Iain Chambers, professore di Studi culturali e postcoloniali all'Università "L'Orientale" di Napoli è autore di un libro che dialoga apertamente con queste problematiche. Il recente volume, che si allarga ad un'area più estesa di quella costituita da un'asta fluviale, si intitola Mediterraneo blues. Musiche, malinconia postcoloniale e pensieri marittimi e viene proposto da Bollati Boringhieri in traduzione all'interno della collana Incipit (pp. 103, euro 10).
Dalle prime pagine possiamo leggere un passo che ci catapulta efficacemente nelle dinamiche di pensiero dell'autore:
La musica ci invita a viaggiare adottando una visione nel complesso meno rigida delle varie discipline, delle prassi e delle istituzioni che assieme configurano la modernità di oggi. Essa offre un caso rilevante di deterritorializzazione. Tuttavia, il fatto che i suoni apparentemente circolino liberi, spesso inconsapevoli delle rivendicazioni di comunità locali, linguistiche, nazionali, non significa che essi non siano altrettanto saturi di tempo storico e di intensità culturali. Contro il positivismo a malapena nascosto del "progresso", della sua storia, dei suoi saperi e delle sue pratiche fiduciose, la musica dissemina una partitura storica nel complesso più sottile, le cui note devono ancora essere suonate, eseguite, ripetute. Il passato non è ancora concluso, pronto ad essere consegnato al canone, al museo, o al libro di testo. Il passato, nel suo rifiuto perturbante di morire, introduce una nota blue - ambivalente, dissonante, risonante di un altrove inusitato - nell'orchestrazione disciplinata della modernità musicale.
La musica ci invita a viaggiare adottando una visione nel complesso meno rigida delle varie discipline, delle prassi e delle istituzioni che assieme configurano la modernità di oggi. Essa offre un caso rilevante di deterritorializzazione. Tuttavia, il fatto che i suoni apparentemente circolino liberi, spesso inconsapevoli delle rivendicazioni di comunità locali, linguistiche, nazionali, non significa che essi non siano altrettanto saturi di tempo storico e di intensità culturali. Contro il positivismo a malapena nascosto del "progresso", della sua storia, dei suoi saperi e delle sue pratiche fiduciose, la musica dissemina una partitura storica nel complesso più sottile, le cui note devono ancora essere suonate, eseguite, ripetute. Il passato non è ancora concluso, pronto ad essere consegnato al canone, al museo, o al libro di testo. Il passato, nel suo rifiuto perturbante di morire, introduce una nota blue - ambivalente, dissonante, risonante di un altrove inusitato - nell'orchestrazione disciplinata della modernità musicale.
Allora, assieme ad un bibliografia densa e interessante che cuce assieme, tra gli altri, Edward Said e Walter Benjamin, John Berger e Georges Didi-Huberman, il duo Deleuze-Guattari e Vladimir Jankélévitch, Hannah Arendt e Michel Serres, non poteva mancare una discografia per me stupefacente, dove ho ritrovato i grandissimi Napoli Centrale, Anouar Brameh, Almamegretta, 99 Posse, i vocalizzi indimenticabili di Demetrio Stratos e persino un gruppo israeliano ascoltato in gioventù, gli Orphaned Land.
Il Mar Mediterraneo, mare di tre continenti, costituisce un paesaggio acustico che ci porta a riconsiderare il suo spazio e il suo presente come un universo di possibilità, un presente incessantemente attraversato da passato e da futuro (la "forza diagonale" del presente secondo la Arendt), dove si impone da solo un ragionamento rinnovato, meticciato sull'identità, intesa anche, nel caso di questo bel libro, come interrogazione, ascolto spaesato di una liquidità di suoni capace di scardinare "la presunta unità del presente". Il nucleo più interessante del libro di Chambers sta a mio avviso proprio sull'accento posto sullo stato "con-temporaneo del suono" (un atteggiamento che prende le mosse dalla critica benjaminiana dello storicismo), un suono che "taglia il tempo", che dal corpo del suono diventa "corpo nel suono", nelle storie umane unite (e non divise) dall'acqua. Abbiamo davanti un ragionamento dove la musica, coi suoi tempi e ritmi, ci parla alla fine di spazio e che sa mettere in crisi certi concetti di identità oggi radicati nel suono. In altre parole, sembra quasi che una riflessione radicale sul suono e su un paesaggio acustico diventi propedeutica a qualsiasi successiva riflessione. Mi pare una bella sfida, un bell'inizio: food for thought ma più che mai sound for thought.
Ottimo suggerimento di lettura questo. Luca
RispondiEliminaMitici Orphaned Land! Mi nutro della loro musica e a questo punto certo sto libro di cui parli. Saluti Simone
RispondiEliminaGrazie dei vostri commenti. Già, mitici... e longevi! Ma i gruppi metal hanno vita media superiore... alla media! Alberto
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