L'editore Pacini ha pubblicato di recente uno studio di Silvia Sferruzza intitolato Vocativo. Andrea Zanzotto sul margine. Introduzione e commento alle poesie (pp. 208, euro 18). Il libro aggiunge un elemento importante alla bibliografia zanzottiana. Vocativo, l'opera di Zanzotto presa in esame da Silvia Sferruzza, uscì esattamente sessant'anni fa nella collana "Lo Specchio" di Mondadori, terzo libro di poesia dopo Dietro il paesaggio (Mondadori, 1951) e Elegia e altri versi (Edizioni della Meridiana, 1954). Propongo di seguito un'intervista con l'autrice del saggio.
R: Dominante è il filone che ha voluto vedere in Andrea Zanzotto un ermetico: se tale etichetta può avere qualche efficacia per la prima delle sue raccolte, Dietro il paesaggio (Mondadori 1951), peraltro in un’ottica sempre propedeutica rispetto agli sviluppi successivi, la sua estensione a Vocativo risulta un’inerzia critica che compromette la reale comprensione dell’opera. Tra le significative eccezioni, mi piace ricordare la precoce intuizione di Giorgio Caproni, che subito dopo la sua pubblicazione, nel novembre 1957, definisce Vocativo «uno dei libri più belli del dopoguerra, riconoscibilmente nuovo».
LB: Pure la titolazione dell'opera ha avuto una certa fortuna e eco. Pensiamo ad esempio a Ablativo di Enrico Testa (Einaudi) o al più recente Ottativo di Daniele Poletti (Prufrock spa). Qual è la tua lettura di questo titolo?
R: Prima c’era stato anche il Vocativo per un’elegia di Libero De Libero. Zanzotto fa riferimento alla grammatica come modello di relazione: il caso vocativo non ha desinenze proprie, non costruisce rapporti sintattici. È il linguaggio a un livello minimo. Il problema che questa raccolta si pone con urgenza è quello del dialogo: le invocazioni sospese che costellano le varie poesie lo ricercano ardentemente, corteggiano l’interlocutore chiamato in causa, ma una risposta non arriva mai.
La poesia Caso vocativo esplicita il riferimento alla categoria grammaticale del caso, affiancandola, in una delle tante associazioni etimologiche di Zanzotto, all’accezione di caso come accidente fortuito, congiuntura occasionale. I due significati si intrecciano: l’invocazione disperata, smaniosa e autoreferenziale («O miei mozzi trastulli / pensieri in cui mi credo e vedo, / ingordo vocativo / decerebrato anelito») apre la possibilità di sciogliere i nodi della comunicazione («la mia / lingua disperando si districa»): rivolgendosi alla lingua stessa, paradossalmente il poeta ritrova la capacità di parlare. Oltre a una funzione logica, dunque, il vocativo assume una funzione gnoseologica, esistenziale, epifanica.
Credo inoltre che in una poesia così ricca di legami fonici come quella zanzottiana, abbia un valore centrale anche la voce: il vocativo è una richiesta che avviene attraverso l’oralità, con il suo esitare, il suo rompersi, la sua carica di emozioni, la sua irrazionalità traboccante oltre il controllo esercitato dalla scrittura.
LB: Ti soffermi sulle due edizioni della raccolta. Quali sono le principali note da evidenziare per distinguere l'edizione del 1957 da quella successiva del 1981?
R: Nella seconda edizione Zanzotto aggiunge un’Appendice di sei testi inediti, composti nello stesso periodo del nucleo originario. Inserendosi nel delicato equilibrio tra le due sezioni preesistenti (Come una bucolica e Prima persona), si tratta di poesie che ne riprendono la dialettica interna, come in un compendio finale, declinando ancora i temi dell’inattingibilità del paesaggio, della ricerca dell’altro, dell’impossibilità della parola.
Inoltre la volontà da parte dell’autore di ritornare sul discorso di Vocativo, ampliandolo dopo più di vent’anni, conferma la rilevanza di tale discorso all’interno del suo percorso poetico complessivo.
Georges Bataille |
R: Gli autori citati sono legati tra loro da una serie di corrispondenze tematiche e biografiche; testimoniano, seppure certamente in modo diverso, quanto sia cruciale per la cultura francese tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Novecento la questione della contrapposizione tra l’io e l’altro – dove per “altro” si considera di volta in volta il mondo, la realtà, l’inconscio. Al centro di questo nucleo problematico, di questa “costellazione” di pensiero, ci sono le riflessioni di Jacques Lacan sull’inconscio “strutturato come un linguaggio”, sul soggetto diviso e sull’essere come manque à être.
Se i legami tra la poetica zanzottiana e la filosofia lacaniana sono stati ampiamente studiati dalla critica, meno documentate sono le risonanze con le opere di Henri Michaux, Michel Leiris e Georges Bataille, su cui è interessante invece soffermarsi dato che Andrea Zanzotto le legge attentamente – proprio nell’epoca di gestazione di Vocativo – e le traduce, facendosi dunque portavoce della loro diffusione in Italia.
Trovo tale punto di vista importante, oltre che per l’interpretazione dei componimenti, anche per smentire l’immagine spesso invalsa di uno Zanzotto isolato nella sua Pieve di Soligo, quando invece il suo percorso poetico ha forti caratteri di apertura agli stimoli internazionali, che anzi rielabora, mette in discussione e risolve in modo del tutto originale.
LB: Procedi per commenti ai singoli testi e poi per una critica all'opera generale. Cosa consente a Vocativo di essere "libro" e non, semplicemente, una "raccolta" di testi? Cosa consente, detto diversamente, l'organicità e la tenuta dell'opera?
R: La poesia di Zanzotto è un ecosistema i cui diversi elementi sono legati da un delicato equilibrio. Questo vale sia per i rapporti tra i diversi libri sia per i rapporti tra le poesie di ogni libro: Vocativo, nello specifico, registra come un sismogramma le oscillazioni tra esaltazione e depressione, tra contatto e perdita, tra dialogo e disperata preghiera; le une implicano sempre le altre.
Ecco perché ho cercato di valorizzare le corrispondenze intratestuali, lo sviluppo del ragionamento, il discorso di fondo organico e coerente – anche se non privo di intenzionali contraddizioni – che tiene insieme i vari componimenti proprio come organismi viventi.
LB: Hai in programma altri studi su Zanzotto?
R: Mi sono concentrata sul rapporto tra Zanzotto e la costellazione francese individuata – Michaux, Leiris, Bataille – attraverso alcuni approfondimenti che mi piacerebbe pubblicare.
Sarebbe interessante anche studiare lo Zanzotto critico, capace a mio parere di intuizioni di estrema acutezza.
LB: Per chiudere ti chiedo la poesia di Vocativo che potrebbe stare bene come congedo da questa intervista.
R: Amo molto Idea, che apre la seconda sezione della raccolta (Prima persona). Il soggetto riflette sull’autoreferenzialità della propria mente: il mondo è una sua idea, il pensiero e il linguaggio occultano la realtà oggettiva, la ricchezza del paesaggio è ormai perduta, tuttavia la poesia persiste, si ostina a non tacere, è una “disavventura” che torna sempre a riaccendersi.
Idea
E tutte le cose a me intorno
colgo precorse nell'esistere.
Tiepido verde il nitore dei giorni
occulta, molle li irrora,
d'insetti e uccelli s'agita e scintilla.
Tutto è pieno e sconvolto,
tutto, oscuro, trionfa e si prostra.
Anche per te, mio linguaggio, favilla
e traversia, per sconsolato sonno
per errori e deliqui
per pigrizie profonde inaccessibili,
che ti formasti corrotto e assoluto.
Anche tu mio brevissimo nitore
di cellule mentali, tronco alone
di gridi e di pensieri
imprevisti ed eterni.
Ed esanime il palpito dei frutti
e delle selve e della seta e dei
rivelati capelli di Diana,
del suo felice dolcissimo sesso,
e, agra e vivida, l'arsura
che all'unghie s'intromette ed alle biade
pronte a ferire,
e il mai tacente il mai convinto cuore,
tutto è ricco e perduto
morto e insorgente
tuttavia nella luce
nella mia vana chiarità d'idea.
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