Gadda con Pasolini |
Il 21 maggio del 1973 si spegneva a Roma Carlo Emilio Gadda. Era nato a Milano nel novembre del 1893. Difficile individuare nel gliommero delle opere un libro breve che oggi possa offrirmi lo spunto per ricordare l'ingegnere. Potevo forse scegliere Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, il primo libro che di Gadda lessi, prestato in una gialla edizione Garzanti dall'insegnante di lettere, durante le settimane in cui si era soffermata sul detestato (da Gadda, non certo da me e credo nemmeno dalla mia insegnante) Ugo. Lo ricordo come aneddoto positivo, quasi un esempio tra i tanti di come si possa spaziare in avanti e indietro nell'insegnamento della letteratura alle superiori. Ogni tanto mi chiedo se sia il caso di trattare il Novecento in terza superiore e Dante, Petrarca e Boccaccio prima della maturità. Potevo anche, cabalisticamente, affidarmi a un titolo di un volumetto einaudiano, bello e smilzo, di Gianfranco Contini. Mi riferisco a Quarant'anni d'amicizia, il quale raduna vari scritti gaddiani del critico di Domodossola. Ma sarebbe stato un ricordare Contini e non Gadda. E non mi andava bene. Trovo che possa aver più senso ricordare Carlo Emilio Gadda a partire da un versante meno praticato della sua scrittura: la traduzione. Com'è noto, Gadda tradusse dallo spagnolo. Negli anni Venti trascorse infatti qualche anno in Argentina, dove svolgeva la propria professione di ingegnere, è lì affinò la propria conoscenza di quella lingua. Contini ebbe a definirlo "traduttore espressionista", proprio in uno scritto del volume appena citato che potete trovare anche nel sito de "The Edinburgh Journal of Gadda Studies" (EJGS), con un comodo clic qui. Con Gadda gli epiteti però si sprecano: da espressionista a meneghino, da uomo d'ordine a ingegnere fino a chi lo vede come l'ultimo scapigliato. Che sia stato addirittura il precursore del "giallo italiano di qualità"? Non credo... Credo invece siano questi i modi sicuri di esprimersi di una critica che non esiste più, di una critica ancor oggi imprescindibile, certamente in salute, in grado di spiegarsi molte cose e di far defluire in solchi precisi l'opera di un dato autore. Eppure a volte ho sempre più netta la sensazione che si tratti di una critica trapassata, che ha attraversato tutto il corpus dell'opera di certi autori. Oggi invece abbiamo forse più bisogno di una critica non trapassante, che perimetri l'opera, la sfiori senza perforarla. Per questo potrebbe essere interessante ricordare Gadda anche a partire dalla traduzione, da quell'attività "faticosa" che pendola tra un massimo rigore e una massima libertà, interpretata da Gadda stesso in un modo tanto insindacabile e anarchico quanto così delicato nei confronti dell'opera di partenza.
E cosa fa Gadda quando traduce Alarcón per la prima volta? Direi che non è "tracotante". Scrive, ed è Gadda. Innesta nella propria vita e scrittura rampicante il palinsesto feroce di questa commedia di frottole, antecedente di tre secoli abbondanti l'evo gaddiano. Trovo significativo che uno studioso come Federico Bertoni abbia preso a prestito questo lavoro di Gadda per intitolare un suo importante volume, La verità sospetta. Gadda e l'invenzione della realtà. Il nodo tra letteratura-verità-realtà è la base di qualsiasi ragionamento attorno a Gadda e il nostro sembra aver puntato un dito già negli anni in cui a Roma si occupava di radio e traduzione. Claudio Vela conclude il suo accuratissimo intervento scrivendo:
"Parlare di 'traduzione' è convenzionale, davanti a questa spregiudicata operazione di presa di possesso. Così Gadda risolve a suo modo nella prassi, senza proclami teorici, il problema della traduzione. Se la traduzione è un mestiere difficile, o addirittura impossibile, Gadda si ritaglia una soluzione, per quanto troppo originale per essere esportabile: ridurre a sé (ma ci vorrebbe un verbo non riduttivo, forse 'elevare') il diverso da sé. Come un Mida della letteratura, Gadda trasforma in Gadda tutto ciò che tocca".
Senza proclami teorici. Appunto. Oggi, a quarant'anni dalla scomparsa, abbiamo forse meno bisogno delle etichette gaddiane che troviamo precise e vibranti anche in Contini, il quale resta comunque una strettoia irrinunciabile per avvicinare il gomitolo-Gadda. Oggi dobbiamo sicuramente fare a meno di pensare alle molte (troppe?) categorie che hanno provato a sgomitolarlo, non da ultima quella sterile, arida e facilona del "virtuosismo linguistico". Certo, Gadda non è facile e per certi aspetti si fa fatica a spiegare il suo successo (non limitato ai confini italiani) degli ultimi decenni. Tuttavia, solo negli ultimi tempi è talora invalso un pericoloso avvicinamento e proporzionalità diretta tra la facilità di accesso alla letteratura e la sua rilevanza storica e sociale. La fatica, il sudore che esce dai pori leggendo Gadda, non è però da considerare inutile sovraccarico, ma liberazione da tossine. La stessa sua somma sensibilità per la questione linguistica, bussola o Holzweg-dannazione di tanti grandi autori italiani, ce lo dimostra. A quarant'anni dalla morte potremmo provare a ricordare questo grande del Novecento tentando le prime note di un inno alla buona fatica. Chissà che suono avrebbe... Intanto del nostro non si occupa la musica bensì il cinema: per questa ricorrenza sta per uscire il film di Mario Sesti Fiamme di Gadda. A spasso con l'ingegnere.
anniversario passato in secondo piano?!? mi pare...
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