Brancusi fotografo
Chi ha visitato la casa di Goffredo Parise, non tanto lo spoglio buen retiro in golena del Piave a Salgareda, bensì l'altra, quella davanti alle scuole in paese a Ponte di Piave ("la prima vera casa o home della mia vita" scriveva contento nel 1984, a due anni dalla morte), si sarà aggrappato a determinati oggetti. Se uno ci arriva dopo aver letto delle sue discese sulla neve, una parte importante dei Sillabari, è probabile che si soffermi un po' davanti agli scarponi da sci, come è capitato a me (forse anche per deformazione lavorativa), oppure davanti a certi arredi (alle bianche poltrone!). Uscendo nel verde, in uno dei "due giardini" tra i quali la casa rossa si incastra, viene normale compiere il periplo della copia di "Mademoiselle Pogany", la statua di Costantin Brancusi. Mi sono spesso chiesto del perché di quella statua e del perché di Brancusi. Non che abbia trovato risposte illuminate al mio peregrinare interrogativo, tuttavia, sfogliando questo volume dedicato alle fotografie lasciate dallo stesso artista rumeno e pubblicato da Abscondita (Brancusi fotografo, pp. 153, euro 33, a cura di Paola Mola), mi pare ora di girare meglio anche per la casa che accolse Parise negli ultimi anni di vita e forse anche di girare meglio attorno a Mademoiselle Pogany.
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Colonna senza fine |
A dire il vero, più che una circolarità, mi pare sia una una sorta di verticalità che spicca in questo lavoro fotografico, ad esempio nelle varie foto che l'artista dedica alla celebre "Colonna senza fine" oppure all'enigmatico "Uccello nello spazio". Le fotografie che Brancusi scatta ai propri lavori o a certe vedute dell'atelier parigino di Impasse Ronsin sono parte viva e non collaterale della sua arte. Fotografia e scultura diventano davvero due facce che non si possono delaminare, due sostantivi che si declinano nello stesso caso, genere e numero. L'artista contadino nato nel 1876 nel villaggio rumeno di Hobiţa, al cospetto dei Carpazi, non amava spiegare il proprio lavoro sulla materia (legno, alabastro, marmo, bronzo, gesso, tanto gesso, chiodi ecc). In fondo la consapevolezza di un artista, anche quella teorica, a patto che ci sia davvero, si può spiegare nei modi più disparati, non necessariamente con tomi vergati magari da tediosa speculazione. E a suo dire, bastavano le fotografie che egli stesso dedicava alle sue creazioni per "spiegare" il suo lavoro d'artista. Pensando anche alla centralità che occupano i nomi/titoli delle sue opere, e da egli stesso sottolineata in alcuni aforismi, la scultura fotografata diventa un nome e un titolo (s)colpito e sostanziato dalla luce. Quando ritrae "Leda", Brancusi dimostra un approccio addirittura cinematografico. Quest'insieme di foto radunate da Abscondita e da Paola Mola diventa allora importante per addentrarsi persino nel non trascurabile rapporto tra forma e piedistallo delle sue opere. Brancusi lavorò molto anche su questo aspetto, e tutto ciò emerge bene da questo nucleo di foto, e in tutto questo possiamo ravvisare anche un'eco prolungata di quel discorso che uno dei più importanti scrittori amici, Ezra Pound, fece sull'accumulo delle forme che percorre trasversalmente l'intera sua opera.
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Uccello nello spazio |
Diceva Costantin Brancusi che la scultura è "l'acqua, l'acqua". Sicuramente qualcosa della levigazione dell'acqua è riposto nel suo magazzino di forme. L'atelier stesso è ritratto in momenti diversi, da angolature e altezze nuove ogni volta, immerso in luci diverse. Non c'è tormento creativo in Brancusi, c'è gioia, e ripenso che anche questo aspetto mi riporta a Parise. Eppure è preservata integra la tragicità di quelle "apparizioni larvali" (Montale) che, dalla "Musa addormentata" al "Bacio", riservano - almeno per me - anche etruschi rimandi con il lavoro quasi coevo di Arturo Martini. E non c'è l'incompleto o il non-finito nella sua scultura: la forma deve riposare nella materia (per questo la fotografia?). E allora ritorna l'interrogativo che personalmente trovo sempre più affascinante: quando un'opera d'arte è detta/pensata conclusa? Questa è la domanda che vorrei spesso fare ad ogni artista, ai poeti. Non è tanto l'inizio che interessa, l'attacco, neanche in una poesia, ma diventa molto più interessante capire quando una poesia si ritiene conclusa, finita. E queste forme di Brancusi che riposano, riposano spesso in un colore, quello che assomma in sé la luce, il bianco, riverberato dalla presenza diffusa di un materiale tradizionale e in fondo scolastico come il gesso, anche per terra e nell'aria, nell'atelier, o persino nei suoi cani somoiedi bianchi alimentati a latte bianco in una ciotola bianca. Costantin Brancusi fu anche tutto questo, scultore-fotografo e scultore-scrittore (scultura e scrittura condividono radici linguistiche, scrab e scar).
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Il numero 19 di "Riga" |
Il volume di Abscondita curato da Paola Mola raccoglie in chiusura interventi di Ezra Pound, Michael Middleton, Paul Morand, Eugenio Montale (in una veste di timido reporter accolto nell'atelier e invitato pure, a tempo debito, ad andarsene), Henri-Pierre Roché e Man Ray. Ricordo inoltre che negli ultimi tempi s'è rivisto in libreria pure il diaciannovesimo numero della rivista "Riga" dedicato all'artista, meritorio progetto monografico a cura di Marco Belpoliti e Elio Grazioli, uscito anni fa e ora riproposto in edizione ampliata, sempre dall'editore Marcos y Marcos. Sono tutti brani fondamentali per ricostruire la bibliografia italiana su Costantin Brancusi. Nel volume di Marcos y Marcos troverete, tra gli altri, anche un prezioso contributo di Rosalind E. Krauss, poesie di Jean Arp, altri saggi (ricordo John Berger, Mircea Eliade, Michel Frizot, Sidney Geist, Ettore Sottsass) e "interventi visivi" di Aurelio Andrighetto, Dario Bellini e della stessa Paola Mola.
I cani che bellezza : mi procuro subito il volume recensito. Grazie ciao alberto! M.
RispondiEliminaPrego Marta... un saluto.
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