Gli scritti di Denis Cosgrove e Pierre George sono assai brevi e si concentrano su quelle manifestazioni di vita che non hanno mai smesso di affascinare le popolazioni di ogni latitudine: la sfida di lunga durata di Venezia, lo sguardo da angiporto della città, a Sud verso il Mediterraneo (orientale), verso occidente, sul Po, e quello costante verso Nord all'apporto dei fiumi alpini (assai più pericolosi del mare, e ben presto domati, nell'epoca d'oro della regimentazione idraulica), i parallelismi con altre "civiltà idrauliche" (pensiamo a quella fiamminga), il rizoma di ghebi, velme e barene visibili e cangianti, i palazzi magnifici, e poi - non potevano mancare - i rimandi continui all'apogeo della Repubblica Marinara fino al crollo definitivo della Serenissima in epoca Napoleonica. Cosgrove, ne Il paesaggio palladiano, aveva già approfondito un tema ricorrente in tutti i contributi di questo volume, vale a dire quel basilare rapporto tra Venezia e la morfologia di quella terraferma che riconosciamo navigando in auto tra la laguna e le Alpi. Qui, grazie all'imprescindibile studio di Turri, non può non emergere anche il vibrante tremolio di un rapporto mai dato una volta per sempre, quello tra la "megalopoli padana" (titolo di un suo noto saggio) e la città lagunare. Oggi, con il mare forse passato in secondo piano, tale tremolio è diventato ancor più abbagliante e instabile, come un'acqua colpita dal sole, e sotto gli occhi di tutti.
Il cuore del libro è il più articolato ed esteso contributo di Eugenio Turri, la vera perla. "Perla" è anche l'immagine che il geografo utilizza per creare una similitudine tra Venezia e la laguna, una perla nella sua valva attaccata al respiro delle maree, alla morfologia delle barene. Come ci ha abituato in altri mirabili saggi, Turri ha il dono di una prosa scientifica in grado di collocarsi sempre nel confronto col mito e le sue pulsioni, con i più avanzati "momenti" dell'antropologia, della storia e naturalmente delle "sue" materie: la geologia e la geografia prima di tutto. Il suo contributo a questo volume è già tutto nell'efficacia della sua scrittura: come è pensabile reggere l'equilibrio su un argomento così fragile e condurre il lettore dal caos primigenio della natura alla meravigliosa antropizzazione di Venezia, all'utopia veneziana se non si possiede quel tipo di formazione umana e intellettuale che ha interessato Eugenio Turri? Chi meglio di lui ha saputo cogliere i vettori di sviluppo, le linee di forza e le fragilità intimissime della "valva di Venezia", per poi concludere nella collocazione - oggi più che mai necessaria - della perla veneziana nel più ampio panorama regionale e nazionale, mostrando pertanto anche la nuova inclinazione dell'asse del "pianeta Venezia", verso occidente e verso settentrione? Turri non è certo nuovo a questa prosa, ed è per questo che il suo lavoro diventa imprescindibile ogni qual volta si cade nella parola "paesaggio", un lascito indispensabile per non rischiare di perderci, per poter rimaner attaccati alla nostra valva di pensiero, un pensiero che sta dentro il paesaggio.
Come suggerisce Brodskij nella sua introduzione, il libro che potete avere tra le mani anche voi "medita la fuga. La fuga di una città dal suo presente; per non parlare poi del suo futuro. Esso esamina ogni aspetto della carcerazione di questa città da parte dell'Età dell'Avarizia. Perché ogni prigione è opera dell'uomo: a maggior ragione quella ecologica." Tutto il suo scritto è un mirabile esercizio sul concetto di "fuga". Definisce questo libro "manuale di sopravvivenza della città di Venezia". Bastavano queste poche necessarie parole per illuminare pagine altrettanto necessarie. Avevo una nonna che quando voleva parlarmi della pazienza, di un mondo, di un uomo e di tempi forse sprofondati (loro sì, a differenza di Venezia!) diceva circa: "Una una pietra dopo l'altra hanno costruito pure Venezia". Lo diceva in dialetto, nel dialetto trevigiano, quello che risente più del veneziano che dell'apporto prealpino. Credo che in quel modo di dire ci fosse molto e si possa ravvisare ancora oggi quell'essenza di acqua, aria e luce che si salva, ad ogni istante, nelle architetture di questa città duplice, ambigua, eccezionalmente anfibia.
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