Librobreve intervista #39
Intendo inaugurare con questa intervista a Silvano De Fanti, professore di lingua e letteratura polacca all'università di Udine, una serie di chiacchierate con protagonisti della traduzione in italiano. Mi fa piacere iniziare con Silvano De Fanti (che a breve ritornerà ancora su queste pagine per un'interessante segnalazione), dalla lingua polacca e da un testo di Józef Wittlin finalmente riproposto. Mi auguro poi di offrire presto ai lettori nuove interviste con gli altri traduttori che hanno già accettato l'invito.
LB: Da poche settimane è uscito per Marsilio Il sale della terra di
Józef Wittlin da lei tradotto. Il libro, del 1935, era stato proposto
nel 1939 da Bompiani. Poi si può dire che è scomparso. Quale itinerario e
quale processo lo fa riaffiorare ora, dopo moltissimi anni, al di là
delle ovvie motivazioni contingenti legate al centenario del primo
conflitto mondiale?
R:
In effetti il romanzo era scomparso nel dopoguerra, e per giunta dopo
aver portato il suo autore Józef Wittlin alla candidatura per il Nobel
nel 1939. Scomparso dall'Italia – ma questo non fa specie né testo – e
dal resto del mondo, Polonia compresa. Il Sale della terra ha condiviso
la sorte del suo autore. Costretto a fuggire negli Stati Uniti in tempo
di guerra assieme ad altri colleghi di penna di origine ebraica, dopo
qualche anno il suo nome e la sua opera vennero messi all'indice in
Polonia. La nascita della collana Anemoni pubblicata dalla casa editrice
Marsilio, dedicata ai classici della letteratura dell’Europa centrale e
diretta da due studiosi di rara competenza come la boemista Annalisa
Cosentina e il germanista Luigi Reitani mi hanno dato l'opportunità di
riproporre quel testo ingiustamente poco noto, ma estremamente attuale
anche oggi, a prescindere dall'ambientazione bellica. Che poi il
progetto sia stato accolto dall’editore lo si deve naturalmente anche
alla motivazione contingente che lei cita. Del resto nel nostro ambiente
si sa che a volte l'occasione fa l'uomo traduttore...
LB: Se paragoniamo il protagonista del romanzo di Wittlin, Piotr, ad altri celebri personaggi prodotti dalla letteratura della Grande Guerra, che cosa emerge di singolare e nuovo in questo analfabeta quarantenne sconvolto dalla cartolina-precetto e allo stesso tempo in grado di sconvolgere, con il mondo di cui è il portato, la burocrazia dell'esercito austro-ungarico?
R: Direi che prima di tutto
va tolto di mezzo ogni tentativo di paragonare Piotr a Svejk. Si tratta
di un raffronto compiuto in passato anche da acuti intellettuali (per
esempio lo scrittore tedesco Doblin) ma non azzeccato, sebbene lo stesso
Wittlin avesse messo in scena un adattamento dell'opera di Hasek. Tra di
loro passa la differenza che esiste tra un logorroico e un semi-muto,
tra un finto tonto e il vero scemo del villaggio, come effettivamente
Piotr era considerato dai suoi stessi compaesani. Piotr è l’immagine
dell'inadeguatezza più totale, è l’uomo selvaggio allo stato pre-morale,
la cui comunicazione verbale è estranea ai codici comunicativi dei rari
interlocutori. Di un tale personaggio Wittlin aveva bisogno per farsi
accompagnare nella sua disamina, cinica e umoristica allo stesso tempo,
non solo del fenomeno della guerra, ma anche di qualsiasi evento che
ponga l’uomo in una situazione del tutto alienante. Si tratta dunque, a
mio modo di vedere, di un approccio che anche oggi ha la sua validità:
l’arretratezza culturale diffusa che impedisce di scorgere e comprendere
la vacuità e la dannosità di valori mediaticamente divulgati come
valori imprescindibili.
Andrzej Strug |
LB:
La "sbornia" da centenario della Grande Guerra ha già iniziato a
produrre effetti visibili nelle librerie. Tuttavia, come anche la
pubblicazione di Marsilio dimostra, c'è qualche spazio forse per
sfruttare questa ricorrenza e riproporre dei libri fuori dai circuiti
dell'editoria e della traduzione. Sempre con riferimento alla Prima
guerra mondiale e alla letteratura polacca gliene vengono in mente
altri? E in poesia si mosse qualcosa di significativo in quegli anni?
(Ricordiamo che Wittlin stesso è poeta...)
R: Me ne viene
in mente soprattutto uno, assolutamente non tenuto in conto
dall'editoria europea, pubblicato due anni prima del Sale della terra.
Si tratta de La croce gialla di Andrzej Strug, opera di stampo
espressionista e pacifista, che sul canovaccio di un accattivante
intrigo internazionale mostra gli elementi nascosti dei meccanismi e le
conseguenze fisiche e morali della guerra. Può apparire singolare che i
migliori libri di prosa sulla prima guerra mondiale – eccezion fatta per
alcuni importanti racconti di scrittori affermati come Zeromski e
Reymont – siano apparsi in Polonia soltanto negli anni '30 (ma senza
avere caratteri di memorialistica), dopo una lunga elaborazione e in un
clima sociale che faceva presagire un prossimo atroce conflitto. Per la
Polonia la conclusione della guerra aveva significato la riconquista
dell'indipendenza dopo centoventi anni di dominio straniero, e fu
proprio la poesia, che nel secolo precedente si era assunta l'onere di
servire la causa della patria, a rappresentare l’atmosfera di frenetica
passione vitale seguita alla riconquista della libertà. A parte appunto,
fra gli altri, Wittlin, che dopo il conflitto mondiale aveva visto di
persona “in casa sua” la guerra civile fra polacchi e ucraini,
lasciandone un resoconto estremamente umano e doloroso nel ciclo degli Inni. Chissà se anche oggi c'è un qualche Wittlin a osservare ciò che succede in Ucraina...LB: Se paragoniamo il protagonista del romanzo di Wittlin, Piotr, ad altri celebri personaggi prodotti dalla letteratura della Grande Guerra, che cosa emerge di singolare e nuovo in questo analfabeta quarantenne sconvolto dalla cartolina-precetto e allo stesso tempo in grado di sconvolgere, con il mondo di cui è il portato, la burocrazia dell'esercito austro-ungarico?
LB: Questa serie di interviste sta coinvolgendo più traduttori italiani. A lei vorrei banalmente chiedere se si diverte quando traduce. Sempre? Talvolta? Mai?
Olga Tokarczuk |
LB:
Come sta la letteratura polacca oggi? Può menzionare autori o titoli
che secondo lei meriterebbero presto una traduzione in italiano?
R:
La letteratura polacca sta bene, ma soprattutto in casa propria. Quando
si avventura all'estero - e in Italia va peggio che altrove – ha
bisogno di grossi arieti per scardinare i portoni di ferro
dell’editoria. A volte non basta nemmeno aver vinto il premio Nobel, la
poesia di Wislawa Szymborska ha potuto trovare sbocco in Italia più per
la citazione televisiva di Saviano che per il Nobel stesso. Comunque
direi che si traduce abbastanza anche in Italia, ma solitamente l'eco
mediatico è languente, quindi la letteratura polacca rimane alla fin
fine una letteratura di nicchia per pochi raffinati intenditori. Farei
almeno una citazione: il romanzo Bieguni (è il nome di una
vecchia setta di credenti) di Olga Tokarczuk, di cui sono già usciti
alcuni libri. Questo romanzo, interessantissimo, è stato proposto ad
alcune case editrici. Ma la lunghezza del testo atterrisce gli editori.
Per i lettori d'oggi sarebbe una fatica immane...
LB: Ne Lo chalet della memoria lo
storico americano Tony Judt racconta di come provò a farsi passare una
depressione di mezza età tentando di imparare una lingua "minore" come
il ceco. Quando lessi questo sorrisi perché avevo provato qualcosa di
simile col polacco, non proprio a mezza età visto che di anni ne avevo
credo ventisette, e forse, stando ai parametri di Judt, non ero neanche
così depresso visto che interruppi presto lo studio. Potrebbe funzionare
il polacco, secondo lei? O meglio il ceco come Tony Judt?
R:
Non so proprio se una lingua minore serva a diluire la depressione. Di
certo Judt ha scelto male: se avesse imparato il ceco prima o poi
avrebbe per forza di cose parlato con un ceco. E si sarebbe accorto –
troppo tardi – che quel ceco, come tanti altri, era piuttosto depresso
di natura, forse proprio a causa della sua lingua. Se avesse scelto il
polacco, alla fin fine gli sarebbe venuta la voglia di dar vita a
un'insurrezione nazionale. Se avesse scelto l'ungherese, avrebbe
scoperto – come Piotr Niewiadomski – che lì dentro c'è il diavolo. E
forse avrebbe fatto la scelta migliore.
Ho molto molto bisogno di un contatto con dott. Silvano De Fanti! Sono polacca e scrivo la tesi sul libro di Wyspiański e ho bisogno della traduzione italiano! Molto impotante!! Vi prego di aiutarmi!
RispondiEliminaMi sono attivato e spero di avere presto notizie per lei. Un saluto nel frattempo
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