Ho chiesto a ciascuno degli autori un testo e, unitamente a questo, brevi risposte ad una microintervista composta di quattro domande. Li ringrazio tutti nuovamente, da qui, per la collaborazione e la simpatia. Mi auguro arriviate sino in fondo, anche se il post è lungo. Ma vale davvero la pena arrivare fino in fondo stavolta.
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YARI BERNASCONI
Una conversazione con T. (frammento)
«Un giorno bombardarono le baracche dove stavamo.
Io ritornavo da un colloquio col mio vestito bello,
l’unico, e una giacchetta beige. Scarponcini puliti.
Cominciammo a scavare, a cercare nel fango
la nostra roba. Ma tutto era stato inghiottito.
Io sembravo un pulcino, tra le macerie:
un punto bianco. Alla fine, sporca e ricoperta di terra,
chiamai mio padre. Non avevamo ritrovato nulla.
In quel momento ci appartenevano soltanto
le nostre ossa».
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Indipendentemente dall'avventura comune del Quaderno, dico senz'altro Osnabrück di Mariagiorgia Ulbar.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Senza pensarci troppo (che è anche, credo, l'unico modo per rispondere): Gli strumenti umani di Sereni, alcune cose di Fortini, Lavorare stanca di Pavese e Bocksten di Pusterla. Ma uno dei primissimi libri di poesia letti – o quantomeno sfogliati – è la traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master (scoperta a casa, su uno scaffale).
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Forse in tedesco (anche se sarei tentato di rispondere: in qualsiasi lingua a me incomprensibile).
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
Come il silicio per la crosta terrestre.
Una conversazione con T. (frammento)
«Un giorno bombardarono le baracche dove stavamo.
Io ritornavo da un colloquio col mio vestito bello,
l’unico, e una giacchetta beige. Scarponcini puliti.
Cominciammo a scavare, a cercare nel fango
la nostra roba. Ma tutto era stato inghiottito.
Io sembravo un pulcino, tra le macerie:
un punto bianco. Alla fine, sporca e ricoperta di terra,
chiamai mio padre. Non avevamo ritrovato nulla.
In quel momento ci appartenevano soltanto
le nostre ossa».
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Indipendentemente dall'avventura comune del Quaderno, dico senz'altro Osnabrück di Mariagiorgia Ulbar.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Senza pensarci troppo (che è anche, credo, l'unico modo per rispondere): Gli strumenti umani di Sereni, alcune cose di Fortini, Lavorare stanca di Pavese e Bocksten di Pusterla. Ma uno dei primissimi libri di poesia letti – o quantomeno sfogliati – è la traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master (scoperta a casa, su uno scaffale).
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Forse in tedesco (anche se sarei tentato di rispondere: in qualsiasi lingua a me incomprensibile).
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
Come il silicio per la crosta terrestre.
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AZZURRA D'AGOSTINO
Lago di Suviana
Una passeggiata poco prima di buio, fiori che non si sfanno
nella pineta scricchiolante e un bacino
d'acqua scura dove tremola il doppio del mondo.
Nei tuffi del cane, nei bastoni levati per gioco,
gente coi piedi a bagno, pescatori,
un ragazzino nel silenzio delle fronde.
Così è questo, l'altro volto del male
un tempo breve, un sollievo elementare.
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Non è l'ultimo ma mi ha lasciato il segno: La steppa e altre poesie di A. Tarkovskij.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Le primissime scoperte son stati tre grandi classici: Leopardi, Ungaretti, Montale e non in quest'ordine.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Mi è successo recentemente di vedere una poesia tradotta in giapponese. Vedere gli ideogrammi e non capirci niente credo sia la cosa più inaspettata.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
La goccia di un rubinetto che perde.
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FABIO DONALISIO
l.c.
ci sono cose spalancate
o socchiuse
magari spifferi, anche sibili
solo il saldo è concetto contabile
o, sia pur di conti, resa
il sigillo è roba di dio
(ovvero colui che vieta, non dice ma disse)
e la luce, ovunque
entra dalla crepa
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Riletto in questi giorni Macello di Ivano Ferrari. Ripropone intatta la violenza nuda e la capacità di incarnare e scarnificare. Grande sfida quella che sto ingaggiando con Sanjut de stran di Luciano Cecchinel, di cui, da dialettofono nordico ma occidentale, sto cercando di estrarre il succo dal legno. Restando in zona, plaudo agli endecasillabi di Francesco Targhetta, con cui la dialettica ormai è longeva. Un “scusate il ritardo”: Giuliano Mesa. Un “simile-dissimile”: l'ultimo Giovenale. Un appello: leggere Sui campi di battaglia di Nicola Peretti.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
I primordi, i prodromi. Se proprio devo sceglierne uno, Giorgio Caproni. Tutt'attorno, asserragliati: il Montale tardo e secondario, il Sereni degli Strumenti, Antonio Porta tutto, Pagliarani in vena di brevitas. Poi Ivano Ferrari ancora, arrivato un pelo dopo ma rimasto forse ancora di più, e il Planaval di Stefano Dal Bianco. Due stranieri vivi: Simon Armitage e Durs Grünbein. Un grande vecchio: Leopardi. Un insospettabile: Foscolo sepolcrale. Un “cantante”: Leonard Cohen (ma anche Mick Jagger, Iggy, Cave, Waits, Joey Ramone, per altri motivi). Un poeta in prosa: Roberto Bolaño.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
L'inglese che so, e il tedesco che non so, forse. Vorrei vedere i miei accenti seguire schemi quantitativi e i miei sostantivi flessi. Credo suonerei bene in latino, quindi. In cinese per l'effetto che fa il cantato tonale. Per il piemontese mi sto attrezzando da solo. Vedremo con che esito.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
La metrica è come memoria olfattiva, per me. La riconosci, la annusi con l'emozione, non con il raziocinio. C'è un periodo per educarla, degustarla con l'orecchio. Poi la possiedi senza coscienza e se la cerchi non la trovi.
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VINCENZO FRUNGILLO
[...]
Ma tentare, bisogna tentare,
perché il vuoto valga per ciò che vale,
resti una variante, sia lo sguardo pulsante,
ci distragga per un solo istante, ci porti a fondo,
ci porti a trasformare il tempo in spazio,
in camere e strofe, ci ricordi le parole,
la nostra scommessa finale. "Una volta Celan
chiese al maestro l'ultima parola.
Heidegger rimase scosso da tanta innocenza".
Ripeto la formula, una semplice equazione:
non si dice ciò che ci precede.
E allora si pone sulla bilancia la propria vita
(e la propria morte), chi tenga in equilibrio il tutto
non si conosce; la chiamo meccanica pesante
questo stare fermi a guardare il sistema di leve
in cui siamo entrati senza far rumore.
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Biografia sommaria di Milo De Angelis.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Arthur Rimbaud, Osip Mandel’štam, Vladimir Holan, Hölderlin, Tasso, Milo De Angelis, Elio Pagliarani.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Tedesco, anche se alcune mie strofe sono già state tradotte in questa lingua.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
L'agrimensore di Kafka.
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P’t [post]
Mi rialzo in quest’autunno
scalzo il senso delle tracce
(ardo? agghiaccio? serve?).
Io non fui l’erba,
o la foglia che s’assottiglia,
ma la soglia sempre sospesa,
forse la chiglia.
Ho picchiato in tutti gli angoli del labirinto,
rivisto nelle pozze
le trame, riletto il palinsesto.
Ho adesso muscoli dolenti,
ossa crocchianti,
la rabbia come patina sui denti.
So per certo che la trama è, non vista, nelle glosse.
Che il sentiero è rilkiano, fatto di sassi bianchi,
di sinossi sulla piega della carta.
Mi rialzo. E tolgo ad una ad una le schegge.
Non sono altro che tatuaggio, simbolo,
la polena sulla barca.
Quello che mi interessava di più, in questo testo, era esprimere il tratto biografico, le cadute, le impossibilità, i dolori: si tratta di una interrogazione al “destino”, evidenziato dal mitologema della barca e variato sul gender femminile (la polena). L’ho intarsiato di citazioni dalla tradizione lirica novecentesca per legarlo sia alla filologia, che ha formato la mia giovinezza (le glosse, la trama, la sinossi, il palinsesto), sia a quel meta-scrivere (Rilke e il suo Lettera a un giovane poeta; Le Labyrinthe du monde della Yourcenar) che è, per me, a qualche livello, la metafora stessa della vita e dell’intero libro di Èsodi.
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Il più recente è Antonella Anedda, Salva con nome, comprato qualche giorno fa. Ma ogni libro lascia addosso dei segni, dei glifi.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Primissime letture, alle elementari: Leopardi, La quiete dopo la tempesta. Pascoli con Myricae e Petrarca alle scuole medie. Torno sempre alla versificazione italiana (da Dante a Caproni) e ai temi della poesia europea.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Forse in Giapponese, lingua che sembra unire una vocalità melodica alla pittura, ai “mondi in grafia” degli ideogrammi.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
Mi piace paragonare la metrica al suono delle onde. Per me la metrica perfetta dovrebbe avere quella ritmicità, quella cadenza. E anche quelle burrasche, quelle impennate. Sarà che sono nata sul mare….
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Condominio Magnolia
La casa nuova mi piace è più grande c’è un ampio salone
c’è anche la stanza per un fratellino
nel condominio se l’ascensore si rompe ti tocca salire le scale
e un giorno ho portato alla mamma i sacchetti su fino in cima
le ho dato una mano a portarli all’ottavo piano
ma quando una volta mi sono affacciato
faceva paura vedere gli omìni piccini picciò
però non ho pianto mi sono affacciato soltanto una volta
faceva paura pareva cadessi e forse è cascata persino
la mamma dell’altro bambino che vive più sotto
non è che è cascata si è proprio buttata
è successo mentre dormivi ed era in ciabatte e vestaglia
diceva da tanto che urlava che povera donna il marito
è quello che ha sempre la borsa di pelle e fa il ragioniere
credo lavori in piazza puccini ma mamma ma mamma
ma come faceva? ma non ci pensava ai bambini?
è malata! è come la pazza del terzo piano che butta
i sacchetti della nettezza dalla finestra!
va sempre a comprare la birra ne porta su pacchi
ma quando la vedi non glielo dire mi raccomando
ma quando una volta tornavo da scuola non ho fatto in tempo
a entrare nell’ascensore ho pensato è maleducato
non aspettare una signora anche se pazza
però quella sembrava normale soltanto puzzava un po’ di sudore
e io stavo zitto non lo sapevo che dire avevo paura e pensavo
non è che la pazza adesso m’ammazza?
io non lo so come mai se n’è andato il marito
la vedi la panda in fondo al parcheggio? tu guarda è un rottame
in effetti non ha i finestrini né i seggiolini neppure il volante
è tutta vernice scrostata è stato il marito a lasciarla così
tu pensa da quanto quella macchina è lì
un giorno da qui me ne andrò per entrare in un coma
abbracceranno il mio corpo più morto che vivo e pesante
poi chiederanno una sedia perché non possiamo portarlo
dall’ottavo piano facendo le scale con la barella
è troppo rischioso perdiamo del tempo prezioso
spostalo tienilo eccolo legalo sgombra la stanza
ché fuori ci aspetta l’autoambulanza.
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Voluntary Servitude di Mark Wunderlich. Non è esattamente l'ultimo che ho letto ma senza ombra di dubbio l'ultimo che mi ha costretto a pormi un bel po' di domande.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Avevo sedici anni quando andai per la prima volta in libreria per comprare due libri di poeti italiani: erano Proclama sul fascino di Dario Bellezza e Vuoto d’amore di Alda Merini. Forse hanno lasciato un segno nel senso che il mio lavoro, ultimamente, sembra costruirsi intorno ai temi dell'omosessualità e del trauma. Il poeta che non smette di lasciare il segno però è Dante, ad ogni lettura. Temo sia inevitabile, soprattutto per un fiorentino.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Ho avuto la fortuna di vedere miei testi tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. Mi piacerebbe veder tradotto un mio testo in russo, giapponese o arabo, una lingua insomma anche visivamente più distante dalla mia.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
Direi che la metrica è una trivella cesellata a mano che penetra un terreno all'apparenza abbastanza desertico.
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MARIAGIORGIA ULBAR
Sono solo un uomo piccolo,
mi rimetterò in cammino
perché fermi stanno solo i morti
e mi vergogno a farmi accogliere da loro.
Andrò sul fondo, sulla sabbia
dove vivono le salme e i relitti
le stanze sotto, le silenziose parti;
voglio andare a vedere di che colore sono
a sentire quale idioma escogitano
lì dove sembra che parlare non si possa.
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Dico di quello che sto leggendo: Il grasso di lepre del poeta bosniaco Abdulah Sidran (Edizioni Casagrande), che raccoglie le poesie scritte tra il 1970 e il 2009. Un’immersione nella storia di Sarajevo, ma anche nel paesaggio e nell’immaginario dell’Europa dell’est, che è una parte di mondo che amo e mi attrae. E quella di Sidran è il tipo di poesia che ho voglia di leggere ora, una poesia che racconta, aderente alla realtà e con improvvisi vertiginosi stacchi di metafora. Come la poesia epica.
Poi ci sono le letture e riletture di Amelia Rosselli, Sandro Penna e Osip Mandel’štam, che mi accompagnano in maniera costante.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Appunto, come detto, Rosselli, Penna e Mandel’štam che lasciano continuamente il segno, insieme a certi versi di Pavese, Montale, Cardarelli, Cavalli e, tra gli stranieri, Bachmann e Eliot. Tra le primissime letture in versi: l’epica, l’Inferno di Dante, il Faust di Goethe (letto a 16 anni con pretese di leggerlo in originale, roba da pazzi!), La vita è sogno di Caldéron de la Barca, la prima Merini, anche.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Sicuramente in tedesco. Ma poi inglese, francese, spagnolo, urdu, afrikaans, rumeno, russo, hindi, armeno, turco… Tutte! Non è presunzione, è che le lingue e i passaggi e gli scambi tra esse che avvengono con la traduzione sono quanto di più interessante e stimolante ci sia per chi scrive e ha una formazione linguistica.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
Due similitudini: l’endecasillabo è come la mamma italiana: sempre legati e sempre a tentare di staccarci, di creare la frattura e di non lasciare che controlli tutto ciò che facciamo. E poi: la metrica come modo di camminare, andatura: cadenza ritmica e progressione, insomma qualcosa che ti tira avanti, una “macchina” fatta di muscoli volontari e involontari.
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MARIAGIORGIA ULBAR
Sono solo un uomo piccolo,
mi rimetterò in cammino
perché fermi stanno solo i morti
e mi vergogno a farmi accogliere da loro.
Andrò sul fondo, sulla sabbia
dove vivono le salme e i relitti
le stanze sotto, le silenziose parti;
voglio andare a vedere di che colore sono
a sentire quale idioma escogitano
lì dove sembra che parlare non si possa.
1. Ultimo libro di poesia letto che ha lasciato il segno?
Dico di quello che sto leggendo: Il grasso di lepre del poeta bosniaco Abdulah Sidran (Edizioni Casagrande), che raccoglie le poesie scritte tra il 1970 e il 2009. Un’immersione nella storia di Sarajevo, ma anche nel paesaggio e nell’immaginario dell’Europa dell’est, che è una parte di mondo che amo e mi attrae. E quella di Sidran è il tipo di poesia che ho voglia di leggere ora, una poesia che racconta, aderente alla realtà e con improvvisi vertiginosi stacchi di metafora. Come la poesia epica.
Poi ci sono le letture e riletture di Amelia Rosselli, Sandro Penna e Osip Mandel’štam, che mi accompagnano in maniera costante.
2. Quali le primissime letture, i poeti che lasciano continuamente il segno?
Appunto, come detto, Rosselli, Penna e Mandel’štam che lasciano continuamente il segno, insieme a certi versi di Pavese, Montale, Cardarelli, Cavalli e, tra gli stranieri, Bachmann e Eliot. Tra le primissime letture in versi: l’epica, l’Inferno di Dante, il Faust di Goethe (letto a 16 anni con pretese di leggerlo in originale, roba da pazzi!), La vita è sogno di Caldéron de la Barca, la prima Merini, anche.
3. In quale lingua ti piacerebbe veder tradotta una tua poesia?
Sicuramente in tedesco. Ma poi inglese, francese, spagnolo, urdu, afrikaans, rumeno, russo, hindi, armeno, turco… Tutte! Non è presunzione, è che le lingue e i passaggi e gli scambi tra esse che avvengono con la traduzione sono quanto di più interessante e stimolante ci sia per chi scrive e ha una formazione linguistica.
4. Se dovessi cercare una similitudine per descrivere il tuo rapporto con la metrica e il discorso metrico in generale, quale similitudine adotteresti?
Due similitudini: l’endecasillabo è come la mamma italiana: sempre legati e sempre a tentare di staccarci, di creare la frattura e di non lasciare che controlli tutto ciò che facciamo. E poi: la metrica come modo di camminare, andatura: cadenza ritmica e progressione, insomma qualcosa che ti tira avanti, una “macchina” fatta di muscoli volontari e involontari.
Un grosso in bocca al lupo a questi autori, tutti sorprendenti. Bravi! Caterina B.
RispondiEliminaLe interviste sono interessanti quasi come i testi e non capita spesso questo. INteressante. Giorgio
RispondiEliminaSpero di potervi ascoltare a una lettura pubblica, magari a Rovigo o zone limitrofe. Complimenti e ciao. Giovanni
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