Quando un editore rimette in circolo un titolo del genere, cambiandone la veste grafica, in un periodo in cui, alle ultime consultazioni elettorali, si è verificato quel che si è verificato, è normale pensare che stia facendo un'operazione instant, sulla scia dell'apparente fuoriuscita dei partiti dalla scena italiana. Che i partiti stiano scomparendo è fatto da dimostrare, così come è opportuno dimostrare subito che il Manifesto per la soppressione di partiti politici (già uscito nel 2008, ora riproposto da Castelvecchi, pp. 60, euro 6, con la prefazione di André Breton, una versione pdf del testo originale è reperibile qui) non merita di cucirsi addosso quest'abito instant. Naturalmente un titolo del genere, per altro abbastanza fedele all'originale, potrebbe lasciar intendere qualcosa di simile. Eppure credo non ci possa essere errore più grave di sradicare questa riflessione dal momento in cui è stata concepita e scritta, in una situazione storica, antropologica e culturale profondamente diversa, dove i partiti avevano tutt'altro peso e configurazioni, una diversa età anagrafica, in una realtà che è poi via via cambiata costantemente, in accelerazione. Da allora, anche questo costrutto teorico-reale di partito, che da più parti è stato osannato e vilipeso, è mutato profondamente. Pochi anni fa Mauro Scalise scrisse un libello dal titolo eloquente: Il partito personale. Già soltanto questi due libri, quello di cui parliamo e quello di Scalise, nelle loro posizioni, segnano il percorso fatto dal costrutto di "partito". Il partito fu anche presente in una delle nostre migliori storie repubblicane, quella Repubblica dei partiti di Pietro Scoppola che, assieme a Storia dell'Italia repubblicana di Silvio Lanaro, costituisce uno dei principali assi viari per lo studio post 1946. Questo mi serve per dire che dei partiti non possiamo liberarcene così facilmente e siamo/saremo chiamati a capire le ragioni dello scritto di Simone Weil, non certo a farne un'operazione banalmente attualizzante, per di più se vogliamo conservarne intatti l'incisività e il graffio nel presente (basti solo pensare alla deriva localistica, anche in senso nazionale e/o regionale dei partiti e paragonarla alle Internazionali ancor vive nella prosa della Weil).
Allora cosa salviamo di questo scritto del 1940 uscito poi sul numero 26 della rivista "La Table Tonde", nel 1950? Tutto, naturalmente, ma in particolar modo un ragionamento centrale sulla vaghezza della dottrina. Vi siete mai chiesti quale dolore e dissipazione esista nella vaghezza, nella vaghezza di cui parla Simone Weil? Qui non c'entra nulla il "vago" leopardiano. Parliamo di tutt'altra vaghezza, una vaghezza mortifera che genera veri mostri. Proprio laddove affronta questo concetto fondamentale della sua Note (e non "manifesto"), Simone Weil scrive:
Il fine di un partito politico è cosa vaga e irreale. Se fosse reale, esigerebbe un enorme sforzo di attenzione, in quanto una concezione del bene pubblico non è cosa facile da elaborare. L'esistenza del partito è palpabile, evidente, non esige alcuno sforzo per essere riconosciuta. È inevitabile, così, che in realtà il partito sia esso stesso il suo proprio fine.
Da qui si dipanano i successivi ragionamenti sulle tendenze essenziali dei partiti: totalitarie, repressive del senso di verità e giustizia, orientate a quell'educazione partitica che è la vera menzogna del secolo scorso e della quale la Weil è stata tra le prime ad accorgersene. A tratti si spinge oltre, come quando sconfina all'arte e alla letteratura parlando di Gide e Maurras come fondatori di "partiti". Pensiamo, come suggerisce Breton nella nota iniziale, a quando sorge questo scritto, dopo il mortifero 1940 francese, e allora capiremo meglio anche che questa soppressione altro non sarà che una lunga e maturata operazione di "disinganno collettivo". Insomma, i motivi per trasformare questa "Nota" in un'opportunità di ripensamento dell'ipocrisia partitica e dell'ipocrisia che sta dietro all'etichetta "partito" ci sono tutti e sono ben maggiori di quelli che lascerebbero scivolare questo sofferto scritto nel mare degli instant-books. Il ragionamento di Simone Weil è radicale, distruttivo. Non so se sia quello di cui oggi abbiamo bisogno in primis, sicuramente necessitiamo urgentemente di un ripensamento preciso dell'ectoplasma partitico, che si faccia forte dei nuovi saperi e di una cultura e realtà mutate velocissimamente in poco tempo. In questo l'urgenza, meritevole, della riproposizione del libro. Ma è estate, non è un libro da spiaggia questo, seppur piccolino e leggero. Mal che vada si può leggere in campagna, ascoltando le cicale e i piccoli grilli; soprattutto quest'ultimi, facendo attenzione a non sottovalutarli e ignorarli.
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