Marco Sonzogni |
Il libro pubblicato da Archinto |
RISPOSTA:
Sono le scosse “normali” che scandiscono le vicende umane di un uomo e di una
donna che si innamorano, vorrebbero stare insieme, ci provano, ma alla fine per
una ragione o per un’altra, non ci riescono. Nel caso di Irma e di Eugenio,
come per tutti, la prima scossa è senz’altro quella del primo incontro, del
famigerato colpo di fulmine, nel luglio del 1933, a Firenze. Eugenio Montale
non ha la più pallida idea di chi sia questa giovane, colta e affascinante
americana di nome Irma Brandies che chiede di incontrarlo (lui è direttore del
prestigioso Gabinetto Vieussuex, che lei frequenta). Lei invece sa già
abbastanza di lui: gliene hanno parlato Gino Bigongiari (con cui ha una
relazione piuttosto complessa) e Leo Ferrero (anche con lui ha una breve
relazione), da cui riceve una copia di Ossi
di seppia (quella stampata da Carabba nel 1931, quindi la terza edizione)
che subito divora. La lettura instiga il desiderio di conoscere personalmente
l’uomo che ha scritto poesie così belle: e se da un punto di vista estetico
Eugenio non fa certo colpo su Irma, da un punto di vista poetico e
intellettuale tra i due si instaura un legame che è subito forte, profondo,
necessario ma anche difficile, problematico – un oceano di distanza li separa
per buona parte dell’anno, colmato all’inizio da una corrispondenza fittissima,
e poi un mare di problemi (soprattutto di Montale) piano piano li separerà per
sempre. La seconda scossa è sicuramente la scoperta da parte di Irma –
inquivocabilmente solo nel 1935, dopo due anni, quindi, di sentimenti, speranze
e progetti – che Montale è legato a un’altra donna, quella che lei continuerà a
chiamare “X”: la Mosca, Drusilla Tanzi Marangoni. Valgono poco le tardive
spiegazioni di Montale: sarebbero anche state, in un certo senso,
comprensibili, ma l’averle taciute non lo mise in buona luce, diciamo così. La
terza scossa è il mancato incontro quando Montale si reca negli USA a bordo del
volo inaugurale Roma-New York nell’estate del 1950. Di questa occasione persa
ci restano solo ricordi avvolti in parte nel mistero e sui quali dubito si
possa arrivare a mettere la parola fine. Certo è che Montale, nelle poche ore
in cui si trova nella Grande Mela, telefona a un’amica, sua e di Irma, Giovanna
Calastri (la stessa che gli telefona nei versi di Una musa oltreoceano) ma non ha il coraggio di
chiamare Clizia – o meglio, fa il numero ma poi riattacca. Chissà perché
(soprattutto per poi raccontare l’accaduto a Irma in un biglietto purtroppo
andato perso). La quarta scossa, silenziosa, è la morte della Mosca – con lei
in vita Irma, che in Italia di tanto in tanto faceva ritorno (per esempio va a
fare la volontaria in occasione dell’alluvione di Firenze del 1966), non aveva
mai cercato di riallaciare i contatti con Montale. La quinta e ultima scossa –
dopo le crescenti attenzioni che gli studiosi (in particolare Luciano Rebay e
Glauco Cambon) riversano su di lei, a volte con irrispettosa insistenza,
soprattutto a seguito dell’assegnazione a Montale del Premio Nobel per la
Letteratura – è la pubblicazione dell’edizione critica dell’Opera in versi di Montale nel dicembre
del 1980. Irma riceve una copia con la dedica di uno dei due curatori,
Gianfranco Contini, e un biglietto quasi illeggibile dello stesso Montale, che
le dice di considerarla ancora la sua divinità, e le chiede quando e come si sarebbero
riincontrati. Siamo nel giugno del 1981. Da quel momento, con la mediazione di
amici “di lunga fedeltà”, Irma ed Eugenio cercano di riincontrarsi per
guardarsi negli occhi un’ultima volta, mezzo secolo dopo il loro primo
incontro. Ma il 13 settembre, quando Irma sta per mettersi in viaggio alla
volta di Milano, Cambon le telefona per dirle che Montale è morto.
LB: Quando nasce e come
prende forma il progetto di questo libro pubblicato da Archinto e dedicato al
rapporto tra Montale e Clizia, l’ispiratrice del sesto mottetto de Le occasioni
dal quale è stato preso il titolo del volume? A tuo sentire, il costrutto
celeberrimo di “visiting angel” tiene ancora bene con il passare degli anni o
forse andrebbe rivisto dalla critica?
RISPOSTA: Nel
1999, grazie alla mediazione dell’amico Bill Weaver, che era Irma Brandeis
Professor of Literature a Bard College, sono entrato in contatto con Jean Cook,
amica ed esecutrice letteraria di Irma Brandeis. Ci siamo sentiti per email e
per telefono, per qualche anno, e poi ci siamo conosciuti di persona: prima a
Dublino, dove io abitavo e dove lei aveva accompagnato una scolaresca, e poi a
New York (sto per tornarci tra poche settimane, proprio per parlare di questo
libricino alla Fordham University e per rivedere Jean e altri amici newyorkesi).
Un rapporto di amicizia e di fiducia subito forte e trasparente: a me, come a
lei, premeva far conoscere la storia di Irma Brandeis – quella di Clizia
l’aveva già raccontata in versi Montale; e dalle lettere di Montale a lei, pubblicate
nel 2006, di Irma non emerge più di tanto. In tutti questi anni, quindi, ho
avuto modo di studiare le carte di “I.B.”: lettere, diari, traduzioni,
racconti, studi accademici – e, allo stesso tempo, parlare con persone che
l’avevano conosciuta. Così è stato quasi come averla conosciuta anch’io e
spero, con i miei lavori, di aver contribuito a far conoscere una donna il cui
valore umano e intellettuale va ben oltre quello di musa montaliana... Quindi, se si vuole davvero capire e apprezzare chi è stata Irma Brandeis, non solo la definizione di salfivico visiting angel – perfettamente legittima, con l’intercessione di Beatrice e Laura – ma anche il nome stesso “Clizia” – scelto per Brandeis da Montale sempre sulla scia del poeta sommo, come ha chiarito Contini – vanno ad un certo punto messi da parte. Del resto Irma stessa, ormai vecchia ed esasperata, ha cercato di liberarsi, una volta per tutte, delle responsabilità mitopoietiche di cui l’ha investita Montale.
LB: Nel libro trovano
spazio materiali inediti? Da dove provengono e come li hai montati nel tuo
discorso?
RISPOSTA: In
tutti i miei scritti su Montale e Brandeis ho presentato carte inedite. In
questo caso di stratta di tre lettere – due di Gianfranco Contini e una di
Cesare Vivante – e di fogli sparsi con prove di traduzione di poesie di
Montale. Come tutte le altre carte che ho studiato e pubblicato anche queste
sono in possesso di Jean Cook. Credo fermamente nell’autorità del documento: la
mia lettura e le mie interpretazioni sono quindi state costruite intorno a
queste carte. Sono loro a parlare, io ho fatto solo da tramite.
The Ladder of Vision, il saggio su Dante di Irma Brandeis |
LB: Qual è stata per te
la cosa più bella, la scoperta più emozionante nella scrittura di questo libro?
RISPOSTA:
Sicuramente la lettera di Cesare Vivante, trovata quasi per caso in un folder gonfio di fogli e ritagli di
giornale che non promettevano niente di interessante (tra l’altro era l’ultimo
faldone che mi era rimasto da scartabellare e non so proprio spiegarmi come sia
finita lì). E poi l’incontro con Cesare (e sua moglie Mirella), a Milano: un
momento davvero emozionante e commovente. L’affettuosa accoglienza affetto, il
nitido ricordo di Irma e di Montale nella casa dei genitori, Leone e Elena
Vivante, a Villa Solaia, in Toscana, e poi il ricordo della figlia, Elena anche
lei, tragicamente morta giovane, inseguendo l’amore... Tra le carte mi ha
sicuramente colpito anche la testimonianza – in poche lucide righe manoscritte
– del triangolo in cui Irma finì suo malgrado a trovarsi: lei, lui (Montale) e
l’altra (la Mosca), e la risoluzione del dispiacere per quanto successo
affidata a Dante.
Irma e i gatti... |
RISPOSTA: È
stato scritto tanto su queste due bestiole. Montale stesso, camuffato da Mirco,
ha raccontato la cosa e credo che in questo caso gli si possa credere. Altri
hanno poi confermato (appartenevano a un tizio di Modena ma questo tipo di
dettaglio, poeticamente, conta poco o nulla). A Irma piacevano gli animali, i
gatti soprattutto, ma anche quelli meno comuni, come appunto i due sciacalli
portati a spasso dal servo gallonato sotto i portici di Modena. Ci sta quindi
che siano un suo senhal. Ho provato a
frugare nella simbologia dello sciacallo – animale che nella cultura
occidentale ha un pedigree non troppo positivo. Qualche traccia interessante
l’ho trovata, e l’ho seguita, coinvolgendo mezzo mondo, con il conforto di una
foto davvero intrigante, ma per ora non ho trovato prove sufficienti a validare
un’interpretazione alternativa. Un giorno forse ne scriverò comunque – magari
ne esce un racconto piuttosto che un saggio critico. Vediamo. Tornando al
mottetto: credo che il titolo dica tutto. Eugenio si sta già rassegnando a
perdere Irma – in un certo senso la perde ogni volta che la vede ripartire per
gli Stati Uniti. Lo strappo sarà anche, come da tradizione, poeticamente
fertile, ma umanamente parlando Montale soffre come ognuno soffrirebbe nel
doversi separare dalla persona amata. L’amor de lonh, per dirla con Jaufré
Rudel, ha senso e tiene fino a un certo punto: insomma, le poesie non bastano e
infatti Irma vuole di più e quando si rende conto che le cose non sarebbero mai
cambiate, mette fine alla relazione. Detto questo, mi ha sempre colpito, fin
dalla prima volta che ho letto questo mottetto, il presentimento di Montale –
sentiva che ogni saluto, come presto sarebbe stato, poteva essere l’ultimo. È
come se, in un certo senso, avesse rimosso anche la possibilità della speranza.
Un mottetto in momentanea absentia di
lei che prelude, anzi annuncia, la sua absentia
definitiva – quasi fosse inevitabile.
Il giovane Seamus Heaney |
LB: Sei
reduce da un ciclopico lavoro di traduzione da Heaney in uscita tra qualche
mese nei Meridiani Mondadori. In questo libro si sviluppa invece un
appassionato inseguimento montaliano. Se mi passi il termine scolastico di
“collegamenti”, quali “collegamenti” faresti tra poeti lontani nello spazio e
nei tempi come Seamus e Eugenio?
RISPOSTA: Il lavoro ciclopico – come lo hai giustamente
descritto tu, e non solo per me ma per tutti quelli coinvolti in un progetto
come questo – si era concluso il 26 agosto in vista della pubblicazione per il
75° compleanno del poeta nell’aprile del 2014. Ma pochi giorni dopo, la mattina
del 30 agosto, Seamus se ne è andato per sempre. Ti confesso che stato un colpo
durissimo, e che mi ci vorrà tanto tempo a smaltire anche se, te lo dico
sinceramente, non mi ha colto del tutto di sorpresa. Ora il lavoro ciclopico si
è raddoppiato: i cantieri del Meridiano sono stati riaperti per accogliere
traduzioni e commenti a tutta l’opera in versi di Heaney, inclusa una sezione
di inediti (due poesie giovanili, due poesie recenti e due traduzioni
completate pochi giorni prima della morte). Sarà il modo migliore di
ricordarlo. Anche se lo conosco, lo leggo e lo studio da più di 20 anni ho
preferito restare in silenzio, e in preghiera, pensando a Marie, Michael,
Christopher e Catherine Ann. Troppe persone sono subito corse a raccontare su
carta stampata e online quanto bene lo conoscevano, dove avevano mangiato e
bevuto con lui, quante volte lo avevano incontrato o gli avevano parlato, cosa
di lui avevano letto, scritto o tradotto (c’è addirittura chi ha ristampato le
proprie traduzioni il giorno stesso della morte) – finendo per parlare più di
se stessi che di lui. Ma anche in questo forse inevitabile karaoke dell’ego c’è
del giusto e del bello: Seamus sapeva toccare tutti, già al primo sguardo, e lo
tsunami di testimonianze da ogni parte del pianeta e da ogni fascia sociale e
professionale ha dato conto del segno lasciato da un uomo e da un poeta
straordinario, e del vuoto che dobbiamo ora accettare, colmandolo almeno in
parte con la sua opera in versi e in prosa.
Mi chiedi di
Montale e Heaney. Sono due poeti molto diversi – già per nascita (e non mi
riferisco alle condizioni delle rispettive famiglie, per altro diverse anche
quelle): uno nasce in riva al mare l’altro nel cuore della terra. Ecco,
paradossalmente, quello che forse più li accomuna risiede proprio in questa
differenza, per così dire, topografica: entrambi partono, umanamente e
poeticamente, dal paesaggio che li circonda e che ne determina le coordinate
esistenziali ed intellettuali. La strada della poesia che intraprendono, e che
porta entrambi a Stoccolma, segue poi percorsi piuttosto diversi, ma qualche
intersezione c’è. Montale muore (1981) poco prima che Heaney raggiunga una
notorietà mondiale – anche se la fama del poeta nordirlandese è in rapida
crescita dopo che Helen Vendler (Harvard University) ne recensisce la quarta
raccolta, North (1975, l’anno in cui
a Montale è assegnato il premio Nobel per la Letteratura), sul «New York Review
of Books». L’incontro più significativo tra i due poeti è quello nel segno
l’anguilla, animale che Heaney conosceva bene (il padre della moglie gestiva un
pub ad Ardboe, sulle rive di Lough Neagh, in Irlanda del Nord, frequentato da
pescatori di anguille, con cui aveva anche rapporti di lavoro, e che Heaney
stesso ebbe modo di frequentare). La traduzione della poesia montaliana (una
versione, per altro, ai limiti della riscrittura, secondo me neanche troppo
convincente) da parte del poeta americano Robert Lowell – che il poeta
nordirlandese ammirava, ricambiato – ha messo in moto qualcosa
nell’immaginazione di Heaney, che ci ha a sua volta lasciato due bellissime
poesie incentrate sull’anguilla: ‘A Lough Neagh Sequence’ (‘Sequenza di Lough
Neagh’), nella seconda raccolta (Door
into the Dark, 1969) e, trent’anni dopo, ‘Eelworks’ (‘Anguilleria’), nella
dodicesima e ultima raccolta (Human Chain,
2010). Heaney ha letto Montale, non soltanto l’opera in versi ma anche i suoi
scritti in prosa. E poi il titolo che Heaney aveva scelto per la Frank Kermode Lecture che avrebbe tenuto
a Londra il prossimo novembre la dice lunga: “The Second Life of Art” – è il
titolo di un saggio di Montale del 1949 pubblicato sul «New York Review of
Books» nel 1981 nella splendida traduzione di Jonathan Galassi (incluso con
altre prose nel volume eponimo pubblicato presso i tipi newyorkesi di The Ecco
Press l’anno successivo). Solo per dire che i grandi poeti sono sempre in
dialogo, in un modo o in un altro, indipendentemente dal fatto che si siano
incontrati, sulla pagina o di persona.
Conoscevate questo articolo del Corriere della sera?
RispondiEliminahttp://www.corriere.it/cultura/11_luglio_19/di-stefano-montale-irma-brandels_2a613770-b20b-11e0-962d-4929506ed0a9.shtml
Ciao! Serena
Congratulazioni all'intervistato, davvero interessanti le risposte e il suo percorso di studi e traduzione... e un complimento anche per l'intervistatore (per un blog alimentato con passione).
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