Si stima che l'universo abbia circa 13,8 miliardi di anni. Di tempo ne ha avuto (e ne avrà, presumibilmente) per infilare in qualche altrove alcune sorprese per l'uomo di scienza, il quale da circa un secolo lo studia grazie alla grande mole di dati provenienti dalle evidenze sperimentali della radiazione elettromagnetica (per tanti secoli invece lo studio dell'universo si era fondato solo su osservazioni ricadenti nello spettro del visibile). Il fatto che le sorprese siano modellate su delle aspettative che rimandano agli umani concetti di "vita", "forme intelligenti", "linguaggio", "somiglianza", "abitabilità" ha a che fare con l'immaginazione umana, la quale, come noto, è spesso fervida proprio tra gli uomini di scienza. Le domande che ne derivano sono sempre molteplici, ma pur sempre incomplete. Quelle che toccano la nostra immaginazione suonano spesso così: finisce l'universo da qualche parte? Quando termina la creazione? Possibile che siamo soli e che tutto quello che ci piace chiamare vita abbia sede in un foruncolo di questo universo, che tra l'altro si sta espandendo? E poi, perché siamo più propensi a pensare di scoprire qualcosa di somigliante anziché qualcosa di completamente diverso e, nella sua diversità, sconvolgente? Siamo sicuri di conoscere bene il nostro "cortile di casa", ovvero il sistema solare? I fisici, compagni di viaggio stretti degli astronomi, non amano concetti come quello di infinito (in questo sono diversi dai matematici, che pur trattano diversi infiniti) e qualsiasi loro elegante modello esplicativo ha sinora cercato di espungere l'infinito. E più si scopre sul conto dell'universo più s'ingigantisce il profondo senso di ignoranza che ci attanaglia, tanto che l'aggettivo "oscuro" è diventato protagonista per qualificare parole come "materia" e "energia". Da un punto di vista strettamente linguistico, pare così strano trovarlo impiegato in contesti scientifici, dove da sempre si privilegia ciò che è chiarezza, rigore. Inoltre, da qualche tempo, all'idea di universo si affianca l'idea di molti universi, anche se mancano per forza evidenze scientifiche su questa ipotesi, non fosse altro che davanti all'idea di molti universi sarebbe davvero un casino pazzesco e verrebbe meno anche l'idea di scienza e metodo sperimentale su cui lo sviluppo delle conoscenze ancora si fonda.
Dicevamo 13,8 miliardi di anni, una stima. Iniziamo così a familiarizzare con numeri e entità che mettono a dura prova la nostra immaginazione, poiché sono oggetti mentali difficili e all'ordine del giorno nel libro di Andrea Cimatti di cui si parla oggi, che comunque si pone al lettore in un'ottica pienamente divulgativa (per capirsi, non contiene formule, al massimo vi troverete le quattro operazioni fondamentali e in linea di massima può essere affrontato da qualsiasi lettore curioso). L'edificio delle nostre conoscenze astronomiche trova ancora le proprie fondamenta nella teoria del Big Bang. Chiedersi che cosa ci fosse prima del Big Bang non ha molto senso, poiché è col Big Bang che nasce il tempo e quindi anche il concetto di prima. Il sole, la stella che consente la vita nel pianeta Terra, dovrebbe trovarsi a metà della sua vita e può contare su circa altri 5 miliardi di anni prima di iniziare la propria turbolenta fase finale (comune a tutte le stelle); posto che si possano sfruttare tutti questi anni per lo sviluppo della scienza astronomica e della cosmologia e posto che determinate estinzioni non si siano già verificate, c'è abbastanza tempo per pensare che altre teorie possano affacciarsi e falsificare la teoria dell'origine sulla quale ci appoggiamo e che fa scattare il concetto di tempo. Del resto, come scopriremo in un altro libro di cui si scriverà tra qualche giorno, Storia del dove di Tommaso Maccacaro e Claudio M. Tartari, ogni secolo ha spostato di molto i confini della conoscenza astronomica e cosmologica. L'universo oscuro. Viaggio astronomico tra i misteri del cosmo (Carocci pp. 172, euro 14) scritto da Andrea Cimatti, docente di Astronomia e Formazione ed evoluzione delle galassie all'Università di Bologna, non è certo un libro che pone il problema della falsificazione della teoria del Big Bang, anzi. Questa era soltanto una divagazione iniziale utile per focalizzare meglio alcuni aspetti che nel libro Cimatti tratta molto chiaramente: 1) l'astrofisica è in rapida evoluzione e la grande raccolta di dati può confermare ma anche spostare il nostro orizzonte (mai abbiamo raccolto così tanti dati, siamo sommersi dal dato con evidenti necessità di interpretazione di questo); 2) la Terra non è certo un punto di osservazione privilegiato, anche se dalla Terra possiamo lanciare sonde nello spazio, oggetti comunque costruiti qui (sul problema dei rifiuti e detriti spaziali sarà bene tornare in un altro post, anche la luna non è priva della nostra immondizia); 3) molto è quello che ancora non conosciamo e la materia e l'energia oscure sono protagoniste dell'universo e di questo libro che intende spiegarle. Insomma, in astronomia non è una questione di "sapere di non sapere", perché tale scienza, forse più di altre, pone l'uomo davanti al gigantesco e paradossale oceano d'ignoranza che si allarga con il susseguirsi delle conoscenze.
Giusto per continuare a dare qualche altro numero che sta alla base della trattazione di Cimatti, è bene sapere che fatto 100 o fatta intera la torta, l'universo è composto solamente da un 5% di materia ordinaria, da un 25% di materia oscura e da uno sbalorditivo 70% di energia oscura. Questa energia, per intenderci, è responsabile dell'allontanamento delle galassie e dell'espansione dell'universo, provata alla fine degli anni Venti del secolo scorso con l'introduzione della Legge di Hubble, un conseguimento che ha dato un colpo deciso a qualsiasi residuo di modelli cosmologici statici. Il paradosso su cui poggia questo 100 o questa torta, come ben sottolinea Cimatti, è che sappiamo quanto grande è la torta ma poco sappiamo delle due fette principali che la compongono. Per usare una parola un tempo più impiegata, materia e energia oscure sono la quintessenza dell'universo, quantitativamente preponderanti, tuttavia ci sfugge ciò che le governa. Il libro di Andrea Cimatti intende essere un percorso chiaro e guidato (un viaggio, secondo il sottotitolo) all'interno di queste due fette preponderanti. Per compiere questo viaggio è però necessario un ripasso anche del 5% della materia ordinaria, sulla quale gli studi dell'uomo hanno indugiato più a lungo. Per questo motivo il viaggio ha inizio dal "quartiere" del sistema solare, allargandosi alla nostra galassia (che è una soltanto delle miliardi di galassie individuate) e passa ai capitoli indispensabili che trattano la nascita e la morte delle stelle. Chiaro che nel ripasso complessivo c'entrano anche la forza di gravità, la fisica quantistica e la relatività. Questo è il bagaglio leggero e indispensabile per affrontare agilmente il viaggio. Ad un certo punto però, come spesso accade, l'infinitamente grande è fatto reagire con l'infinitamente piccolo (atomi, particelle, energia). Compagna di viaggio, ovviamente, è la luce e del resto anche le nostre vite sono solo minuscole parentesi di luce tra due eternità (eternità di altra luce o di tenebre). Fino a quando si arriva al cuore del volume che è appunto dedicato alla comparsa della materia oscura, sulla cui formazione si sono fatte diverse ipotesi (gas, polveri e particelle di materia ordinaria, oggetti substellari e fossili di stelle oppure buchi neri stellari e primordiali). La parte finale del volume è dedicata all'energia oscura, cioè a quanto contribuisce al 70% del budget complessivo dell'universo. La bravura divulgativa di Andrea Cimatti è anche quella della sintesi: ogni capitolo del suo libro è corredato di una conclusione che fa il punto della situazione di questo viaggio impegnativo per l'immaginazione, quasi come un diario di bordo, prima di passare alla tappa successiva.
In chiusura ricordiamo che il libro termina con un'indispensabile difesa di quella che comunemente chiamiamo "ricerca di base" e qui l'autore sembra voglia togliersi un sassolino dalla scarpa nei confronti di chi lamenta la mancanza di applicazioni sociali immediate di questa ricerca di base. Al di là del fatto che una ricerca di base in salute è una delle principali conquiste sociali e politiche che un paese possa prefiggersi (se quella è in salute, molte cose potrebbero andare migliorando), c'è anche un altro discorso da far emergere e Cimatti ci riesce: per consentire una ricerca di base adeguata è necessario un grande sforzo collettivo di "ricerca applicata". Ecco, ai sapientoni della vita pratica che chiedono lumi sulle utilità immediate della ricerca di base, si può sempre rispondere che per far funzionare la ricerca di base si presuppone una ricerca applicata che funzioni (pensate solo alla storia delle lenti, per stare su vicende antiche). Detto diversamente, per far funzionare la ricerca di base serve una ricerca applicata in salute e quest'ultima è ricca di implicazioni, persino nella nostra vita quotidiana.
Nessun commento:
Posta un commento