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Quella che segue è una recensione mai uscita su riviste cartacee, non propriamente un ripescaggio quindi, un testo che avevo scritto per il mensile "Poesia" di Crocetti. Circa un anno fa avevo iniziato a collaborare recensendo il bel saggio di Federico Italiano Tra miele e pietra. Aspetti di geopoetica in Montale e Celan uscito per Mimesis. Per qualche motivo mi risulta che questa recensione a La partenza di Ernst Stadler (:duepunti edizioni, pp. 176, euro 10), preparata come secondo contributo per quella rivista, non sia mai uscita. Rimedio qui.
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Il secondo volume della collana ex libris di questa piccola grande casa editrice colma un vuoto e costituisce a tutti gli effetti una risposta alla disattenzione nella quale l’editoria di casa nostra aveva seppellito la breve parabola di Ernst Stadler. Il merito, in questo caso, va condiviso con il curatore, Maurizio Pirro, già distintosi per uno studio sulla narrativa tedesca del secondo dopoguerra dall’inequivocabile titolo Costruir su macerie, libro dall’approccio innovativo ma purtroppo penalizzato da un’edizione a circolazione limitata.
Ernst Stadler nacque a Colmar, in Alsazia, nel 1883. Germanista e filologo, studiò nelle università di Strasburgo, Monaco e Oxford. A Bruxelles ottenne la prima e unica cattedra; avrebbe dovuto insegnare anche a Toronto ma non partì mai per il Canada a causa dello scoppio della guerra. Si distinse per la collaborazione alla rivista “Der Stürmer” del coetaneo e instancabile animatore René Schickele e per le traduzioni da Balzac, Peguy e dal poeta Francis Jammes, le cui liriche furono pubblicate nella celebre collana “Der Jüngste Tag” di Kurt Wolff. Ufficiale di riserva, fu chiamato alle armi nell’agosto del 1914. Troverà la morte il 30 ottobre 1914, nei pressi di Ypres.
Oggi Stadler è annoverato assieme a Trakl e Heym tra i più grandi poeti del primo espressionismo in lingua tedesca (la precoce morte li accomuna, tra l’altro). Del 1905 è la raccolta dal titolo impressionistico di Präludien mentre questo Der Aufbruch è stato pubblicato qualche mese prima della partenza per il fronte. Una partenza senza ritorno, come già ricordato. Eppure le liriche del poco più che trentenne Stadler lasceranno un profondo segnale di cambiamento e rinnovamento di linguaggio nella letteratura di lingua tedesca. Ed è forse inevitabile che sia così, se pensiamo all’eccezionale formazione linguistico-filologica e all’importante operato di traduttore dal francese già ricordato.
La poesia di Stadler è stata spesso accostata a quella di Walt Whitman. Non fa eccezione la presentazione della casa editrice di Palermo. E non è solo l’utilizzo del verso libero combinato ad un’inedita sintassi slegata a imporre il nome di Whitman. Queste poesie, pubblicate appena prima dello scoppio del conflitto (durante i giorni di guerra Stadler si limiterà infatti a tenere un diario), sono forse impensabili se non frapponiamo tra i suoi due libri di poesia la figura di Nietzsche. Come il filosofo, Stadler era consapevole di vivere un periodo di transizione al moderno e la sua lirica rispecchia tale consapevolezza (il tema dell’autoconsapevolezza del moderno è tuttora molto dibattuto). Le influenze e la perfezione della forma ereditate da Stefan George e da Hugo von Hofmannsthal lasciano il posto ad una poesia più energica, piena sostenitrice della superiorità della vita sull’arte (un dilemma ricorrente in quegli anni). Il verso si fa più lungo e carico, più denso e anche dinamico. I temi e le visioni che popolano i versi sono percorsi da un sentire e da uno sguardo pienamente rinnovato, che sa posarsi anche su scene di disagio umano e che fa entrare di diritto l'autore tra i grandi del Ventesimo secolo.
(Riporto sotto la poesia Irrenhaus, ottimo esempio di quanto scrivevo nella chiusura della recensione.)
Manicomio
(Le Fort Jaco, Uccle)
Qui c'è vita che nulla più sa di se stessa -
Coscienza sprofondata per mille e mille braccia nell'abissso.
Qui risuona per sale disadorne il corale del nulla.
Qui è sopore, rifugio, ritorno a casa, stanza dei balocchi.
Qui nulla di umano minaccia. Lo sguardo fisso,
Che confuso e turbato pencola nel vuoto,
Sussulta per orrori ormai remoti.
A certi corpi torti tuttavia s'apprende uno spirito terreno.
Non vogliono staccarsi dalla luce che dispare.
Tra strida e convulsioni si gettano per terra dentro i bagni
E frignando sopraffatti si accucciano in un angolo.
Però a molti si dischiude un paradiso.
Odono le voci morte di ogni cosa circondarli
E del tutto la musica sinuosa.
A volte dicono parole strane e incomprensibili.
Sorridono miti e gentili come bambini.
Negli occhi rapiti al commercio con il corpo
balena la felicità.
(Irrenhaus di Ernst Stadler, traduzione di Maurizio Pirro)
(Riporto sotto la poesia Irrenhaus, ottimo esempio di quanto scrivevo nella chiusura della recensione.)
Manicomio
(Le Fort Jaco, Uccle)
Qui c'è vita che nulla più sa di se stessa -
Coscienza sprofondata per mille e mille braccia nell'abissso.
Qui risuona per sale disadorne il corale del nulla.
Qui è sopore, rifugio, ritorno a casa, stanza dei balocchi.
Qui nulla di umano minaccia. Lo sguardo fisso,
Che confuso e turbato pencola nel vuoto,
Sussulta per orrori ormai remoti.
A certi corpi torti tuttavia s'apprende uno spirito terreno.
Non vogliono staccarsi dalla luce che dispare.
Tra strida e convulsioni si gettano per terra dentro i bagni
E frignando sopraffatti si accucciano in un angolo.
Però a molti si dischiude un paradiso.
Odono le voci morte di ogni cosa circondarli
E del tutto la musica sinuosa.
A volte dicono parole strane e incomprensibili.
Sorridono miti e gentili come bambini.
Negli occhi rapiti al commercio con il corpo
balena la felicità.
(Irrenhaus di Ernst Stadler, traduzione di Maurizio Pirro)
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