Libri brevi che mi piacerebbe scrivere o trovare #7
In questo spazio così titolato provo, di tanto in tanto, a fermare pensieri che mi vengono spesso su libretti che mi piacerebbe
scrivere se avessi capacità, tempo, spazi o persino, ancora più
presuntuosamente, un committente. Oppure, meglio ancora, librini che
vorrei trovare già scritti brillantemente da altri. Libri piccoli, che
provino ad affrontare temi o autori che già hanno una bibliografia, ma
con la voglia di provare a dire cose nuove, magari correndo qualche
rischio. Non occorre scrivere tanto, pensate a certi articoli filosofici
brevissimi, a come hanno cambiato tutto. Scrivendone così brevemente
qui, mi faccio passare l'idea di intraprendere tortuosi percorsi
inconcludenti.
Appartengo alla popolazione dei laureati in Scienze della comunicazione, forse il corso di laurea più bersagliato e stigmatizzato d'Italia. Ci troviamo davanti a un paradosso: questo corso non ha saputo comunicare se stesso, tanto che molti - compresi gli imprecisissimi italici giornalisti della carta stampata - lo chiamano "scienza delle comunicazioni" o "scienze delle comunicazioni". In questo post non intendo addentrarmi sulle statistiche relative all'impiego di chi è laureato in scienze della comunicazione o sulla sensatezza del piano di studi. Immagino ci siano tanti occupati, disoccupati e inattivi per ogni corso di laurea attivato negli ultimi anni in Italia. La cosa che ogni tanto mi chiedo è come può questo corso di laurea essere via via diventato lo zimbello fra tutti i corsi di laurea, esempio paradigmatico del mutamento peggiorativo dell'università italiana, tanto da guadagnarsi epiteti e varianti come "scienze delle merendine" o "scienze della parlantina". Inizialmente è stato sicuramente osteggiato dall'imprecisissima corporazione giornalistica (vedi sopra), poi a livello trasversale tutti quanti si sono divertiti, in un crescendo assai conformista che non dovrebbe stupirmi in quanto comune, a dirne peste e corna, con una facilità che è simile a quella che comunemente si chiama in causa quando si dice "sparare sulla croce rossa".
Ho detto che non mi sarei addentrato ad analizzare il piano di studi, anche perché da quel che so questo corso aveva accenti assai diversi a seconda dell'ateneo in cui veniva attivato. Io ad esempio l'ho frequentato a Padova e posso dire che ho avuto docenti preparati. Una volta il più importante tra i professori che ho avuto disse, quasi per celia, che a Padova il corso era stato attivato da un gruppo di ubriaconi una sera a casa di qualcuno in un clima festaiolo. Non mi importava se fosse vero: in fondo, quale miglior viatico? Dico solo che a ben vedere forse non ha giovato alla storia del corso di laurea la presenza "organizzatrice" di Umberto Eco e forse nemmeno il volgere in negativo del paradigma (paradigma?) strutturalista nel campo delle scienze umane (eppure si studiava tanto De Saussure e Barthes quanto Adorno e Horkheimer). Se fossi banalmente mosso da istinti comparativi, potrei chiedere a quanti lo chiamano in causa con compiaciuta ironia, per ripicca, quanti laureati in lettere brillanti hanno incontrato nella loro vita, quale trasformazione abbia portato al pensiero il numero non esiguo dei laureati in filosofia, quale spinta innovativa ed economica abbia portato il numero dei laureati in economia oppure quale ingegnere vi abbia rapito con un'intelligenza senza pari. Sarebbe un esercizio insulso e una provocazione stupida. Ciò che non riesco però a spiegarmi bene è come e perché un singolo corso di laurea, un corso come altri e per di più istituito a numero chiuso in molti casi (quindi con un numero non esagerato di laureati), possa essere diventato paradigmatico di un certo modo di riferirsi alla cattiva università. Ad un livello pratico-organizzativo posso dire questo: dove ho studiato io si producevano molti testi scritti e il numero maggiore dei respinti si trovava proprio nelle prove di scrittura. In quante facoltà si scriveva prima della tesi? Pochissime e si tratta di un problema arcinoto.
Sarebbe interessante che qualcuno (magari proprio un laureando in scienze della comunicazione) indagasse sulle cause di questa cattiva fama, insomma, vorrei capire perché si va a parare sul caso particolare e non si resta sulla cattiva fama che investe il sistema universitario e scolastico nel suo complesso, il quale non può limitarsi a cercare facili capri espiatori da sbeffeggiare. Scrivendone ora dico anche questo: ho l'impressione sempre più netta che questa cattiva fama tragga origine della "corporazione" giornalistica la quale, agli albori del corso di laurea in Scienze della comunicazione, non tardò a mettere in opera una vera campagna diffamatoria, probabilmente dettata dalla più banale delle ragioni: la paura di una nuova concorrenza giovane, magari preparata, magari meno imprecisa. Fra l'altro molte teorie impartite a futuri insegnanti tramite SSIS SOS o TFA si insegnavano regolarmente a Scienze della comunicazione, che tuttavia non prevedeva alcun sbocco nell'ambito dell'insegnamento. Di sicuro Scienze della comunicazione ha scontato la mancanza di heritage e si sa che quello di heritage è un concetto "fuffoso" ma portante, tanto per vendere un corso di laurea quanto per vendere un paio di jeans. Molti corsi erano mutuati da corsi di laurea esistenti da decenni ai quali non era riservato un così feroce e sarcastico trattamento. Non si capisce perché questo corso, spesso a numero chiuso, dovesse diventare la quintessenza del peggio. Nell'impolverato bricolage dell'università italiana il corso di laurea in Scienze della comunicazione non è affatto lontano da quanto è accaduto in tutta l'università italiana nel suo complesso e pochi corsi di laurea, al di fuori di alcuni corsi scientifici, si sono attrezzati per interpretare il mondo di oggi. Da par mio, se mi fossi iscritto a scienze geologiche come inizialmente pensavo, ora sarei forse più cool. Mi chiedo poi: se avessi fatto fisica andrei in giro con quella rarefatta, indetermintata e distratta eleganza di certi fisici che sembrano sempre con la testa altrove? Mi piacerebbe. Confesso che nei momenti di maggiore sconforto più che alla fisica penso all'educazione fisica e mi domando se iscrivermi a scienze motorie e trasformare un po' la mia vita diventando un prof di ginnastica delle medie che insegna lo stile Fosbury.
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