domenica 23 febbraio 2014

"Trilobiti" di Breece D’J Pancake

Ripescaggi #32

La cronaca: Breece Dexter Pancake (la sigla D’J apparve per sbaglio, per un errore presente nelle bozze del primo racconto pubblicato e volutamente non corretto dall’autore) nacque nel 1952 in West Virginia. Morì suicida a soli 26 anni nel 1979 a Charlottesville. 

Il suo esordio avvenne nel 1976 con il racconto Trilobites pubblicato sull’Atlantic Monthly. Stories of Breece D’J Pancake uscì solamente quattro anni dopo il suicidio, nel 1983. Ci sono stati gli estremi per parlare di caso letterario. Joyce Carol Oates provò a paragonare il suo debutto a quello di Hemingway, Kurt Vonnegut lo esaltò senza mezzi termini, J.T. Leroy disse di leggere Pancake ogni giorno e l’ineguagliabile Tom Waits parlò di Pancake come del suo scrittore preferito. Serve senza dubbio vedere più a fondo, al di là di questi pur importanti e autorevoli giudizi. Pancake non va introdotto come un caso letterario, amplificato dalla precoce scomparsa e dal tardivo riconoscimento (anche al di fuori dell’America): troppo grande sarebbe la perdita di prospettiva e di contatto con il ‘nudo testo’.


L’opera (Trilobiti, Isbn Edizioni, 2005, euro 13, attualmente non più reperibile nella prima edizione illustrata dalla foto in alto, ma disponibile a 9 euro nella collana "Reprints" di Isbn): queste magnetiche dodici short stories hanno il fascino dell’elegia, di quell'indescrivibile sentimento che abbiamo imparato a riconoscere nella migliore letteratura america post recessione. Pancake scrive di cacciatori, marinai, minatori, allevatori. C’è un senso della precarietà che, combinato agli evidenti sforzi di riconciliazione con la propria terra d’origine e con le persone che la popolano, fanno parlare queste prose con la nostra memoria di persone lontane miglia e miglia, spazialmente, temporalmente e culturalmente, da Pancake e dai suoi personaggi. Pancake deposita in dodici racconti il fluire della vita di quella regione d’America. Dopo averlo letto è più facile (e forse banale) ribadire l’urgenza di una narrativa che si confronti con la realtà della memoria più prossima e che rielabori il vissuto, trovando in questo i modelli e i ‘giusti’ impianti della narrazione.

(Recensione apparsa sulla rivista "daemon" nell'anno 2005).

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