Librobreve intervista #27
Fresco di stampa è il suo Il mio corpo estraneo. Carni e immagini in Valerio Magrelli (pp. 116, euro 12, con una premessa di Clelia Martignoni). Mercoledì prossimo (ore 11, sala lauree ex Facoltà di Lettere) se ne parlerà all'Università di Torino assieme a Magrelli stesso e contestualmente, in quell'occasione, verrà presentata la nuova edizione commentata da Sabrina Stroppa e Laura Gatti di Ora serrata retinae, l'esordio poetico per Feltrinelli del poeta romano, datato 1980 e riproposto da Ananke Edizioni. Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle ore 17:30, i libri citati troveranno spazio alla libreria Golem di via Rossini. Francucci insegna in quell'ateneo di Pavia che tanto ha dato e continua a dare all'italianistica ed è studioso tra i più interessanti tra quelli che riesco a seguire. Mi piaceva l'idea di intervistarlo per parlare del suo ultimo saggio e di Magrelli. Fortunatamente, per me ma anche per i lettori di Librobreve, ha accettato.
LB: Partiamo dall'opera più recente di Magrelli, finalista al premio Campiello,
che è investita in pieno dall'ultimo ricco capitolo del tuo libro. Di Geologia
di un padre (recensito qui) Magrelli afferma in un'intervista: "quello che
mi stava a cuore era soprattutto cercare di ricreare la presenza di mio padre,
dunque non tanto sciogliere le ambiguità della memoria, ma scegliere, scegliere
invece di sciogliere, quelle più rappresentative." In questo gioco
linguistico tra scegliere/sciogliere sembrano raddensati anche due secoli di
riflessione teorica sul romanzo. Sei d'accordo?
RISPOSTA: Geologia di un padre è un libro in cui la presenza del padre di Valerio è Valerio stesso: lo si capisce molto presto. Dunque, giocando un po’ con la dichiarazione che riporti, così come Magrelli ha giocato sull’equivoco scegliere-sciogliere, direi che Geologia di un padre è un libro in cui Valerio Magrelli tenta di ricrearsi, di ricreare sé stesso in maniera che l’eredità paterna, quella biologica, lo alimenti, ma senza distruggerlo e senza lesionare i suoi cari, i suoi affetti più intimi. Direi che questo è un grande libro in cui al grido di Gesù, “Padre, padre, perché mi hai abbandonato?”, che così tanti oggi ripetono persino stucchevolmente, si sovrappone un altro grido, ben diverso: “Padre, padre, quando ti deciderai ad abbandonarmi?”. Ricordiamoci che in esergo Magrelli mette le celebri parole di Stephen Dedalus nell’Ulisse: il padre è un male necessario. Quanto a quello che dici sul romanzo moderno, è molto interessante, ma per sciogliere la tua osservazione, scegliendo qualcuno dei moltissimi lineamenti che vi si concentrano, ci vorrebbe un discorso lunghissimo. Dico solo, per cavarmela, e dopo una breve ricognizione mentale, che tutti i romanzi del mio personale pantheon, anche i più debordanti e immoderati, scelgono, cioè tagliano, e non sciolgono, cioè non consolano.
LB: La mia prima domanda nasce da un'osservazione, cioè che sia nella poesia
che nella prosa di Magrelli mi ha sempre colpito la solida preparazione
teorica, non comune tra poeti e prosatori. Il "miracolo", se mi passi
il termine forse assai fuori luogo, è che questa non si riversi pesantemente
sui versi o sulla scrittura in prosa. Sei d'accordo con questo pensiero e, se
sì, da attento studioso della sua opera, che idea ti sei fatto?RISPOSTA: Geologia di un padre è un libro in cui la presenza del padre di Valerio è Valerio stesso: lo si capisce molto presto. Dunque, giocando un po’ con la dichiarazione che riporti, così come Magrelli ha giocato sull’equivoco scegliere-sciogliere, direi che Geologia di un padre è un libro in cui Valerio Magrelli tenta di ricrearsi, di ricreare sé stesso in maniera che l’eredità paterna, quella biologica, lo alimenti, ma senza distruggerlo e senza lesionare i suoi cari, i suoi affetti più intimi. Direi che questo è un grande libro in cui al grido di Gesù, “Padre, padre, perché mi hai abbandonato?”, che così tanti oggi ripetono persino stucchevolmente, si sovrappone un altro grido, ben diverso: “Padre, padre, quando ti deciderai ad abbandonarmi?”. Ricordiamoci che in esergo Magrelli mette le celebri parole di Stephen Dedalus nell’Ulisse: il padre è un male necessario. Quanto a quello che dici sul romanzo moderno, è molto interessante, ma per sciogliere la tua osservazione, scegliendo qualcuno dei moltissimi lineamenti che vi si concentrano, ci vorrebbe un discorso lunghissimo. Dico solo, per cavarmela, e dopo una breve ricognizione mentale, che tutti i romanzi del mio personale pantheon, anche i più debordanti e immoderati, scelgono, cioè tagliano, e non sciolgono, cioè non consolano.
RISPOSTA: Per parte mia sono d’accordo. La scrittura “letteraria”di Magrelli è sempre molto coltivata, e nutrita della sapienza di studioso e di intellettuale che l’autore possiede, ma questo flusso teoretico, se vogliamo, è bilanciato da flussi di esperienza altrettanto importanti. E visto che l’equilibrio (o il tentativo sempre più difficile di raggiungerlo) è un concetto cardinale per Magrelli, è abbastanza logico che sulla sua pagina si sperimentino tecniche, non immutate nel corso degli anni, di armonizzazione delle due fonti. Voglio però aggiungere che l’idea dell’equilibrio o della compostezza non la applicherei come metro di giudizio uniforme per tutti, e che io ammiro molto anche scrittori in cui il retroterra teorico o disciplinare si riversa pesantemente, per usare la tua formula, nei versi o nella prosa. Penso per esempio a certi straordinari libri di Jacques Roubaud, matematico poeta romanziere, da cui l’editoria italiana si è tenuta ben lontana (“a chi lo vendo, signora mia?”), e molti altri nomi si potrebbero fare. Sono dell’idea che la poesia (e la prosa) vada valutata caso per caso e progetto per progetto, singulatim; e che un buon lettore sia in grado di amare, e insieme di capire, lo Zanzotto più siderale, il Sereni più drammaticamente scarno, il De Angelis più bruciante, il Magrelli più meditativo. I problemi arrivano quando si fa del proprio gusto, o pregiudizio, o anche teoria (tutte cose necessarie e inevitabili) un discrimine infrangibile, o quando si cade completamente preda della propria posizione nel campo letterario e/o sociale con le sue contrapposizioni polari.
LB: Torniamo all'esordio di Magrelli prosatore, all'einaudiano Nel condominio di carne del 2003, libro che all'epoca mi colpì per come seppe inserirsi attorno a un tema già "stanco" e sfibrato come quello del corpo, tema che iniziava a mostrare i primi cedimenti o banali esercizi di stile. Lo sappiamo, Magrelli nell'abbecedario dedicato alla poesia (audiolibro uscito per Sossella e poi per Giunti), parla persino di poesia e merda paragonandole (e non sotto una luce pulp). In fondo, solo per stare ai titoli di Magrelli, Ora serrata retinae la dice lunga sulle frequentazioni questo autore con il corpo. Ma andiamo alla "carne", citata nel titolo del tuo libro. Come vi entra? Che cosa si palpa?
RISPOSTA: Non c’è tema che non nasca stanco, o secondo me addirittura sfinito. È importantissimo studiare e catalogare i temi, ci mancherebbe altro; riconosco tutta la sua importanza alla tematologia. E però, compilata la lista e corredatala della sua ricchissima fenomenologia, occorre guardare più sottilmente alle maniere, anche in questo caso singolari, in cui ogni vero scrittore attinge ai suoi temi, con lo stesso gesto rivitalizzandoli e stravolgendoli. Inutile sottolineare a quanti trattamenti diversi, per riprendere il tuo esempio, sia stata sottoposta la materia fecale nella storia della cultura umana: la merda di Rabelais è molto diversa dalla merda di Marx, e quella di Henry Miller somiglia molto più alla prima che alla seconda. Magrelli, nel suo abbecedario, riprende un parallelo che trova in Valéry, e tratta poesia e merda come due “fatture” umane, insieme spiritualizzando la merda e merdificando la poesia, accomunandole sotto il segno dell’«urgenza»: tra le altre cose è un bel modo di smagare, senza distruggerlo (e questo è fondamentale) lo stereotipo del furor incontrollabile del creatore. Aggiungo, per dire come ogni ripresa sia una variazione, che se nelle parole di Valéry si sente molto il freddo piacere intellettuale che dà il paradosso, e quindi il primato, nonostante la merda messa in bella evidenza, spetta senz’altro all’intelletto regista e manipolatore, in Magrelli la spiritualizzazione della merda si accompagna sempre a una nota angosciosa, o addirittura sgomenta. Lo dimostra uno dei capitoli più toccanti e strazianti di Geologia di un padre, quello che descrive la morte del genitore: ritratto nei momenti in cui, letteralmente, caca fuori la sua vita, la sua anima o il suo spirito, anziché emettere il suo ultimo respiro. Ma veniamo al condominio e alla sua carne. In questo libro, che secondo me è di quelli destinati a rimanere, assistiamo a una specie di chiasmo: la carne (e non il corpo, ancora troppo organizzato, gerarchizzato, e per di più stracarico di una plurisecolare surcodificazione simbolica) è sempre intellettualizzata, spiritualizzata, intessuta di circuiti culturali e memoriali; e l’intelletto o spirito è sempre incarnato, cioè tuffato in una materia che erode le sue distinzioni e categorizzazioni. Penso che il motore del libro sia questo: impegnarsi nel compito impossibile di dare figura alle intricatissime coabitazioni, confederazioni o disfederazioni, se mi passi il termine, nelle quali le carni si compongono metastabilmente a fare corpo: e spirito. A complicare la situazione sta il fatto che questo quadro si rende intelligibile solo grazie a due elementi che pure lo frantumano, ossia la tecnica e il linguaggio. Le carni spirituali possono “ reggere” solo grazie alle protesi, che pure sono corpi estranei; e possono esprimersi solo grazie a ciò che le fa ammalare, il virus della parola e del linguaggio.
LB: Soffermiamoci ora sulle altre travi reggenti il tuo discorso contenuto ne Il mio corpo estraneo. Mi riferisco alle immagini (e penso anche a un saggio come Vedersi vedersi: modelli e circuiti visivi nell'opera di Paul Valéry) e al serrato meccanismo citazionistico che impregna la scrittura di Magrelli. Potresti riassumere i tratti salienti analizzati nel tuo studio pubblicato da Mimesis?
RISPOSTA: è presto detto. La scrittura di Magrelli, in versi e in prosa (spesso anche la prosa saggistica) ha un altissimo tasso di metaforicità. Il combustibile del laboratorio magrelliano è senza dubbio, e molto consapevolmente, l’immaginazione, che produce continuamente analogie, ossia rapporti di somiglianza. Lungi dall’essere esornative, o anche solo strutturate in qualche margine, le analogie si occupano proprio di strutturare, o tramare, la scrittura. Nel Condominio è l’immaginazione che spiritualizza le carni, inserendole in grandi circuiti di immagini risonanti, e creando così uno spazio co-abitato, per l’appunto, dal corpo e dal senso. Ma questi reticoli sono a loro volta incrociati e ulteriormente tramati da altri fili, memoriali e culturali, e specificamente letterari e artistici. Le distese dell’immaginazione analogica, che tendenzialmente rispettano soltanto un loro tempo di propagazione e risonanza, sono attraversate dalla storia, proprio nella forma di reminiscenza, ripresa, riarrangiamento del patrimonio dello spirito umano sedimentato nei secoli. Ecco le citazioni: per fare l’esegesi di un mal di schiena si paragonano le vertebre a pacchetti di sigarette passando attraverso la convocazione di un brano di Breton. Le dimensioni orizzontale e verticale vengono così, ogni volta in maniera provvisoria, allacciate. Ripeto: provvisoriamente; perché qui non si tratta di appiccicare citazioni pronte all’uso (sul modello dei repertori di citazioni divisi per rubriche tematiche: toh, di nuovo i temi) in base a un criterio già stabilito di appropriatezza, ma di trovare ogni volta, o costruire ogni volta, con le risorse di una cultura vastissima mobilitate idiosincraticamente, la strada giusta che porti da quell’episodio personalissimo a quel brano preciso. Non sarebbe, credo, troppo sbagliato parlare di magia. Ma ancora: a questo genere di citazioni se ne accompagna, sempre a partire dal Condominio, un altro, con Magrelli che cita Magrelli. E anche in questo caso la citazione coincide con la modificazione del senso. Ma lasciamo qualcosa di non detto per chi volesse leggere il libro.
RISPOSTA: Le ragioni per cui Addio al calcio non ha trovato spazio nel mio libro sono contingenti: non avevo il tempo di scrivere un saggio sufficientemente approfondito su quel libro, che mi pare molto bello. Anche se ho pochi dubbi nel pensare che i vertici della “quadrilogia” in prosa magrelliana stiano alle due estremità: il Condominio e Geologia di un padre. Addio al calcio può rientrare nello studio che ho condotto nel libro? Direi di sì, per almeno un paio di ragioni che mi paiono più importanti di altre. Primo: l’importanza della figura paterna. Alcuni dei brevi capitoli di Addio al calcio sono stati trapiantati, o autotrasfusi, usando una metafora dell’autore, in Geologia di un padre. Secondo: Addio al calcio è a mio parere soprattutto un libro sull’archivio, e investe dunque un’altra modalità di conservazione della memoria rispetto a quella artistico-letteraria, così basilare nel Condominio; e sottolineo anche come, nell’ultimo movimento del quartetto, l’archivio risulti problematizzato secondo una linea che parte da Addio al calcio.
LB: Magrelli voleva intitolare il recente Geologia di un padre con il titolo dato poi al capitolo introduttivo L'uomo di Pofi. Fu scoraggiato da molte persone. Tu cosa gli avresti suggerito?
RISPOSTA: Sono entrambi buoni titoli,
nel senso che, riflettendoci durante la lettura, entrambi dicono il groviglio
su cui il libro è fondato: chi è “un” padre? Chi è l’uomo di Pofi? Però non
avrei dato suggerimenti a Magrelli, da una parte, empiricamente, perché non
avrei potuto farlo senza una lettura approfondita del testo, e dall’altra
perché non credo che gli scrittori abbiano bisogno di consigli per trovare i
loro titoli. Questo non perché li ritenga gli unici in assoluto autorizzati –
diciamo così – a plasmare la loro opera (perché, e questo dev’essere chiaro, il
titolo ha un’importanza cruciale per il senso dell’opera), né perché li pensi
infallibili quando presi dal vortice della creazione. Niente autoritarismi e
niente romanticherie, insomma. Quel che non accetto – scontato che il titolo
possa essere al centro di una contrattazione tra autore e altre agenzie coinvolte
nella produzione del libro – è che tale contrattazione sia basata, come sempre
più spesso succede, esclusivamente su ragioni commerciali. Di appetibilità da
aggiungere all’opera, insomma, secondo un’idea di appetibilità che è una vera
offesa per i lettori, oltre che per gli scrittori. Questo alacre lavorio sui
titoli, che di solito rimane un po’ nascosto, viene in piena luce, invece, nel
caso delle opere tradotte. Per restare a Magrelli faccio due esempi. Nel
condominio di carne è stato tradotto in francese col titolo, difficile, lontano
nella forma da quello originale, e quasi sicuramente concertato insieme
all’autore, di Co(rps)-propriété. È un cambiamento notevole che, tanto per
dirne una, cancella il riferimento diretto alla carne, ma lo fa tentando comunque
di rendere conto della complessità, della tramatura concettuale del titolo
originale: è un buon titolo, insomma. Il controesempio: Magrelli ha tradotto il
Journal de deuil, di Roland Barthes, e l’unica opzione per rendere in maniera
anche moralmente giusta quel titolo era l’altrettanto secco Diario di lutto.
L’editore ha optato per un molto più vago, meno inquietante e francamente
inaccettabile Dove lei non è. Non credo servano commenti. Si sta andando, se
non ci si è già arrivati, verso gli usi invalsi da tempo nel cinema, in Italia:
tutti ricordiamo il film di Michel Gondry, The Eternal Sunshine of the Spotless
Mind (titolo magniloquente e pieno di echi zen, o new age, che ognuno sarà
libero di apprezzare o meno), truffaldinescamente tradotto Se mi lasci ti
cancello. Speriamo non arrivi mai il giorno in cui Journal de deuil sarà
tradotto ’A mamma è sempre ’a mamma.
LB: Magrelli autore della carne o Magrelli autore delle ossa?
RISPOSTA: Della carne e delle ossa. È l’unico modo per non scrivere polpette, o polpettoni.
LB: Magrelli autore della carne o Magrelli autore delle ossa?
RISPOSTA: Della carne e delle ossa. È l’unico modo per non scrivere polpette, o polpettoni.
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