Ripescaggi #32
La cronaca: Breece Dexter Pancake (la sigla D’J apparve per sbaglio, per un errore presente nelle bozze del primo racconto pubblicato e volutamente non corretto dall’autore) nacque nel 1952 in West Virginia. Morì suicida a soli 26 anni nel 1979 a Charlottesville.
Il suo esordio
avvenne nel 1976 con il racconto Trilobites pubblicato sull’Atlantic
Monthly. Stories of Breece D’J Pancake uscì solamente quattro anni
dopo il suicidio, nel 1983. Ci sono stati gli estremi per parlare di caso
letterario. Joyce Carol Oates provò a paragonare il suo debutto a quello di
Hemingway, Kurt Vonnegut lo esaltò senza mezzi termini, J.T. Leroy disse di
leggere Pancake ogni giorno e l’ineguagliabile Tom Waits parlò di Pancake come
del suo scrittore preferito. Serve senza dubbio vedere più a fondo, al di là di
questi pur importanti e autorevoli giudizi. Pancake non va introdotto come un
caso letterario, amplificato dalla precoce scomparsa e dal tardivo
riconoscimento (anche al di fuori dell’America): troppo grande sarebbe la
perdita di prospettiva e di contatto con il ‘nudo testo’.
L’opera (Trilobiti, Isbn Edizioni, 2005, euro 13, attualmente non più reperibile nella prima edizione illustrata dalla foto in alto, ma disponibile a 9 euro nella collana "Reprints" di Isbn):
queste magnetiche dodici short stories hanno il fascino dell’elegia, di quell'indescrivibile sentimento che abbiamo imparato a riconoscere nella migliore
letteratura america post recessione. Pancake scrive di cacciatori, marinai,
minatori, allevatori. C’è un senso della precarietà che, combinato agli
evidenti sforzi di riconciliazione con la propria terra d’origine e con le
persone che la popolano, fanno parlare queste prose con la nostra memoria di
persone lontane miglia e miglia, spazialmente, temporalmente e culturalmente,
da Pancake e dai suoi personaggi.
Pancake deposita in dodici racconti il fluire della vita di quella
regione d’America. Dopo averlo letto è più facile (e forse banale) ribadire l’urgenza
di una narrativa che si confronti con la realtà della memoria più prossima e
che rielabori il vissuto, trovando in questo i modelli e i ‘giusti’ impianti
della narrazione.
(Recensione apparsa sulla rivista "daemon" nell'anno 2005).
Non più una novità ma resta un gran bel libro!
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