Inauguro una miniserie di tre post nella quale pubblicherò gli interventi che sono stati letti in occasione di "Piovono occhi morti", la serata dedicata alla poesia della Grande guerra dello scorso 9 giugno a Ca' dei Ricchi a Treviso. Incomincio con l'intervento introduttivo di Marco Scarpa. Seguirà l'intervento di Matteo Giancotti sui poeti italiani e quello con il quale ho introdotto la lettura dai poeti stranieri.
Ospedale da campo di Visco (Udine) |
La prima guerra mondiale è passata alla storia come
la Grande guerra e, di fatto, l’hanno anche ribattezzata la prima guerra
mondiale industriale per l’utilizzo circa le nuove armi e le nuove tecnologie
annesse. Potremmo innanzitutto rilevare che è una guerra svoltasi per lo più in
Europa ma dalle conseguenze mondiali e tuttora in atto. Ci furono la caduta
dell’impero Austroungarico e di quello Ottomano nonché i cambiamenti epocali in
Russia con l’aprirsi al comunismo dopo l’impero zarista. Ci furono importanti
cambiamenti nelle politiche coloniali ma soprattutto ci furono una quantità di morti
che aiutano bene a definire questa guerra come un massacro senza senso. Dieci
milioni di morti a causa della guerra che porta in dote pure la Spagnola, una
epidemia che alcuni fonti dicono abbia fatto cinquanta milioni di morti. Queste
sono alcune cifre. Numeri che sicuramente esplicitano l’idiozia del conflitto
ma che non restituiscono il complesso di umanità dentro a quegli anni. Ci ha
provato la letteratura a raccontare cosa sia stato quell’insieme di eventi e il
portato psicofisico che ne è derivato. Ma
non è solo per questo che la letteratura ha un peso, non è solo il suo lascito
a essere importante. Fondamentale è anche ricordare come a fomentare lo scoppio
del conflitto non fossero solo cause politiche e economiche ma pure la volontà
di una parte degli intellettuali e letterati che vedevano nella guerra una
occasione da non perdere assolutamente. Si può dire insomma che la cultura ha
avuto un ruolo emblematico nello sviluppo di un clima già instabile, spingendo
grazie alle avanguardie artistiche (Futurismo in primis) e grazie alle riviste
a ai giornali dell’epoca, verso un senso alto della guerra, una giustizia delle
stragi, connaturata a una certa bellezza della violenza.
Noi oggi vogliamo focalizzarci soprattutto sulla
poesia e vorrei citare Saba che scrisse come la guerra creò due tipologie di
personaggi: i poeti che fecero la guerra come soldati e i soldati che la guerra
fece poeti. I primi sono soprattutto intellettuali che, chi con la foga
bellica, chi con la speranza di una esperienza esaltante, chi nella stupefatta
follia, si sono addentrati nel conflitto come ad esempio Marinetti, Ungaretti,
Rebora, Sbarbaro e i secondi, meno noti dei primi, magari non inseriti in
correnti letterarie come ad esempio Giulio Barni.
Questo per quanto riguarda gli italiani ma il
panorama europeo accomunava gli animi, per lo meno all’inizio. Si andava al
fronte spinti dagli stati secondo i quali si sarebbe tornati presto vincitori e
la guerra non sarebbe durata a lungo. Alcuni stati, come l’Inghilterra, contribuivano
a fomentare la scrittura di guerra e così abbiamo notizia di circa 2225 soldati
poeti inglesi che hanno preso parte al conflitto. Ma non solo. Pure Francia e
Germania hanno moltissimi esempi di scrittori soldati. Noi abbiamo voluto
scegliere poesie dalla maggior parte degli stati coinvolti di cui ci fosse
arrivata memoria letteraria, non parametrando la quantità di testi scelta
rispetto a quelli a disposizione. E abbiamo scelto di farli leggere in lingua
originale e poi in traduzione per farvi sentire il reale suono e ritmo di quei
versi dandovi poi anche il significato. Ma perché la poesia?
La poesia, come vedrete, oltre al valore artistico e
letterario, riesce a restituire vividamente i momenti di quegli anni, con
immagini memorabili, istantanee crude, storie immerse in pochi fotogrammi. Non
tenta la narrazione ma scarnifica, a volte maggiormente della prosa, quel
delirio, quella follia, quel dolore, quelle ripercussioni. Oltre a ciò fornisce
una moltitudine di punti di vista in quanto, come prima accennato, i modi di
vedere e interpretare la guerra erano molto differenti. I poeti erano ottimi
cronisti di guerra ante litteram. Hanno raccontato il fronte, le trincee, gli
ospedali e spesso con precisione puntualizzando luoghi e date dei loro scritti.
E grazie anche a queste attenzioni questi testi sono memoria collettiva al di
là dei loro versi emblematici. Le connotazioni, alcune le sentirete, sono poi
le più varie. Chi scrive di una guerra necessaria per andare oltre la stanca
Europa, chi sottolinea lo spirito di aggregazione dei commilitoni o di identità
personale, chi giudica quel gran bailamme come una enorme festa, chi ne
estrapola la follia, le responsabilità, chi elabora i lutti personali o di un
popolo, chi si focalizza sul dolore degli attimi e chi elabora il lascito
emotivo/psicologico che accompagna i reduci al termine del conflitto.
Potremmo evincere di trovarci di fronte a un insieme
di voci che erano spinti alla guerra da diversi fattori e stimoli ma che erano
accomunati da una insoddisfazione e/o da una ribellione verso quegli anni. E
molte di queste voci, una volta al fronte, hanno poi compreso con più realismo
lo strazio e la demenza del conflitto denunciando il mito di una guerra da
molti all’inizio celebrata e da molti stimata come nobile e giusta.
Dunque la letteratura e dunque la poesia. E la sua
rilevanza. Non (solo) la sua bellezza ma pure la sua efficacia nel fornire una
visione ampia di una massa di eventi e di sguardi disparati. Oggi, come ieri,
fondamentali come monito e memoria.
Fonti:
Le
notti chiare erano tutte un'alba. Antologia dei poeti
italiani nella Prima guerra mondiale, a cura di Andrea Cortellessa (Bruno
Mondadori, 1998)
La
guerra d'Europa 1914-1918 raccontata dai poeti,
a cura di Andrea Amerio e Maria Pace Ottieri (Nottetempo, 2014)
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