Una poesia da #29
Libro scomparso dalla circolazione, Strade strade (Chausseen, Chausseen del 1963) del poeta tedesco Peter Huchel (Berlino 1903 - Staufen 1981) uscì nella collana Lo Specchio di Mondadori nel 1970 per la cura di Ruth Leiser e Franco Fortini. Erano gli anni in cui Huchel si apprestava ad abbandonare la DDR, anche se, da quasi un decennio, era già defilato assieme a buona parte del suo impegno (ricordiamo, tra l'altro, la direzione dell'importante rivista "Sinn und Form"). La poesia che ho scelto non è tra quelle predilette da Fortini, che nella sua introduzione la inserisce in un gruppo di testi di "sinistro turismo militare" (cinque sono gli anni di guerra di Huchel, più un sesto di prigionia in Russia), di "immobilità magica" che a noi italiani fa sempre tornare alla mente tanta poesia degli anni Trenta del Novecento. Certe ibernazioni dello sguardo, cifra di una poesia che Fortini forse sente già passata, sono in effetti evidenti nel componimento che ho scelto.
La lettura di quella prefazione di Fortini ci lascia tuttavia una sensazione strana: il suo discorso sembra farsi freddo e distaccato, forse imbarazzato, a tratti quasi supponente. Sicuramente schietto quando cassa senza esitazioni le poesie di Huchel che presentano un più diretto riferimento all'attualità. Solo nel finale Fortini si lascia andare un po', parlando delle composizioni più riuscite del libro. In realtà, a ben scavare, si può leggere in filigrana, ora come allora, un certo disaccordo tra la posizione di Fortini, il quale forse avverte già come "invecchiata" questa poesia, e la posizione d'altro segno di Vittorio Sereni, che dalla sua posizione di direttore editoriale fu il vero artefice di quest'edizione italiana delle poesie di Huchel (vedi anche L'invenzione del futuro. Breve storia letteraria della DDR a cura di Michele Sisto e pubblicato da Scheiwiller). Parlando del lavoro di traduzione, svolto assieme a Ruth Leiser, Fortini scrive infatti di un'impressione che "la poesia italiana, una parte di essa almeno, ai suoi anni giovanili, poco prima della Seconda Guerra, avesse già elaborati i nessi verbali, i colori per questo autore." Queste divergenze in controluce, lungi dall'essere ormai acqua passata, sono significative per scorgere il turbinio di due delle migliori menti della poesia di allora, a maggior ragione se siamo tutti più o meno persuasi che la scelta della poesia che si traduce e pubblica dica molto, quasi di più della poesia che si scrive e stampa in una data lingua. E anche questi dialoghi a distanza tra Fortini e Sereni echeggiano in tutto il loro immutato interesse 44 anni dopo, quando ne sentiamo forse più che mai la mancanza, l'autenticità, quella sorta di giusta rabbia.
VERONA
Cadde fra noi la pioggia della dimenticanza.
Nella fonte tramontano le monete.
Sul muro il gatto
ruota il capo nel silenzio.
Non ci riconosce più.
La luce fioca dell'amore
cala sulle sue pupille.
I congegni nella torre si scuotono
e batte troppo tardi l'ora.
La terra non ci fa dono
di tempo oltre la morte.
Cucite dentro il panno della notte
affondano le voci
irreperibili.
Dal davanzale volano due colombe.
Il ponte vigila il giuramento.
Questa pietra
nell'acqua dell'Adige vive
grande nel suo silenzio.
E nel centro delle cose
il lutto.
VERONA
Zwischen uns fiel der Regen des Vergessens.
Im Brunnen verdämmern die Münzen.
Auf der Mauer die Katze,
Sie dreht ihr Haupt ins Schweigen,
Erkennt uns nicht mehr.
Das schwache Licht der Liebe
Sinkt auf ihre Augensterne.
Es rasselt das Räderwerk im Turm
Und schlägt zu spät die Stunde an.
Die Erde schenkt uns keine Zeit
Über den Tod hinaus.
Ins Gewebe der Nacht genäht
Versinken die Stimmen
Unauffindbar.
Zwei Tauben fliegen vom Fenstersims.
Die Brücke behütet den Schwur.
Dieser Stein,
Im Wasser der Etsch,
Lebt groß in seiner Stille.
Und in der Mitte der Dinge
Die Trauer.
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