è mancato un vero studio ponderoso, una analisi corposa e esauriente. Anche di recente saggi continuano a uscire, su aspetti specifici, e qualche editore minore (penso alle Nuove Edizioni Magenta di Varese) propone al pubblico saggi di Morselli (Realismo e fantasia), epistolari. Ma al momento  il 'caso' Morselli pare languire. Per ragioni soprattutto di costi Adelphi ha interrotto l'Opera Omnia nella collana La Nave Argo. Peccato: Guido Morselli sta degnamente tra i grandi del Novecento, ma è come se lo si fosse relegato in una nicchia minore, nonostante l'attualità e la 'tenuta' della sua narrativa. Come se si continuasse  perversamente a ignorarlo, come fu quando Morselli era in vita.

LB: Non è difficile immaginare il perché dei tanti rifiuti editoriali ricevuti da Morselli in vita, sui quali si concentrano, a detta di molti, anche i moventi del suicidio. Con il senno del poi, riconosciamo che la sua prosa e i suoi interessi speculativi erano sostanzialmente assai lontani dai binari principali della letteratura italiana del dopoguerra, quel solco netto neorealista e quella traccia indelebile depositata segnatamente da due organizzatori di cultura come Calvino e Vittorini. Anche per questo, oggi, i suoi interessi e la sua prosa ci appaiono assai più duraturi, intramontabili, caldamente attuali. Oggi non possiamo che rimanere affascinati da un autore che in quegli stessi anni si spendeva addirittura nelle ambientazioni future di Roma senza papa e in una bellissima storia controfattuale dedicata ad un evento capitale come la Prima guerra mondiale (mi riferisco naturalmente a Contro-passato prossimo). Si avvicina anche il Centenario della Prima guerra mondiale. Potrebbe ripercorrere il senso di quel libro e di quella vivida ricostruzione dell'Edelweiss Expedition? 
RISPOSTA: Prima di tutto ribadisco che sarebbe sbagliato interpretare il suicidio attraverso la delusione per i numerosi rifiuti editoriali. L'ho sempre sostenuto e ne sono tuttora convinta. Nel gesto drammatico del suicidio entrano motivazioni molteplici, complesse, non riconducibili a questa sola spiegazione. E poi, sicuramente, la sua formidabile capacità di 'stare fuori' dalle mode, di precorrerle, di essere totalmente inassimilabile al suo tempo, è la stessa che oggi lo fa suonare straordinariamente moderno e attuale. Venendo a Contro-passato prossimo, fu una trovata estremamente felice, raccontata con la leggerezza densissima della sua prosa elegante, ironica, quasi 'britannica' nella compostezza  quasi trasparente. La fantasia non faceva difetto a Morselli, ma Guido era anche capace di 'documentarsi' con acribia rara e sapeva dare vita a un affresco storico (anzi antistorico, una ricreazione della Storia tramutata in controstoria) dove personaggi reali stavano sulla pagina accanto a protagonisti totalmente di invenzione. Forse questo può ben dirsi il suo romanzo più compiuto e ricco, ma quanta fatica, quante 'battaglie' editoriali dovette costargli: addirittura un Intermezzo  tra l'Autore e il suo Editore, che fu scritto per 'ragionare' sul libro ma che alla fine non produsse i risultati sperati. Anche Contro-passato non arrivò alla pubblicazione.

LB: La grande lezione di Morselli s'attesta, tra le altre cose, nella rivisitazione del romanzo storico, non certo nell'accezione manzoniana dell'espressione. Crede sia questo uno dei punti-cardine da dove ripartire ogni volta che si prende in considerazione la sua opera, pure ad un livello scolastico e didattico? Ma si studia (si sfiora) Morselli a scuola, oggi? 
RISPOSTA: Si studia a livello universitario: ancora arrivano da me studenti con tesi.  Ma non direi che Morselli si è limitato a una rivisitazione del romanzo storico: intanto i generi nei quali si è cimentato attestano sconfinamenti nel teatro, nel racconto, nella saggistica, nel giornalismo. Se poi stiamo solo sulla narrativa, i romanzi hanno spaziato nella ricchezza di spunti e di tematiche. Morselli infine è stato fortunatamente immune dal virus autobiografico (persino nel Diario parla poco di sé e molto della realtà che lo circonda, di letture e di lavori intrapresi; insomma un diario di scrittore). 

LB: C'è stato appunto un Morselli giornalista e saggista che va tenuto sempre a mente. Penso ad esempio alla sua recensione del fortunato Il caso e la necessità del biologo Jacques Monod. Si può forse far discendere il Morselli scrittore dai saggi importanti che fece uscire già negli anni Quaranta, anche per i continui rimandi metaletterari e metafilosofici. Può sintetizzare i momenti salienti del percorso di giornalista durante il Ventennio fascista e saggista poi? 
RISPOSTA: La parentesi giornalistica poco ha contato nel ventennio fascista: non era giornalistico il passo della sua scrittura più felice, la pasta della scrittura.  Articoli e saggi gli servirono in un certo senso per allenare la scrittura, per cimentarsi come era naturale in percorsi ovvii per un umanista e per un giovane che aveva percorso l'Europa nel classico Grand Tour e, dopo la laurea in Giurisprudenza, seguiva  le sue inclinazioni naturali più nel versante letterario ma era attento a tutti i fermenti culturali della sua epoca. Se saggi come Realismo e fantasia (il più ricco ma anche il primo, che contiene in nuce molti dei temi morselliani sviluppati poi nei romanzi),  Fede e critica,  persino il brevissimo e lucido Capitolo breve sul suicidio mostrano una intelligente capacità argomentativa, non sono però tra le opere migliori di Morselli, che resta narratore puro e che, a suo dire, volle sempre considerarsi dilettante, avverso allo specialismo imperante.  La sua narrativa ha conosciuto fasi anche di interruzione, pause e riprese, ma è proprio la matura stagione dei grandi romanzi (dagli anni Sessanta sino alla sua scomparsa) a indicare anche le preferenze dello scrittore.

"Casina rosa" (foto Chiodetti)
LB: Alla lettura di alcune note biografiche, colpisce l'apertura di Morselli anche al teatro e al cinema. Quel che ne ricaviamo è un artista sempre pressato dallo sforzo della ricerca della forma più congeniale. Concorda? Può brevemente tornare anche sugli esiti delle opere di teatro e sui tentativi di sceneggiature cinematografiche? 
RISPOSTA: Certo che concordo: Morselli aveva una 'fame' di creatività che comprendeva tra l'altro anche l'uso della immagine. Si cimentò nella fotografia (con esiti eccellenti) e nell'uso della cinepresa. Del resto nei romanzi le immagini sono determinanti e quasi tratteggiate con l'occhio di uno sceneggiatore. Ovvia dunque anche la sua curiosità per tali generi: i suoi lavori rimasero incompiuti in parte, non rivisti e non sistemati per la pubblicazione o diffusione quanto i romanzi. Evidentemente lo stesso Morselli era consapevole di non aver raggiunto risultati soddisfacenti. Propendo a considerarli lavori minori, nel rispetto delle intenzioni  dell'Autore. Non credo neppure che Morselli ne avrebbe autorizzata la divulgazione.  

LB: A lei va riconosciuta una sorta di "lunga fedeltà" all'autore. Il suo Invito alla lettura di Guido Morselli (1984), assieme all'altrettanto efficace libro di Simona Costa per il Castoro (1981),  costituisce un caposaldo. Da dove nasce il suo affiancamento pieno e duraturo alla vicenda editoriale di Morselli, che poi sfocia nelle varie curatele delle opere pubblicate da Adelphi? 
Nasce dalla fortuna di ricevere un compito da Adelphi all'inizio dell'avventura morselliana (1975, appena laureata): quello di inventariare tutti gli scritti rimasti nei vari scatoloni custoditi a Varese da Maria Bruna Bassi. Quel compito mi permise di entrare nel mondo di uno scrittore tanto profondamente: una esperienza unica, che ancora perdura.

LB: Pensare al suo libro e a quello di Simona Costa è per me un'occasione di riflessione su questo genere di collane (rispettivamente di Mursia e de La Nuova Italia che li ospitavano), le quali oggi non godono più di molta considerazione. Sotto le vesti di  "libri di servizio" si nascondevano dei piccoli capolavori di sintesi e di impegno critico, ai quali oggi sarebbe stupido rinunciare in un panorama di grande disorientamento. Nella realtà mi pare che molti snobbino questo genere di collane (ed è il motivo per cui non si vendono/vedono più). Vorrei un suo parere a riguardo, dal momento che l'editoria costituisce anche lo scenario del suo lavoro attuale. 
RISPOSTA: È vero: si trattava di studi seri, di primo approccio alla conoscenza degli scrittori, e forse proprio per questo non del tutto sufficienti. L'Editoria conosce momenti, stagioni. Evidentemente quelle pubblicazioni non assolvono più un compito che oggi si preferisce affidare alla lettura diretta. Non bisogna stupirsene. Oggi anche l'insegnamento è cambiato. Bisogna adeguarsi a una fruizione diversa dei capolavori. Del resto basta scorrere le classifiche, specchio dei gusti contemporanei del pubblico, delle mode editoriali. L'Editoria ha chiuso il 2012 con una crisi preoccupante, che riflette la crisi più ampia del Paese. Per sopravvivere bisogna rivedere i criteri, le scelte e adeguarsi. Morselli si chiederebbe se il romanzo è morto. Il romanzo classico, forse.  Si cimenterebbe con il genere 'giallo', mi sono sempre chiesta?

LB: Sua è anche la cura dei diari dell'autore. In quale rapporto di illuminazione reciproca stanno i diari e le opere dell'autore, se possibile con riferimento particolare a quell'opera "conclusiva" ed eccezionale che si incontra in Dissipatio H.G.? 
Come ho detto i numerosi quaderni, dai quali si è ricavata la scelta pubblicata da Adelphi, sono in prevalenza diari e appunti di uno scrittore e possono illuminare sul retroterra culturale di Morselli, sugli anni di formazione, sul percorso di gusto e gli itinerari della sua mente ondivaga, onnivora, mobilissima. Alcuni libri sono nati sui diari (Uomini e amori). Per altri i richiami diaristici indicano la direzione degli studi, delle suggestioni, delle letture che li hanno accompagnati. E infine anche, ma in misura minore, degli stati d'animo. 

LB: Può ricostruire a grandi linee il profilo della fortuna di Morselli al di fuori dei confini italiani? Esiste qualche isola di attenzione particolare che vale la pena menzionare?
RISPOSTA: Morselli è stato ampiamente tradotto all'estero, in Europa ma non solo. Ricordo un inglese di Durham, pazzo di Morselli, che nel tradurre i suoi romanzi mi faceva molte domande per meglio capire l'uso di certi termini italiani. Venne in pellegrinaggio a Gavirate. Bisognerebbe però consultare tutte le edizioni e la storia dei diritti venduti da Adelphi e qui mi fermo. Un percorso che non ho seguito capillarmente. Come anche l'esito della fortuna critica all'estero.

LB: Trovo che uno degli aspetti più interessanti sia il ricorrere di quel ragionamento percussivo attorno ai tamburi dello specialismo e del dilettantismo. Soprattutto il ricorrere del "dilettantismo", riferito al proprio percorso, è a mio avviso uno dei lasciti più potenti della riflessione morselliana. Qual è il suo pensiero a riguardo? 
RISPOSTA: Concordo in pieno. Questa sua visione culturale e insieme filosofia di vita, questa sua capacità di understatement, il non prendersi mai sul serio e il ritenersi comunque sempre un dilettante, è ciò che ha permesso allo scrittore  di toccare vette alte con la sana consapevolezza della relatività del tutto. Oggi Morselli avrebbe tuonato contro l'esasperante specialismo, l'ipertecnologia che sta invadendo campi anche letterari. Il libro in digitale gli avrebbe fatto orrore. Non si sarebbe piegato alle attuali logiche del mercato, alle leggi del marketing, e via di seguito.

LB: Se dovesse oggi, a distanza di anni, "invitare alla lettura" di Morselli menzionando tre vettori di interesse verso la sua opera, cosa direbbe ai lettori di questo blog?
RISPOSTA: Consiglierei di leggere ancora i libri di Guido Morselli per l’intelligenza, la molteplicità dei mondi raccontati, la prosa perfetta.

LB: Quale il più bel "libro breve" di Morselli? 
RISPOSTA: Comincerei da Divertimento 1889, un piccolo gioiello, e se il virus attecchisse continuerei con Dissipatio H.G. e poi percorrerei tutta la parabola creativa morselliana. Certamente la noia non starebbe mai in agguato.