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Oggi pensavo ai rapporti tra poesia e malattia e, anche se su Librobreve sono stati frequenti i ripescaggi di vecchie recensioni negli ultimi tempi, ho deciso di proporvene un altro (prima o poi vuoterò il sacco delle recensioni a libri brevi fatte in passato). Quella seguente, ad esempio, è una recensione che scrissi ad un libro di Alberto Bertoni. Ricordo di aver ascoltato alcune delle poesie contenute nel libro dalla voce dell'autore, a Treviso, anni fa. La recensione, se la memoria non tradisce, fu scritta per il sito della rivista daemon. Il libro di cui parlo si intitola Ricordi di Alzheimer (Book, 2007, pp. 96, € 12, ancora reperibile).
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Il
titolo di quest’opera poetica di Alberto Bertoni è uno di quelli che mette
subito in cortocircuito le nostre sinapsi, e non solamente per quel suo
andamento ossimorico e paradossale. Se il morbo di Alzheimer distrugge memoria
e ricordi (spesso punti di partenza o approdo del fare poesia), qui i ricordi
di Alzheimer sono quelli di una stagione di una vita, degli affetti vissuti da
chi conosce giorno dopo giorno la lacerante esperienza di vivere con una
persona cara la cui memoria sta andando in frantumi.
Il tema è sicuramente di grande
attualità letteraria (a vari livelli, in più generi) e la malattia è sempre
stata una presenza forte tra chi scrive (non sono pochi gli scrittori presi a
prestito dalla medicina). Mancava forse un libro di poesia che indagasse questo
versante della malattia dei ricordi e della memoria, versante che si potrebbe
leggere in modo speculare all’onnipresente cura per il tema centralissimo della
memoria, con tutte le sue biforcazioni e i suoi rizomi. Esiste tuttavia
un’autonomia inalienabile nell’affrontare questi temi che è propria della
poesia. Se in narrativa tutto ciò che riguarda la memoria (in positivo o
negativo) è quasi sempre funzionale alla costruzione della storia, dei
personaggi (per non dire del raggiungimento di esiti comici o tragici), la
poesia non può non mostrare una propria specificità nell’istante in cui
avvicina i territori franosi e smottati dell’identità e della memoria colpiti
dalla malattia. Nella poesia c’è la quotidianità del vissuto registrato dalla
parola, che però non è una parola diaristica (nonostante il periodo di
osservazione di dieci anni possa dirsi da diario). Nella poesia di Bertoni c’è
quell’incidere tipico della musica che intaglia con agilità di un pizzicato
tutte le stagioni del dolore in un tronco di vita e forse, non a caso,
l’entrata in questo bosco terminale è affidata ad un prefatore d’eccezione e
conterraneo dell’autore, Francesco Guccini.
In Ricordi di Alzheimer la
descrizione della malattia lascia filtrare una lingua che pendola dalla
vegetazione e ai profondi insegnamenti della geologia, dalle cose in moto alle
cose immobili e che crea toni e sensi nuovi per il lettore: «Alza una vela di
mollica / la mia faccia bastonata / sul vasto scioglimento del cervello /
vecchio alle prese con se stesso, specchio / e lichene senza peso»,
«Riconoscere il fischio dei camion / Caronte sulla Genova-Livorno», oppure
«Ridotto a una pianta di geranio / morta in un attimo, a gennaio».
Nel passaggio dove leggiamo «Ma come sono
fatti i morti / con i quali tutti i giorni / chiacchiera mio padre?» avvertiamo
con maggiore forza quella alienante comunione nella separazione che
contraddistingue il rapporto tra il figlio e il padre malato che si sta
spegnendo: poche volte ce ne rendiamo conto, ma il pensare la morte è tutto
fuorché un’esperienza scontata. Il pensiero di una persona morta è qualcosa che
avviene in modo quasi oltraggioso nel nostro cervello e in modo del tutto naturale
quest’attività misteriosa di sinapsi ha trovato un suo posto nella poesia di
Alberto Bertoni. Provare a raccontare la malattia e la morte con parole nuove,
questo è il tentativo pienamente riuscito all’autore.
cercavo poesie su questa malattia, grazie non sapevo di questo libro di alberto bertoni. mara
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