Storie di collane micro #10
Tien botta il costrutto editoriale di collana? Mi chiedo spesso se questo costrutto, questo espediente, questa prassi consolidata storicamente del raggruppare i libri in collane resista nel panorama tutt'altro che leggibile dell'editoria italiana. I dati che l'AIE ha fatto girare a ridosso della Frankfurter Buchmesse sono preoccupanti, solo per stare alle cifre. Se pensiamo che comprendono anche quel reparto di pseudocartoleria che popola le librerie, non c'è da stare allegri. Tutto in calo e, come giustamente nota Federico Novaro nel suo contributo per "L'indice dei libri del mese", chi ne fa le spese di questa situazione è il lettore, fantomaticamente inseguito dalle pseudostrategie degli editori e invece paradossalmente frustrato e frustato dalla sferza dell'inseguimento del mercato. Molti editori sono poco più che stampatori (e tiriamo pur dentro anche i grandi, che si rifiutano di fare un mestiere difficile, nobile e tremendo) e il "dato positivo" che Novaro estrapola è un'inquietante ascesa del numero di case editrici. In fondo basta poco per definirsi "casa editrice": un libro all'anno. Ma diverso è "fare editoria", consapevoli che quella della casa editrice è un'impresa in tutte le accezioni della parola "impresa".
“Questo è il più bel mestiere del mondo”, si legge nel sito della casa editrice Et al., abbreviazione di Et alii, espressione molto diffusa nelle bibliografie. A dichiararlo, riferendosi al proprio mestiere, è il direttore Sandro D'Alessandro. In effetti si percepisce, solo a stare nel sito, la voglia di fare editoria nel senso autentico del termine, rischioso, senza prendere in giro nessuno nella lunga filiera che fa passare di mano l'oggetto libro, quando resta fatto di carta (ma scusate, come fate a chiamare "libro" l'ebook? Si tratta di un'altra cosa, che in fondo merita un nome più rispettoso, che non parassiti all'ombra del libro di carta con una "e" davanti). Se poi i libri di questa giovane casa editrice vi sono capitati tra le mani credo che l'impressione di un lavoro condotto con scrupolo, criterio, passione e intuizione sia chiaro.
La buona percezione regge ulteriormente davanti alla microcollana TAG Sillabario curata da Federico Leoni. Sono stato adescato da un bel libercolo di Rocco Ronchi su Brecht. Come sempre, il mix di due autori frequentati in passato può produrre un certo cocktail dal sapore invitante. A dire il vero, se non fossi in periodo di limitata spending review anche per i libri, mi sarei preso subito anche il Dante. Il suono dell'invisibile di Carlo Sini, stavolta per il titolo, oltre che per il mix di autori (di Dante non serve dire, di Carlo Sini ricordo l'antologia di testi che si usava al biennio). Completano il poker di partenza della collana calato dalla casa editrice Wittgenstein. Lo stupore e il grido di Sergio Benvenuto e Descartes. Una teologia della tecnologia dello stesso Federico Leoni.
Il libro di Rocco Ronchi su Brecht è un testo che perlustra la funzione peculiare di cui il drammaturgo rivestì la totalità del suo teatro in uno dei momenti più tragici della storia mondiale. Così diventa possibile ripercorrere in modo condensato molte delle fondamentali speculazioni che lo scrittore di Augusta affidò agli Scritti teatrali pubblicati da Einaudi nella PBE, nella traduzione di Emilio Castellani e Roberto Fertonani. Ronchi pone dapprima Brecht in una linea di riflessione che coinvolge il Platone del X libro della Repubblica, quindi avanza in una fondamentale diade tra tra Brecht e materialismo storico (vi ritornerà anche nell'appendice, dove riprende uno scritto apparso su "il manifesto"), poi s'allarga a Wittgenstein e Bachtin, al celebre straniamento, nel capitolo intitolato appunto Verfremdungseffekt, per concludere con un capitolo che allaccia tecnica di recitazione e filosofia.
In chiusura vorrei riportare il testo - a mio avviso efficacissimo - che presenta il concept di questa collana curata da Federico Leoni. Per rispondere alla domanda che mi ponevo in apertura, direi che di fronte a un simile testo il costrutto di collana sembra ancora reggere egregiamente. Insomma, le idee sembrano chiare, quasi luminose. Non so se il costrutto di collana regga solo presso il fantomatico "lettore forte", una specie che più che in via di estinzione mi sembra sempre più in via di stancante definizione e ridefinizione. La domanda è: a chi giova definire il "lettore forte"?
"Ogni libro della collana presenta un grande autore un classico. Della filosofia, della letteratura, della storia dell’arte. Ma lo presenta in modo tutt’altro che classico. Ne parla per tentare un esperimento con la verità, come diceva Nietzsche. Un filosofo parla di uno scrittore, un narratore di uno storico dell’arte, uno psicanalista di uno scultore. Ciascuno racconta una sua passione segreta. Una sua ossessione. Non è tempo di storicizzare, di collocare autori e testi nel cielo bianco dell’eternità. E’ tempo di dichiarare amore e guerra. Non per un autore o un’opera, ma per il suo presente. E cioè per il nostro."
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