giovedì 7 novembre 2013

"Vivi. Ultime notizie di Luciano D." di Nicoletta Bidoia: vivendo viviamo!

Quale repertorio ci riserva Luciano D., protagonista di questo "salvataggio con nome" compiuto da Nicoletta Bidoia e pubblicato da qualche settimana dalle Edizioni La Gru (pp. 136, euro 13)! Il signor Luciano D., il "messia", arriva nella casa di riposo dove lavora l'autrice dopo quarant'anni di manicomio. A volte ritorna su quel passato anteriore alla legge Basaglia, ma non come ci si potrebbe aspettare. Spiazza dolcemente, ci frega ironicamente Luciano. Lui nomina madonne (e tante), scrive sulla "Settimana enigmistica", poi verga lettere. Indirizzate a chi? A Bush, alla regina Elisabetta, al papa o al presidente del Portogallo. Faceva e credeva anche a molto altro, come alla resurrezione dei denti (e non c'era qualche religione o mistica, dalle parti della Palestina, dove i denti ricoprivano una certa rilevanza? Ricordo bene di aver letto qualcosa del genere o sono diventato matto?). Matto io? Matto il signor Luciano? Se vogliamo imbrigliarlo in questa parola va bene, se ci tranquillizza va bene così. Ma tra le righe di questa cura di Nicoletta Bidoia, intesa non tanto in senso medico, viene a galla molto altro, assieme all'ironia e all'intelletto di quest'uomo ch'era solito salutare con il motto "Vivendo viviamo" da cui il "vivi" del titolo. E allora come si pone il racconto di chi trae in salvo questa vita apparentemente ai margini? Come si scrive di una vita, custodita e custode, che è entrata nella nostra vita?

La difficoltà maggiore, nel concepire un libro simile, era rappresentata a mio avviso dall'ampiezza dei passi, dall'interpolazione delle scene, dalle scelte temporali compiute dall'autrice che ha messo mano al "file" Luciano D., un file progressivamente ispessitosi negli anni, sovraccaricato di materia narrativa e di memoria. Per questo ho ripreso all'inizio l'immagine informatica del "salva con nome", fatta propria da Antonella Anedda nella titolazione di uno dei più bei libri di poesia dell'ultimo lustro. E qui sta il tentativo riuscito di questo recente libro, il primo al di fuori del recinto della poesia per Nicoletta Bidoia. A volte le pagine funzionano e stanno in piedi per quella sinuosa complicità che si crea tra chi racconta e chi si racconta in questi paragrafi, talvolta anche brevissimi ma mai lapidari, tra l'estro di Luciano e le attività prosaiche e consunte della giornata tipica di chi racconta e scrive questo libro. Qui c'è la cura conquistata a fatica di una vita che sta dentro un'altra vita, il desiderio del come ogni vita potrebbe (dovrebbe?) stare dentro ogni altra vita. E se arrivare a questo è un processo doloroso, incompiuto costituzionalmente, e che pure in qualche modo sempre accade, la cosa importante da segnalare qui è la buona levitas con cui Nicoletta Bidoia incontra nella scrittura Luciano D., dei molti sorrisi che sa provocare, come piccole scosse. Non certo un elettroshock di sorrisi.

Mi chiedo infine da dove nasce un simile libro. Da molte cose, credo, da un accumulo che è proprio di poesia e che pure ha trovato in questa riuscita e inedita forma narrativa un ottimo outlet, una foce (lasciatemi usare la parola "outlet" anche in uno dei suoi sensi originari). Nasce da questo, lo si legge già nelle prime righe. Sembra provenire da un senso grande di gratitudine e riconoscenza forte, quasi una sorta di grazia: "In quegli anni ho parlato con lui a lungo e ho conservato i fogli che mi consegnava. Al termine di ogni sua visita annotavo le nostre conversazioni, aspettando con pazienza che si rifacesse vivo. Poi, quando lo hanno trasferito, ci siamo scritti diverse lettere. Sono stata fortunata. Il signor Luciano si conosce, non s’inventa."  

Il libro è dedicato a Veronica Kleiber, figlia del maestro Erich e sorella di Carlos; in questa dedica si intreccia la lunga fedeltà all'opera, alla danza e alla musica di Nicoletta Bidoia, arti (arti al femminile e, anatomicamente, pure al maschile) che in fondo non suonano spazi lontani dalla follia. Scrivevo di "outlet". Per risalire alla sorgente, a un la di principio e accordatura, più che la citazione da Wittgenstein dopo il frontespizio è l'altra frase di Kurt Vonnegut, narratore tra i più amati dall'autrice, che ci apre alla stradina verso questo prato narrativo, maculato di fioriture celate e erbe non note: "Noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere."

2 commenti:

  1. Casa editrice che non conoscevo e sembra valida. Avevo letto alcune poesie di Bidoia e le trovai assai buone. Buonanotte

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  2. Gran citazione (quella di Kurt). Ciao! Fabio

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