giovedì 7 settembre 2017

"Storia del dove" di Tommaso Maccacaro e Claudio M. Tartari

Di questo libro si è già accennato qualche giorno fa, nel pezzo che parlava de L'universo oscuro di Andrea Cimatti. Storia del dove. Alla ricerca dei confini del mondo di Tommaso Maccacaro e Claudio M. Tartari (Bollati Boringhieri, pp. 152, euro 14) è un libro scritto da due persone coetanee (entrambi del 1951) e di estrazione assai diversa: se Tommaso Maccacaro è astrofisico che ha lavorato in più paesi, ricomprendo anche incarichi di gestione e organizzazione della ricerca, Claudio M. Tartari, laureato in storia medievale, è stato direttore di una biblioteca storico-giuridica milanese. Sapendo che Maccacaro, oltre a essere stato presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, è stato anche direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera, viene da immaginare che i due autori si siano conosciuti in ambienti legati alle importanti istituzioni milanesi. Ad ogni modo, le righe relative alle loro diverse estrazioni intendono solo illustrare meglio il movente e la natura di questo libro, che è prima di tutto un libro di storia dei modelli cosmologici e delle conoscenze astronomiche, sorvegliato però da uno studioso che non proviene da uno sfondo di ricerca storica tout court. Ricordo che a Padova, e presumibilmente anche altrove, per laurearsi in filosofia della scienza erano richiesti un bel po' di esami di facoltà scientifiche, di fisica se ci si laureava in filosofia della fisica, di scienze biologiche se ci si laureava in filosofia della biologia e così via. Mi è sempre parsa una buona prassi e ci ho ripensato vedendo accostati i due autori di questo libro.

In avvio, una delle epigrafi riporta un passo di Isaac Asimov che ci rammenta che in ogni secolo l'uomo ha pensato di aver capito definitivamente l'Universo e, ogni volta, si è capito che aveva sbagliato. Ciò dà l'idea di quanto si debba spostare continuamente l'orizzonte della conoscenza, di come siamo sempre incompleti e manchevoli di qualcosa, pur nella rapidità in cui le conoscenze affiorano e i dati si accumulano (a proposito, vale ancora il detto che siamo dei nani sulle spalle dei giganti?). Allo stesso tempo c'è da dire che la scansione del volume non è per secoli. Ci sono stati lunghi periodi, più o meno stabili, e periodi di grande fermento degli studi e delle ricerche. Va anche sottolineato che un pregio di questo studio è saper mettere in relazione lo sviluppo delle conoscenze astronomiche con le diverse situazioni di civiltà dominanti e con gli umori della stessa politica. La strutturazione del breve e agile volume è circa questa: si parte con un capitolo sulla protostoria per passare alla storia arcaica e a quella antica (all'incirca dall'Undicesimo secolo a.C. al Quinto secolo d.C.). Ecco quindi l'evo di mezzo, scansionato in tre parti (Alto Medioevo, dal Sesto all'Undicesimo secolo; il Medioevo centrale, dall'Undicesimo al Quattordicesimo secolo; gli sgoccioli del Medioevo e l'affacciarsi di Copernico). Da questo momento in poi la cronaca diventa più recente, con la grande accelerazione impressa a partire dai secoli Sedicesimo e Diciasettesimo. Fino ad arrivare, non certo ad ampie falcate, anzi, ai giorni nostri e al "mondo" nostro, intendendo con "mondo" l'immagine con la quale siamo soliti descrivere ciò che ci sta sopra la testa (per praticità intendiamo con "giorni nostri" anche il secolo scorso, almeno in quest'ambito). Oggi che determinate conoscenze sono a portata di mano, facciamo a fatica a stupirci di come Aristarco di Samo, morto attorno al 230 a.C., potesse aver intuito per primo che era il sole centrale, in un sistema gravitazionale che "legava" anche la Terra, oppure è difficile capacitarci che Eratostene, morto nel 194 a.C., fosse arrivato a determinare la misura del raggio terrestre con buona approssimazione. Eppure questo è accaduto ed è opportuno soffermarci su questi conseguimenti precoci, anche perché parlare sempre di "progresso" delle conoscenze scientifiche non è corretto o quantomeno può essere fuorviante (nonché velatamente, ancora, ideologico). Quello che il libro illustra, persino implicitamente, è che è più corretto parlare di un percorso di conoscenza che vede centrali i metodi e la creatività degli scienziati (qui sì si può parlare di creatività senza virgolette) e degli studiosi che inventano e praticano questi metodi. C'è un bel da fare a inseguire, a esempio, cosa poteva essere la Padova dei Pomponazzi, dei Fracastoro e poi di Galileo e persino Copernico.

Come si è detto in occasione della recensione del libro di Andrea Cimatti, l'Universo ha circa 13,8 miliardi di anni e di tempo a disposizione ne ha avuto, è paziente: ha concesso che l'improbabile diventasse certo, che il raro diventasse comune, come si ricorda in questo libro di Maccacaro e Tartari. Sul fronte delle conoscenze, in meno di due secoli quasi "compressi", siamo passati da un'idea di Universo statico e immutabile, grande circa 100000 anni luce, a un Universo che di anni luce ne abbraccia 46 miliardi, contenendo alcune centinaia di miliardi di galassie. Lo spazio cosmico si sta ingrandendo, già, lo cantava anche un signore con gli occhiali da sole, e parliamo di spazio cosmico come "contenitore". C'è qualcosa che mi provoca disagio nel parlare dello spazio cosmico come "contenitore", un contenitore ha sempre delle pareti, dei lati, degli spigoli a volte. Ma lo strumento che stiamo usando è la nostra lingua con le sue metafore o similitudini, il percorso che abbiamo fatto fino a qui, inseguendo l'Universo e la Storia del dove, è tra lo storico e l'astronomico (come i due autori). Insomma, i ripassi servono (una volta il poeta Gherasim Luca ha scritto che l'uomo deve arrivare a vedere l'aria dentro ciò che pensa). 


Nessun commento:

Posta un commento