Sembra prendere le mosse da analoghi pensieri ondivaghi questo Lo specchio vuoto. Fotografia, identità e memoria di Ferdinando Scianna pubblicato da Laterza (pp. 110, euro 12). Il tono e il dipanarsi di questi capitoli depositati dal grande fotografo di Bagheria, che quasi cinquant'anni fa unì il proprio nome a quello di Leonardo Sciascia per il celebre Feste religiose in Sicilia (nella copertina allora era Fernando e non Ferdinando), è quasi amichevole, sempre schietto e diretto, anche quando ci racconta di come si rivolge ai suoi amici neuroscienziati per provare a capire di più di memoria e identità oppure nel finale del libro, quando si descrive alle prese con la digitalizzazione di un archivio mastodontico e con i tanti scherzi di memoria che questo lavoro complesso gli procura, soprattutto con gli scatti più datati. Il libro parte riprendendo una chiassosa scena di selfie vissuta in treno, di ritorno dalla mostra roveretana che il MART ha dedicato lo scorso anno a un grande ritrattista (autoritrattista?) senza macchina fotografica, Antonello da Messina. Il titolo di questo libro di Laterza è già un buon viatico e ci consente di immaginare le pagine che leggeremo: dal lacaniano specchio, si passa a concetti fragili e poco maneggevoli come quelli di identità e memoria. Ma la fotografia non è la nostra memoria e la memoria non è simile alla fotografia, e sarebbe bene fare attenzione quando parliamo con disinvoltura di "memoria fotografica" perché le aree del ricordo sono spesso inganni o menzogne, placidi imbrogli, sempre più povere o sempre più ricche di una fotografia, la quale si esprime su un piano bidimensionale e attraverso un'inquadratura.
Oggi che la fotografia è a portata di tutti e onnipresente (nei cellulari) paradossalmente riflettiamo forse poco e male su di essa. Quando un fotografo importante come Scianna si abbandona alla speculazione lo fa in modo sorprendentemente elastico e plastico, ricordando anche un interessante scritto di Giovanni Arpino che recentemente le edizioni Henry Beyle hanno reso disponibile (Contro la fotografia, con una nota di Scianna stesso). Dopo aver letto questo libro di Scianna mi pare di ravvisare che c'è un aspetto che la speculazione lascia spesso fuori, fuori dall'inquadratura. E tale aspetto è l'inquadratura stessa! Voglio dire che Scianna ricaccia giustamente all'interno del dibattito anche chi sta dietro l'apparecchio fotografico e non solo chi o cosa è dentro l'obiettivo o il piccolo monitor della macchina fotografica; ci parla sempre, più o meno direttamente, anche della persona che sta dietro il mirino, che inquadra, proprio ora che mirare e inquadrare sono gesti quasi slegati dal fotografare. E se il digitale non ha portato nessuna vera e propria rivoluzione (soltanto un aggravio quantitativo e di archiviazione, divenuta missione quasi impossibile oltre che evidenti cambiamenti sul versante produttivo e postproduttivo), il vero cambiamento mi pare stia in un aspetto posturale di chi fotografa. Potremmo quasi leggere l'evoluzione del fotografare proprio su questo versante della postura: da come si fotografava con la camera oscura a come si fotografa sempre più spesso oggi, senza nemmeno più mirare o inquadrare, con braccia tese distanti dagli occhi e dal cuore, quasi nuotando nell'aria con una macchina fotografica tra le dita. In questa ottica allora diventa molto interessante e innovativo il capitolo in cui Scianna parla di Snapchat, ovvero del servizio di messaggistica istantanea e applicazione per smartphone che "consente di inviare le foto ad amici solo per un certo numero di secondi e poi la visibilità viene annullata. Per questo motivo, l'applicazione è anche frequentemente usata per sexting" ovvero "l'invio di messaggi sessualmente espliciti e/o immagini inerenti al sesso, principalmente tramite telefono cellulare, ma anche tramite altri mezzi informatici" (come leggiamo nelle relative pagine Wikipedia dedicate alle voci "Snapchat" e "sexting").
Mi voglio congedare dalla lettura di questo libro con una canzone che parla di un luogo (la città di Torino), di un film ricordato e di una scena, di vetrine che riflettono e che possono rompersi come uno specchietto per il trucco. Si intitola "Meglio di uno specchio". Ho l'impressione che c'entri con tutto questo.
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