mercoledì 25 settembre 2013

Marco Sonzogni ci racconta "La speranza di pure rivederti...": Irma Brandeis e Eugenio Montale in un libro di Archinto

Librobreve intervista #25

Marco Sonzogni
Le mie domande lo raggiungono a Wellington, in Nuova Zelanda dove insegna, nel bel mezzo di un lavoro febbrile di revisione. Sarà sua infatti la cura e traduzione del Meridiano di Seamus Heaney in uscita per Mondadori nel 2014. E non potrebbe essere diversamente. Marco Sonzogni mi scrive che ha sentito il grande poeta nordirlandese pochi giorni prima che morisse, lo ricorda come maestro nella vita e anche nella morte. Nelle risposte che seguono però parla anche di come ha accolto la notizia, in preghiera, diversamente dalle troppe persone che "sono subito corse a raccontare su carta stampata e online quanto bene lo conoscevano, dove avevano mangiato e bevuto con lui". Lo distolgo però per qualche attimo da Heaney (anche se non dal dolore) per poi farci ritorno con l'ultima domanda di questa intervista. In Italia è da poco uscito per Archinto un suo lavoro intitolato La speranza di pure rivederti... Clizia, Montale e l'impossibilità di dirsi addio (pp. 83, euro 12). Sento di doverlo ringraziare ancora, da queste poche righe introduttive, per l'intervista che leggerete, forse la più bella che ho sin qui pubblicato (siamo alla 25esima, forse sto esagerando, ma mi rendo conto che le interviste attorno ai libri brevi sono un bel sistema per lasciare spazio ad altre voci, risparmiarvi la mia e per risparmiare a me tempo). Sono certo vi catturerà e vi inietterà il desiderio della rilettura, sia delle risposte, sia dei testi di cui qui si parla.


Il libro pubblicato
da Archinto
LB: Potresti tratteggiare per i lettori le scosse principali della vicenda umana Montale-Brandeis? Se sappiamo bene o male chi è e cosa ha scritto Montale, possiamo sapere da te, brevemente, chi è Irma e come incontra Eugenio?
RISPOSTA: Sono le scosse “normali” che scandiscono le vicende umane di un uomo e di una donna che si innamorano, vorrebbero stare insieme, ci provano, ma alla fine per una ragione o per un’altra, non ci riescono. Nel caso di Irma e di Eugenio, come per tutti, la prima scossa è senz’altro quella del primo incontro, del famigerato colpo di fulmine, nel luglio del 1933, a Firenze. Eugenio Montale non ha la più pallida idea di chi sia questa giovane, colta e affascinante americana di nome Irma Brandies che chiede di incontrarlo (lui è direttore del prestigioso Gabinetto Vieussuex, che lei frequenta). Lei invece sa già abbastanza di lui: gliene hanno parlato Gino Bigongiari (con cui ha una relazione piuttosto complessa) e Leo Ferrero (anche con lui ha una breve relazione), da cui riceve una copia di Ossi di seppia (quella stampata da Carabba nel 1931, quindi la terza edizione) che subito divora. La lettura instiga il desiderio di conoscere personalmente l’uomo che ha scritto poesie così belle: e se da un punto di vista estetico Eugenio non fa certo colpo su Irma, da un punto di vista poetico e intellettuale tra i due si instaura un legame che è subito forte, profondo, necessario ma anche difficile, problematico – un oceano di distanza li separa per buona parte dell’anno, colmato all’inizio da una corrispondenza fittissima, e poi un mare di problemi (soprattutto di Montale) piano piano li separerà per sempre. La seconda scossa è sicuramente la scoperta da parte di Irma – inquivocabilmente solo nel 1935, dopo due anni, quindi, di sentimenti, speranze e progetti – che Montale è legato a un’altra donna, quella che lei continuerà a chiamare “X”: la Mosca, Drusilla Tanzi Marangoni. Valgono poco le tardive spiegazioni di Montale: sarebbero anche state, in un certo senso, comprensibili, ma l’averle taciute non lo mise in buona luce, diciamo così. La terza scossa è il mancato incontro quando Montale si reca negli USA a bordo del volo inaugurale Roma-New York nell’estate del 1950. Di questa occasione persa ci restano solo ricordi avvolti in parte nel mistero e sui quali dubito si possa arrivare a mettere la parola fine. Certo è che Montale, nelle poche ore in cui si trova nella Grande Mela, telefona a un’amica, sua e di Irma, Giovanna Calastri (la stessa che gli telefona nei versi di Una musa oltreoceano) ma non ha il coraggio di chiamare Clizia – o meglio, fa il numero ma poi riattacca. Chissà perché (soprattutto per poi raccontare l’accaduto a Irma in un biglietto purtroppo andato perso). La quarta scossa, silenziosa, è la morte della Mosca – con lei in vita Irma, che in Italia di tanto in tanto faceva ritorno (per esempio va a fare la volontaria in occasione dell’alluvione di Firenze del 1966), non aveva mai cercato di riallaciare i contatti con Montale. La quinta e ultima scossa – dopo le crescenti attenzioni che gli studiosi (in particolare Luciano Rebay e Glauco Cambon) riversano su di lei, a volte con irrispettosa insistenza, soprattutto a seguito dell’assegnazione a Montale del Premio Nobel per la Letteratura – è la pubblicazione dell’edizione critica dell’Opera in versi di Montale nel dicembre del 1980. Irma riceve una copia con la dedica di uno dei due curatori, Gianfranco Contini, e un biglietto quasi illeggibile dello stesso Montale, che le dice di considerarla ancora la sua divinità, e le chiede quando e come si sarebbero riincontrati. Siamo nel giugno del 1981. Da quel momento, con la mediazione di amici “di lunga fedeltà”, Irma ed Eugenio cercano di riincontrarsi per guardarsi negli occhi un’ultima volta, mezzo secolo dopo il loro primo incontro. Ma il 13 settembre, quando Irma sta per mettersi in viaggio alla volta di Milano, Cambon le telefona per dirle che Montale è morto.

LB: Quando nasce e come prende forma il progetto di questo libro pubblicato da Archinto e dedicato al rapporto tra Montale e Clizia, l’ispiratrice del sesto mottetto de Le occasioni dal quale è stato preso il titolo del volume? A tuo sentire, il costrutto celeberrimo di “visiting angel” tiene ancora bene con il passare degli anni o forse andrebbe rivisto dalla critica?
RISPOSTA: Nel 1999, grazie alla mediazione dell’amico Bill Weaver, che era Irma Brandeis Professor of Literature a Bard College, sono entrato in contatto con Jean Cook, amica ed esecutrice letteraria di Irma Brandeis. Ci siamo sentiti per email e per telefono, per qualche anno, e poi ci siamo conosciuti di persona: prima a Dublino, dove io abitavo e dove lei aveva accompagnato una scolaresca, e poi a New York (sto per tornarci tra poche settimane, proprio per parlare di questo libricino alla Fordham University e per rivedere Jean e altri amici newyorkesi). Un rapporto di amicizia e di fiducia subito forte e trasparente: a me, come a lei, premeva far conoscere la storia di Irma Brandeis – quella di Clizia l’aveva già raccontata in versi Montale; e dalle lettere di Montale a lei, pubblicate nel 2006, di Irma non emerge più di tanto. In tutti questi anni, quindi, ho avuto modo di studiare le carte di “I.B.”: lettere, diari, traduzioni, racconti, studi accademici – e, allo stesso tempo, parlare con persone che l’avevano conosciuta. Così è stato quasi come averla conosciuta anch’io e spero, con i miei lavori, di aver contribuito a far conoscere una donna il cui valore umano e intellettuale va ben oltre quello di musa montaliana... Quindi, se si vuole davvero capire e apprezzare chi è stata Irma Brandeis, non solo la definizione di salfivico visiting angel – perfettamente legittima, con l’intercessione di Beatrice e Laura – ma anche il nome stesso “Clizia” – scelto per Brandeis da Montale sempre sulla scia del poeta sommo, come ha chiarito Contini – vanno ad un certo punto messi da parte. Del resto Irma stessa, ormai vecchia ed esasperata, ha cercato di liberarsi, una volta per tutte, delle responsabilità mitopoietiche di cui l’ha investita Montale.

LB: Nel libro trovano spazio materiali inediti? Da dove provengono e come li hai montati nel tuo discorso?
RISPOSTA: In tutti i miei scritti su Montale e Brandeis ho presentato carte inedite. In questo caso di stratta di tre lettere – due di Gianfranco Contini e una di Cesare Vivante – e di fogli sparsi con prove di traduzione di poesie di Montale. Come tutte le altre carte che ho studiato e pubblicato anche queste sono in possesso di Jean Cook. Credo fermamente nell’autorità del documento: la mia lettura e le mie interpretazioni sono quindi state costruite intorno a queste carte. Sono loro a parlare, io ho fatto solo da tramite.

The Ladder of Vision,
il saggio su Dante
di Irma Brandeis
LB: Qual è stata per te la cosa più bella, la scoperta più emozionante nella scrittura di questo libro?
RISPOSTA: Sicuramente la lettera di Cesare Vivante, trovata quasi per caso in un folder gonfio di fogli e ritagli di giornale che non promettevano niente di interessante (tra l’altro era l’ultimo faldone che mi era rimasto da scartabellare e non so proprio spiegarmi come sia finita lì). E poi l’incontro con Cesare (e sua moglie Mirella), a Milano: un momento davvero emozionante e commovente. L’affettuosa accoglienza affetto, il nitido ricordo di Irma e di Montale nella casa dei genitori, Leone e Elena Vivante, a Villa Solaia, in Toscana, e poi il ricordo della figlia, Elena anche lei, tragicamente morta giovane, inseguendo l’amore... Tra le carte mi ha sicuramente colpito anche la testimonianza – in poche lucide righe manoscritte – del triangolo in cui Irma finì suo malgrado a trovarsi: lei, lui (Montale) e l’altra (la Mosca), e la risoluzione del dispiacere per quanto successo affidata a Dante.

Irma e i gatti...
LB: La speranza di pure rivederti... titola il libro. Il mottetto si chiude con quei tre versi tra parentesi del servo gallonato tra i portici a Modena. Per me è sempre stata una delle immagini più nitide di Montale. Ci parli un po’ proprio del Mottetto VI?
RISPOSTA: È stato scritto tanto su queste due bestiole. Montale stesso, camuffato da Mirco, ha raccontato la cosa e credo che in questo caso gli si possa credere. Altri hanno poi confermato (appartenevano a un tizio di Modena ma questo tipo di dettaglio, poeticamente, conta poco o nulla). A Irma piacevano gli animali, i gatti soprattutto, ma anche quelli meno comuni, come appunto i due sciacalli portati a spasso dal servo gallonato sotto i portici di Modena. Ci sta quindi che siano un suo senhal. Ho provato a frugare nella simbologia dello sciacallo – animale che nella cultura occidentale ha un pedigree non troppo positivo. Qualche traccia interessante l’ho trovata, e l’ho seguita, coinvolgendo mezzo mondo, con il conforto di una foto davvero intrigante, ma per ora non ho trovato prove sufficienti a validare un’interpretazione alternativa. Un giorno forse ne scriverò comunque – magari ne esce un racconto piuttosto che un saggio critico. Vediamo. Tornando al mottetto: credo che il titolo dica tutto. Eugenio si sta già rassegnando a perdere Irma – in un certo senso la perde ogni volta che la vede ripartire per gli Stati Uniti. Lo strappo sarà anche, come da tradizione, poeticamente fertile, ma umanamente parlando Montale soffre come ognuno soffrirebbe nel doversi separare dalla persona amata. L’amor de lonh, per dirla con Jaufré Rudel, ha senso e tiene fino a un certo punto: insomma, le poesie non bastano e infatti Irma vuole di più e quando si rende conto che le cose non sarebbero mai cambiate, mette fine alla relazione. Detto questo, mi ha sempre colpito, fin dalla prima volta che ho letto questo mottetto, il presentimento di Montale – sentiva che ogni saluto, come presto sarebbe stato, poteva essere l’ultimo. È come se, in un certo senso, avesse rimosso anche la possibilità della speranza. Un mottetto in momentanea absentia di lei che prelude, anzi annuncia, la sua absentia definitiva – quasi fosse inevitabile.

Il giovane 
Seamus Heaney
LB: Sei reduce da un ciclopico lavoro di traduzione da Heaney in uscita tra qualche mese nei Meridiani Mondadori. In questo libro si sviluppa invece un appassionato inseguimento montaliano. Se mi passi il termine scolastico di “collegamenti”, quali “collegamenti” faresti tra poeti lontani nello spazio e nei tempi come Seamus e Eugenio?
RISPOSTA: Il lavoro ciclopico – come lo hai giustamente descritto tu, e non solo per me ma per tutti quelli coinvolti in un progetto come questo – si era concluso il 26 agosto in vista della pubblicazione per il 75° compleanno del poeta nell’aprile del 2014. Ma pochi giorni dopo, la mattina del 30 agosto, Seamus se ne è andato per sempre. Ti confesso che stato un colpo durissimo, e che mi ci vorrà tanto tempo a smaltire anche se, te lo dico sinceramente, non mi ha colto del tutto di sorpresa. Ora il lavoro ciclopico si è raddoppiato: i cantieri del Meridiano sono stati riaperti per accogliere traduzioni e commenti a tutta l’opera in versi di Heaney, inclusa una sezione di inediti (due poesie giovanili, due poesie recenti e due traduzioni completate pochi giorni prima della morte). Sarà il modo migliore di ricordarlo. Anche se lo conosco, lo leggo e lo studio da più di 20 anni ho preferito restare in silenzio, e in preghiera, pensando a Marie, Michael, Christopher e Catherine Ann. Troppe persone sono subito corse a raccontare su carta stampata e online quanto bene lo conoscevano, dove avevano mangiato e bevuto con lui, quante volte lo avevano incontrato o gli avevano parlato, cosa di lui avevano letto, scritto o tradotto (c’è addirittura chi ha ristampato le proprie traduzioni il giorno stesso della morte) – finendo per parlare più di se stessi che di lui. Ma anche in questo forse inevitabile karaoke dell’ego c’è del giusto e del bello: Seamus sapeva toccare tutti, già al primo sguardo, e lo tsunami di testimonianze da ogni parte del pianeta e da ogni fascia sociale e professionale ha dato conto del segno lasciato da un uomo e da un poeta straordinario, e del vuoto che dobbiamo ora accettare, colmandolo almeno in parte con la sua opera in versi e in prosa.
Mi chiedi di Montale e Heaney. Sono due poeti molto diversi – già per nascita (e non mi riferisco alle condizioni delle rispettive famiglie, per altro diverse anche quelle): uno nasce in riva al mare l’altro nel cuore della terra. Ecco, paradossalmente, quello che forse più li accomuna risiede proprio in questa differenza, per così dire, topografica: entrambi partono, umanamente e poeticamente, dal paesaggio che li circonda e che ne determina le coordinate esistenziali ed intellettuali. La strada della poesia che intraprendono, e che porta entrambi a Stoccolma, segue poi percorsi piuttosto diversi, ma qualche intersezione c’è. Montale muore (1981) poco prima che Heaney raggiunga una notorietà mondiale – anche se la fama del poeta nordirlandese è in rapida crescita dopo che Helen Vendler (Harvard University) ne recensisce la quarta raccolta, North (1975, l’anno in cui a Montale è assegnato il premio Nobel per la Letteratura), sul «New York Review of Books». L’incontro più significativo tra i due poeti è quello nel segno l’anguilla, animale che Heaney conosceva bene (il padre della moglie gestiva un pub ad Ardboe, sulle rive di Lough Neagh, in Irlanda del Nord, frequentato da pescatori di anguille, con cui aveva anche rapporti di lavoro, e che Heaney stesso ebbe modo di frequentare). La traduzione della poesia montaliana (una versione, per altro, ai limiti della riscrittura, secondo me neanche troppo convincente) da parte del poeta americano Robert Lowell – che il poeta nordirlandese ammirava, ricambiato – ha messo in moto qualcosa nell’immaginazione di Heaney, che ci ha a sua volta lasciato due bellissime poesie incentrate sull’anguilla: ‘A Lough Neagh Sequence’ (‘Sequenza di Lough Neagh’), nella seconda raccolta (Door into the Dark, 1969) e, trent’anni dopo, ‘Eelworks’ (‘Anguilleria’), nella dodicesima e ultima raccolta (Human Chain, 2010). Heaney ha letto Montale, non soltanto l’opera in versi ma anche i suoi scritti in prosa. E poi il titolo che Heaney aveva scelto per la Frank Kermode Lecture che avrebbe tenuto a Londra il prossimo novembre la dice lunga: “The Second Life of Art” – è il titolo di un saggio di Montale del 1949 pubblicato sul «New York Review of Books» nel 1981 nella splendida traduzione di Jonathan Galassi (incluso con altre prose nel volume eponimo pubblicato presso i tipi newyorkesi di The Ecco Press l’anno successivo). Solo per dire che i grandi poeti sono sempre in dialogo, in un modo o in un altro, indipendentemente dal fatto che si siano incontrati, sulla pagina o di persona.

2 commenti:

  1. Conoscevate questo articolo del Corriere della sera?
    http://www.corriere.it/cultura/11_luglio_19/di-stefano-montale-irma-brandels_2a613770-b20b-11e0-962d-4929506ed0a9.shtml

    Ciao! Serena

    RispondiElimina
  2. Congratulazioni all'intervistato, davvero interessanti le risposte e il suo percorso di studi e traduzione... e un complimento anche per l'intervistatore (per un blog alimentato con passione).

    RispondiElimina