Jean Cayrol (1911 - 2005) |
In quel film di Resnais musicato dall'austriaco Hanns Eisler e recitato dalla voce di Michel Bouquet, il testo di Cayrol appare come contrappunto alle immagini. La poesia di Cayrol e il tema del ritorno centrano in pieno i tratti salienti che attraversarono l'esperienza concentrazionaria di Primo Levi e il resto della sua vita fino al tragico epilogo. Nella sua postfazione Boris Pahor ricorda che nei personaggi delle opere di Cayrol esiste una sorta di "perdita della memoria", mentre in Levi spesso si ravvisa il contorno di una sorta di "lacuna della testimonianza". Se il narratore di Levi è testimone, in Cayrol assistiamo a una negazione pressoché totale della testimonianza. Per raccontare l'esperienza disgraziata dei sopravvissuti Jean Cayrol ricorreva alla similitudine biblica con la figura di Lazzaro, colui che ha visitato la morte e vi ha fatto ritorno, e che tuttavia non ricorda pur essendo (o proprio perché) ancora vivo. Pahor è molto accorto nel puntellare le differenti visioni sulla possibilità di raccontare l'incomunicabile, il non condivisibile o l'indicibile (sua, di Cayrol e di Levi). C'è un punto della sua postfazione dove il pensiero grippa, e poi si innalza. Ricorda i mesi del sanatorio successivi al campo, la TBC e il momento in cui si trovò a osservare una ragazza che si pettinava. Proprio da quel gesto Pahor racconta di aver ripreso a raccontare. Sembra quasi esserci una sorta di fede inspiegabile e inspiegata nell'eros che consente il tentativo di un racconto dopo la morte infinita scontata nel campo. Ma la poesia non è sempre racconto, e quella di Cayrol ancor meno. E il punto - scuserete il paradosso sin troppo spinto - non è se si possa raccontare o fare poesia dopo Auschwitz, bensì come abbiamo potuto raccontare e fare poesia prima di Auschwitz. Dopo Auschwitz, scrive Pahor, "raccontare il campo è possibile, difficile invece è comprenderlo. Non è vero che dopo i campi non si può più scrivere poesie. Si può e si deve farlo per non dimenticare i morti, quelli che non possono più leggere poesie. Non ho mai pensato che l’esperienza della deportazione sia, come invece ritiene Cayrol, «inafferrabile, intrasmissibile». Credo piuttosto che il problema sia farla rivivere al lettore, soprattutto far comprenderne la dimensione psicologica. Il male si può descrivere, lo si può dire, resta semmai il problema che chi non è passato per il campo, con quel male non vi si può immedesimare. Il campo rimane e rimarrà incomunicabile. Qui sta forse la differenza di pensiero maggiore tra me e Cayrol: ciò che per lui è indicibile, il male concentrazionario, per me invece è incomunicabile".
Poco oltre Pahor inquadra bene il terrain vague che è diventato l'universo dello sterminio e quello del testo poetico di Cayrol, che ora giunge a noi nella traduzione di Nicola Muschiatello:
"Ciò che più impressiona del documentario di Resnais e del testo di Cayrol è che manca la persona. C’è una voce che racconta, certo. Poi ci sono le immagini. Fotografie e riprese. E in quelle sequenze ciò che manca è più forte di ciò che si vede. Come scrive Cayrol, ci sono «costruzioni che potrebbero essere scuderie, granai, laboratori artigianali, una terra povera ora terra abbandonata, un cielo d'autunno ora indifferente, ecco quanto ci resta per immaginare una notte interrotta dagli appelli, dall'ispezione per i pidocchi, una notte che batte i denti». Nonostante le rovine, i resti del campo ancora visibili, si tratterà sempre di compiere uno sforzo di immaginazione per cercare di capire cosa era quella vita."
SOLITUDE
Depuis qu’il est revenu
il vit avec les chiens
les bêtes veules les arbres morts
de l’été qui finit la guerre.
Depuis qu’il est revenu
son visage est devenu laid
il parle seul dans la rue
il ne sait pas qui l’a trompé.
Il tourne dans sa maison
et siffle un air que lui seul connaît
et parfois tombe sans raison
comme un homme ivre qui se tait
depuis qu’il est revenu
il ne s’est pas encore mis nu
un jour viendra
où il aura deux larmes sous les yeux
tuez-le.
SOLITUDINE
Da quando è tornato
vive con i cani
le bestie ammalate gli alberi seccati
dell'estate che mise fine alla guerra.
Da quando è tornato
il suo viso è diventato brutto
parla per strada da solo
non sa chi lo ha ingannato.
Gira per casa
e fischietta un motivo che conosce solo lui
e qualche volta senza ragione cade
come un ubriaco che non parla più
da quando è tornato
non si è ancora spogliato
un giorno avrà
due lacrime sotto gli occhi
ammazzatelo.
(Traduzione di Nicola Muschiatello)
Grazie per aver parlato di questo libro, un saluto, l.
RispondiEliminaGrazie Luca.
RispondiEliminaHo visto il sito di Nonostante edizioni e lo consiglio a voi!
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