Tra l’ottobre
del 2012 e il febbraio 2013 il MACRO di Roma, per la a cura di Benedetta Carpi
De Resmini e Martina Caruso, ha dedicato una mostra a Giulio Turcato. L’anno
scorso correva infatti il centenario della nascita dell’artista mantovano che
trovò prima in Venezia, e poi soprattutto nella capitale, il fulcro di una quotidianità
operativa che lui stesso ben descrive nel contributo riportato all’inizio del
volume qui presentato e intitolato Io,
Turcato. Ciò che però il libro sa mettere in mostra è il viaggio
artistico di Turcato, i remoti movimenti della sua opera che si sposta dalla città natale a Venezia, da Venezia a Roma dopo l'esperienza resistenziale quindi ai lidi di Cina o Egitto (con la moglie Vana Caruso). Questo Stellare
pubblicato da Quodlibet (pp. 128, euro 20) sfugge all’idea del classico
catalogo di una mostra per diventare quindi un’occasione di ricollocamento e
ripensamento dei movimenti della sua opera, il tutto condito di un eccellente
apparato fotografico e documenti e di un’autentica infilata di perla finale, ovvero lo scritto
di Emilio Villa intitolato C’è da
correre… e pubblicato in precedenza nel volume Turcato e la Cina del 1971.
Chissà che prima o poi non capiti di tornare a parlare qui proprio di Emilio Villa, e non
tanto al poeta bensì del suo breve scritto L’arte
dell’uomo primordiale che può suggerire degli echi con il lungo lavoro di
Giulio Turcato.
Batteriologico (1960) |
Ma rimaniamo all’artista
mantovano, che nell’ambiente romano del dopoguerra ebbe la sua formazione.
Si ricorda infatti la sua vicinanza al gruppo romano Forma, a “Fronte nuovo
delle arti” e infine al “Gruppo degli Otto” nella prima metà degli anni
Cinquanta. La vicenda di Turcato è però oggi leggibile anche nel suo entrare e uscire dagli “scomodi” gruppi, siano questi gruppi artistici o politici come il PCI, in seno al quale si verificò una storica rottura con Togliatti consumatasi definitivamente, come
per molti altri, coi fatti di Ungheria del 1956. In questo libro possiamo
vederli i "politici" Comizi, eppure si avverte in questi uno spazio già fuggito dalle pesantezze che riscontro ad esempio in Guttuso, verso una prospettiva d'astrattismo che avrà esiti diversi da quelli di un artista pur vicino come Emilio Vedova. Ed è a
cavallo del decennio dei Cinquanta e dei primi anni Sessanta che si libra la
gioia spaziale dell’arte di Turcato, con i primi "Ideogrammi" (risultato del
fondamentale viaggio in Cina, proprio con il PCI), con i reticoli e i filamenti, con le serie batteriologiche-microbiche-filamentose (il Batteriologico che riporto risente molto di Klee) o nei Tranquillanti per il mondo (un’opera
collage dove le pastigliette collocate su tela sembrano preludere alle ossessioni farmaceutiche ben più note di un Damien
Hirst).
Superficie lunare (1971) |
Turcato, in quella mostra, dimostrò di essere quel grande artista che solo di recente è stato riconosciuto, valutato, studiato. Un caro saluti, d.
RispondiEliminaUn caro SALUTO. Scusate
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