Ogni volta che si avvicina l'opera della Sachs sembra inevitabile ricominciare daccapo, da tutti i temi e i tempi più atroci che l'hanno attraversata: la migrazione indotta dal Nazismo, l'esilio svedese, la devastazione materiale e spirituale della Shoah sperimentata da sopravvissuta. I testi-epitaffi che Chiara Conterno ha tradotto e radunato qui appartengono al periodo 1943-1946 e disseminano pertanto un momento fondamentale della vicenda personale e del continente europeo stesso: dai momenti più difficili della guerra al primo anno senza la guerra. Sono componimenti per lo più brevi, per lo più riportanti un titolo e due iniziali relative al nome della persona alla quale sono dedicati (non tutti però, ad esempio quello intitolato Die Mutter è dedicato probabilmente alle madri e non a una madre soltanto, visto che non è seguito da iniziali). A volte - e lo scopriamo nelle ricche e curatissime note a piè di pagina, ricavate anche dalle lettere riportate in appendice - conosciamo il destino dei dedicatari, altre volte lo ignoriamo, o meglio, ad un certo punto della deportazione le tracce si perdono. Non conosciamo allora né nomi di luoghi né date di morte certe o presunte. Tutto questo ci fa pensare anche all'imponente lavoro di ricostruzione di percorsi di morte che la Shoah ha innescato a guerra in corso e appena terminata. Sono tutte persone che riaffiorano nella memoria famigliare e negli affetti dell'autrice, che anziché affidare l'epitaffio alla pietra lo affida all'aria, alla voce, al vento. Facili potrebbero diventare le associazioni, anche con testi fortunati come la Spoon River di Masters. A ben vedere, a ben ascoltare soprattutto, la poesia della Sachs in questo frangente è fatta di un fiato flebile che sa dire, per contrasto, l'assordante verità dell'esistenza di queste vite cancellate dalla furia distruttrice dell'Olocausto.
Epitaffi scritti sull'aria diventa allora un libro di memoria profonda nel senso quasi "liturgico", di ritratti accennati e perciò ancor più vibranti, nato dalla necessità di accendere i ricordi, di bruciare di ricordo: persone, visi e movimenti - in altre parole un frammento di tempo - catturati e consegnati ad una eternità stranita e turbata profondamente dalla tragedia che ha spazzato una comunità. Così avviene avviene anche, ad esempio, nel componimento scritto nell'estate del '43 e dedicato allo studioso di Spinoza, l'insegnante privato Hugo Horwitz, marito claudicante di un'amica, Dora Jablonski. E c'è traccia di una lettera della Sachs indirizzata a Gudrun Dähnert dove scrive dei coniugi Horwitz, deportati a Theresienstadt l'8 settembre 1942. A Theresienstadt i coniugi Horwitz non vi arrivarono mai.
DER SPINOZAFORSCHER [H.H.]
Du last und hieltest eine Muschel in der Hand.
Der Abend kam mit zarter Abschiedsrose.
Dein Zimmer wurde mit der Ewigkeit bekannt
Und die Musik begann in einer alten Dose.
Der Leuchter brannte in dem Abendschein;
Du branntest von der fernen Segnung.
Die Eiche seufzte aus dem Ahnenschrein
Und das Vergangne feierte Begegnung.
LO STUDIOSO DI SPINOZA [H.H.]
Leggevi tenendo una conchiglia in mano.
Con una delicata rosa d'addio giunse la sera.
La tua camera conobbe l'eternità
E la musica cominciò in un vecchio carillon.
Il candelabro ardeva nella luce del tramonto;
tu ardevi della lontana benedizione.
La quercia sospirava dallo scrigno degli avi
E il passato celebrava l'incontro.
(Traduzione di Chiara Conterno)
capito oggi qui per la prima volta. un bel blog mi pare.
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