Marialaura Agnello ha scritto un libro che mi è tornato utile. Ultimamente ho dovuto e voluto, anche per questioni lavorative, tornare a studiare un po' i colori. Ma da che parte cominciare? A dire il vero non ho ancora una risposta. Seguo un metodo da bricoleur e ingenuo nell'approccio al colore (così come in tante altre cose che mi interessano) e credo che tale dilettantismo rimarrà anche nel caso di questo tema che non mi ha mai abbandonato. Il suo Semiotica dei colori (Carocci, pp. 128, euro 11) ha vinto un'iniziale diffidenza che nutro verso le opere che provano a sistematizzare materie così complesse e stratificate. Tuttavia davanti a opere di sintesi come questa, la cosa più importante è una certa fedeltà alle premesse da cui si parte e una certa dose di apertura e suggestione nella pluralità di direzioni che i colori suggeriscono. E qui ci siamo. Trovo curioso inoltre che davanti ai colori si possa ormai inserire qualsiasi disciplina partorita dal cervello umano, dalla filosofia alla storia, passando per la psicologia e la semiotica appunto. Ma potremmo aggiungere la geografia dei colori, la sociologia dei colori, la politica dei colori senza dimenticare ovviamente la fisica che studia lo spettro dei colori da un punto di vista che un tempo si sarebbe definito di "scienza dura" (si dice ancora così? Le scienze dure si sono ammorbidite?).
Marialaura Agnello ha nel suo sfondo una formazione semiologica. Ha collaborato con Gianfranco Marrone in passato e gli esisi di questa collaborazione si possono scovare in Bricolage di Jean-Marie Floch, uno dei pionieri dell'applicazione sistematica e feconda della scienza del segno alla prassi della pubblicità. In quel volume del 2006 esordiva con uno scritto dal titolo "Dai colori del mondo al discorso poetico sulle loro qualità. Analisi di Sulle scogliere di marmo". Insomma - lo scopriamo anche via Jean-Marie Floch - la nostra autrice non è affatto nuova al tema, la cui centralità nel discorso comunicazionale in senso largo è a mio avviso sempre più sotto gli occhi di tutti.
Giulio Passerini, un "copertinomane" come chi vi scrive (eppure attentissimo anche al mondo del digitale), recensendo questo volume ha giustamente notato: "Nel colore, a quanto pare, c’è molto più che un semplice colore: un’intera galassia di significati culturali, sociali e biologici gravita attorno alla semplice chimica del pigmento. Un universo che, come ogni universo, si espande nel tempo senza mai cessare di modificarsi e che influenza la nostra percezione del gusto, del tatto, delle gerarchie sociali, delle dinamiche naturali e di quelle proprie della civiltà normata."
Sono fatti noti. Intendo quelli relativi all'impiego del colore in società. Chi più ne ha più ne metta. Pensate solo alle compagnie telefoniche, che possiedono una grossa fetta del nostro tempo giornaliero. Quale grosso errore strategico è forse celato nel fatto che sia Tim che Vodafone abbiano entrambe il rosso al proprio interno? Wind con il suo arancione ci gode... Ed è solo un esempio del valore commerciale del colore, non solo nella moda. DHL è giallo, TNT è arancione, Bartolini (pardon, BRT) rosso e così vià. Vi siete mai chiesti perché a volte il lancio di una nuova auto è pubblicizzato sulla base di un colore che poi faticherete non poco a trovare in giro per le strade? Il colore posiziona, essendo egli stesso luogo, a suo agio nelle superfici reali e in quelle virtuali. Henry Ford accontentava i palati del nuovo mercato dell'automobile con un solo colore della Fort T ("People can have the Model T in any color - so long as it's black"). Il colore, per sua stessa natura, si mimetizza agilmente e significa nei contesti più disparati, da un massimo di spiriturale a un massimo di veniale (Il colore dei soldi, Scorsese). Le cose si possono persino fondere, come il Blu Klein brandizzato dall'artista Yves Klein... Si può fare una storia del colore (anche del modo in cui è chimicamente o artigianalmente costruito) e persino una filosofia (ricordiamo Goethe, Wittgenstein e i tanti filosofi calamitati dallo spettro cromatico). Si può studiarne artisticamente e scientificamente l'interazione come fece Josef Albers, altro migrante del Bauhaus, o capire cosa accade nella penna dei grandi poeti quando citano il colore. Si possono immaginare i colori dell'antichità irrimediabilmente perduti. I colori angoscianti dei paesaggi digitali che ci circondano. Le possibilità del colore sono tante, aumentate, agevolate dalla tecnica che pure ha introdotto nuovi piani dove i colori appaiono. Un poeta ha tante parole, un musicista tante note e strumenti, un pittore (ma anche un regista, un costumista o un grafico) troppi colori. Ce lo diceva già Jean Cocteau. Ed ecco allora profilarsi il fondamentale capitolo della scelta del colore, dilemma trasversale e costante, non solo dilemma mattiniero di molte persone. Scegliere il colore significa porsi in una crisi di coscienza, di metodo. E per scegliere bisogna provare a conoscere, imparare. Questo e altri libri interessanti usciti sul colore ci aiutano a imparare.
Nel suo Lo spirituale nell'arte Wassily Kandinsky scriveva che "Il colore è il tasto, l'occhio il martelletto, l'anima è il pianoforte dalle molte corde." Entriamo ampiamente dentro i territori della sinestesia di cui Kandinsky è campione del mondo, soprattutto a livello teorico. Ed è proprio qui, in questa "figura retorica" della sinestesia, che ancor oggi troviamo spunti interessanti, per studiare i colori a partire dalla loro storia, della loro filosofia, della tecnica per produrli o anche della più recente semiotica come ha fatto Marialaura Agnello. Chissà quale strumento suoneremo domani coi colori, quale strumento musicale nuovo costruiremo. In fondo il pianoforte di Kandisky mi pare stia a tutti un po' stretto ed è ora che ci inventiamo (e costruiamo) qualche strumento nuovo.
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