lunedì 17 dicembre 2012

da "La chèrta da zugh" e "Sòta la guàza". Un'intervista con Annalisa Teodorani

Una poesia da #15
Librobreve intervista #8

Cambio leggermente formula. Per introdurre la bella poesia in santarcangiolese di Annalisa Teodorani (qui accanto ritratta da Manuel Migliorini) ricorro a un'intervista. E poi lascio una manciata di testi, uno brevissimo, quasi-haiku, come spesso capita nei suoi libri che sono Par sènza gnént (1999), La chèrta da zugh (2004) e Sòta la guàza (2010). I libri da cui provengono queste poesie sono editi dalla società editrice Il ponte vecchio. L'invito è quello di cercare di agganciare questi libri e questo dettato, per capire come potenza e discrezione assorbano la lettura. Inevitabile poi pensare ad una lettura ad alta voce, dato che nel dialetto questo pensiero di ascolto della poesia letta si fa ancora più forte. Ma non mancheranno le occasioni per ascoltarla.



LB: La tua poesia si inserisce in un solco importante, dove appaiono i nomi di Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Nino Pedretti e, anche se poco ricordato nel tuo caso, Giovanni Nadiani (pur nella diversa area di provenienza). Credi abbiano parte importante nella tua scelta di scrivere e scrivere in dialetto?
RISPOSTA: Non nego che nascere a Santarcangelo sia stata per me una grande fortuna. E' sulle pagine degli autori che citi nella domanda a cui, per altro, vorrei aggiungere doverosamente i nomi di altri due grandi poeti santarcangiolesi: Giuliana Rocchi e Gianni Fucci che mi sono formata. Ma io il dialetto l'ho sempre avuto dentro e nella forma, forse poetica, ha preso poi una sua naturale declinazione. Come tutti ho dei padri.

LB: Allarghiamo lo sguardo ma restiamo al dialetto. La poesia dialettale del Novecento ha riservato forse le sorprese più belle. Ci sono altri poeti che hanno scritto in altri dialetti e che sono stati importanti nella tua formazione? 
RISPOSTA: Sicuramente in primis citerei Trilussa, il primo autore dialettale con cui venni in contatto sin dai tempi delle medie. L'autore dialettale non romagnolo che più mi affascina, forse per quella vena di intimismo a cui anche io ogni tanto cedo, è Biagio Marin.

LB: Credo sia interessante ascoltare quali altri poeti, italiani o stranieri, abbiano lasciato il segno sul tuo sguardo e sul tuo impasto fonico.
RISPOSTA: Fin dalle elementari Pascoli e Leopardi giocarono un ruolo importante. Passando poi per Montale e successivamente al rapimento per i maestri santarcangiolesi, arrivai ben presto alla scoperta di Emily Dickinson e Antonia Pozzi della cui poesia subisco il fascino per quel suo essere così sognante e cruda, insomma necessaria.

LB: C'è un senso marcatamente politico o sociale, a tuo avviso, insito nella scrittura in dialetto? 
RISPOSTA: Si può esserci, ma bisogna saperlo veicolare bene. La poesia per così dire "impegnata" o civile è cosa assai alta per cui o la si sa fare o è meglio lasciar perdere. Fra i santarcangiolesi fu proprio Giuliana Rocchi, attivamente impegnata nella lotta per i diritti dei lavoratori a farsi portavoce in maniera mirabile di questo tipo di poesia, lei bambina lavoratrice che lasciò gli studi per portare a casa la "pagnotta", scrisse brani di uno sconvolgente verismo con picchi di lirismo.

LB: Esiste talvolta in te una "tentazione della lingua"?
RISPOSTA: Eccome se c'è, ma occorre non aver fretta e non improvvisarsi. Ho senz'altro anche io bisogno di aprire un altro rubinetto. Non è affatto un pensiero latente quello della scrittura in sola lingua italiana... vedremo.

LB: A prescindere da dialetto o lingua, ciò che fa di qualcuno che scrive un poeta è anche uno sguardo, una certa andatura nel camminare il mondo talvolta, un ritmo del respiro, l'inclinazione della voce. Nel tuo caso mi sembra che ognuno di questi "parametri", forse troppo corrivamente individuati, sia già giunto ad una pienezza che merita l'attenzione di un pubblico allargato. Al di fuori della comunità dei parlanti la lingua in cui scrivi, quali riscontri e attenzione stanno ricevendo i tuoi libri?
RISPOSTA: Qui tocchi una nota dolente. Senz'altro negli anni, sebbene i miei spostamenti siano a corto raggio, in un certo senso qualcosa di me e del mio lavoro in primis sono riusciti a valicare i confini della Romagna e a raggiungere le varie regioni d'Italia. Recentemente mi è capitato di prendere contatti anche con persone non "addette ai lavori" che casualmente si erano imbattute nei miei versi presenti in rete e mi hanno cercata per esprimere le loro sensazioni a riguardo o propormi qualcosa. Questo aspetto "casuale" mi dà una grande carica, rilasciandomi un'energia che mi porta a proseguire in quello che faccio e soprattutto a crederci là dove io, per qualche motivo, avrei la tentazione della resa o della latitanza.
Visto che il Natale si avvicina, esprimendo un desiderio, direi che mi piacerebbe che i miei libri fossero distribuiti sul territorio nazionale ma mi rendo conto che il dialetto porta con sé un forte contraltare in tal senso ed io pubblico con una casa editrice molto solida e radicata sul territorio che però fa fatica, con il vernacolo, ad imporsi sul territorio nazionale.




Par fè Nadèl

Dal vólti
par fè Nadèl
e’ basta l’udòur d’un mandaròin.


Per fare Natale
A volte / per fare Natale / basta l’odore di un mandarino.



Amòur

Fa’ còunt e’ Vajònt
una muntàgna ch’la va zò tl’aqua.
l’amòur l’è un invarnèda
ch’la giàza al tubadéuri
una diga
senza gnénca un rubinèt.


Amore
Immagina il Vajònt / una montagna che frana nell’acqua. / L’amore è un inverno / che gela le tubature / una diga / senza nemmeno un rubinetto.



L’arzént dla nòta

La nòta l’è fàta d’arzént
sa tótt cal stèli
ch’a l chésca, chisà duvò
e me ch’a m’inmàzni
d’andèn a cói la pòurbia.
L’arzént l’è tal bèvi dal lumèghi
in purtisiòun so ma la méura
te sòun di campanéll tachéd mi culèr di gat
tal fòi d’ulóiv…
L’arzént l’è te vént, quant l’è zantóil
ch’u t pàsa una mèna tra i cavéll
u ti còunta cmè a dói “a so a què”
e alòura u t pèr
ch’l’apa la vòusa
ad tótt quèi
ch’i t’à vlu bén.


L’argento della notte
La notte è fatta d’argento / con tutte quelle stelle / che cadono, chissà dove / ed io che mi immagino / d’andare a raccoglierne la polvere. / L’argento è nelle bave delle lumache / in processione lungo la mura / nel suono dei campanelli attaccati ai collari dei gatti / nelle foglie d’ulivo…/ L’argento è nel vento, quando è gentile / che ti passa una mano tra i capelli / te li conta come a dire “sono qui” / e allora ti pare / che abbia la voce / di tutti quelli / che ti hanno voluto bene.

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