lunedì 14 aprile 2014

"Notte e nebbia" di Jean Cayrol

Qualche parola sull'editore (talvolta è bene iniziare da chi pubblica e questo è uno di quei casi). Nonostante Edizioni è nata poco fa a Trieste. Nel sito potrete trovare una sorta di sunto delle linee programmatiche e sono linee avvincenti, tanto quanto la fattura di questi libri, pressoché unica nel panorama (con una sovraccoperta trasparente elaborata da Franco Toso). Ma ciò che poi conta sono anche le uscite, e allora ecco spuntare nell'alveo della letteratura francese, e in quello ancora più ristretto degli autori che sfociarono nel Nouveau Roman, i libri o le anticipazioni sui libri che verranno di Robbe-Grillet, Claude Simon, Michel Butor, Nathalie Sarraute, Marguerite Duras, Hélène Bessette o Jean Cayrol. E proprio di quest'ultimo vi voglio dar notizia, visto che ho letto le poesie di Notte e nebbia (pp. 188, a cura di Giovanni Pilastro, traduzione di Nicola Muschiatello, postfazione di Boris Pahor, euro 16).


Jean Cayrol (1911 - 2005)
Il titolo proviene dal tedesco "Nacht und Nebel", l'endiadi con cui si classificarono i prigionieri politici nei campi di concentramento dei nazisti. Cayrol, scampato alla morte Mauthausen, già nel 1946 compose il libro di poesia Poèmes de la nuit et du brouillard e poi, di lì a poco, nel decimo anniversario della liberazione nel 1955, affiancò con il proprio testo il lavoro del regista Alain Resnais, morto fra l'altro lo scorso marzo a Parigi, per il documentario in bianco e nero e a colori intitolato proprio come il libro qui proposto, Nuit et brouillard (qui un breve clip della parte finale). I deportati marchiati con la NN di "Nacht und Nebel" non dovevano lasciare alcuna traccia; quelle due lettere stavano per un'area di attesa della morte che non doveva lasciare segni: nulla si doveva sapere della loro morte e del luogo di questa. Il riferimento è al decreto "Notte e Nebbia" emanato dal Reich nel dicembre 1941 e il segmento di testo che prestò il nome al decreto proveniva da L'oro del Reno di Wagner, laddove Alberico, indossando l’elmo magico, si trasforma in colonna di fumo e sparisce cantando "Nacht und Nebel, niemand gleich".

In quel film di Resnais musicato dall'austriaco Hanns Eisler e recitato dalla voce di Michel Bouquet, il testo di Cayrol appare come contrappunto alle immagini. La poesia di Cayrol e il tema del ritorno centrano in pieno i tratti salienti che attraversarono l'esperienza concentrazionaria di Primo Levi e il resto della sua vita fino al tragico epilogo. Nella sua postfazione Boris Pahor ricorda che nei personaggi delle opere di Cayrol esiste una sorta di "perdita della memoria", mentre in Levi spesso si ravvisa il contorno di una sorta di "lacuna della testimonianza". Se il narratore di Levi è testimone, in Cayrol assistiamo a una negazione pressoché totale della testimonianza. Per raccontare l'esperienza disgraziata dei sopravvissuti Jean Cayrol ricorreva alla similitudine biblica con la figura di Lazzaro, colui che ha visitato la morte e vi ha fatto ritorno, e che tuttavia non ricorda pur essendo (o proprio perché) ancora vivo. Pahor è molto accorto nel puntellare le differenti visioni sulla possibilità di raccontare l'incomunicabile, il non condivisibile o l'indicibile (sua, di Cayrol e di Levi). C'è un punto della sua postfazione dove il pensiero grippa, e poi si innalza. Ricorda i mesi del sanatorio successivi al campo, la TBC e il momento in cui si trovò a osservare una ragazza che si pettinava. Proprio da quel gesto Pahor racconta di aver ripreso a raccontare. Sembra quasi esserci una sorta di fede inspiegabile e inspiegata nell'eros che consente il tentativo di un racconto dopo la morte infinita scontata nel campo. Ma la poesia non è sempre racconto, e quella di Cayrol ancor meno. E il punto - scuserete il paradosso sin troppo spinto - non è se si possa raccontare o fare poesia dopo Auschwitz, bensì come abbiamo potuto raccontare e fare poesia prima di Auschwitz. Dopo Auschwitz, scrive Pahor, "raccontare il campo è possibile, difficile invece è comprenderlo. Non è vero che dopo i campi non si può più scrivere poesie. Si può e si deve farlo per non dimenticare i morti, quelli che non possono più leggere poesie. Non ho mai pensato che l’esperienza della deportazione sia, come invece ritiene Cayrol, «inafferrabile, intrasmissibile». Credo piuttosto che il problema sia farla rivivere al lettore, soprattutto far comprenderne la dimensione psicologica. Il male si può descrivere, lo si può dire, resta semmai il problema che chi non è passato per il campo, con quel male non vi si può immedesimare. Il campo rimane e rimarrà incomunicabile. Qui sta forse la differenza di pensiero maggiore tra me e Cayrol: ciò che per lui è indicibile, il male concentrazionario, per me invece è incomunicabile". 

Poco oltre Pahor inquadra bene il terrain vague che è diventato l'universo dello sterminio e quello del testo poetico di Cayrol, che ora giunge a noi nella traduzione di Nicola Muschiatello:

"Ciò che più impressiona del documentario di Resnais e del testo di Cayrol è che manca la persona. C’è una voce che racconta, certo. Poi ci sono le immagini. Fotografie e riprese. E in quelle sequenze ciò che manca è più forte di ciò che si vede. Come scrive Cayrol, ci sono «costruzioni che potrebbero essere scuderie, granai, laboratori artigianali, una terra povera ora terra abbandonata, un cielo d'autunno ora indifferente, ecco quanto ci resta per immaginare una notte interrotta dagli appelli, dall'ispezione per i pidocchi, una notte che batte i denti». Nonostante le rovine, i resti del campo ancora visibili, si tratterà sempre di compiere uno sforzo di immaginazione per cercare di capire cosa era quella vita."

SOLITUDE


Depuis qu’il est revenu
il vit avec les chiens
les bêtes veules les arbres morts
de l’été qui finit la guerre.

Depuis qu’il est revenu
son visage est devenu laid
il parle seul dans la rue
il ne sait pas qui l’a trompé.

Il tourne dans sa maison
et siffle un air que lui seul connaît
et parfois tombe sans raison
comme un homme ivre qui se tait

depuis qu’il est revenu
il ne s’est pas encore mis nu

un jour viendra
où il aura deux larmes sous les yeux
tuez-le.


SOLITUDINE


Da quando è tornato 

vive con i cani
le bestie ammalate gli alberi seccati
dell'estate che mise fine alla guerra.

Da quando è tornato
il suo viso è diventato brutto
parla per strada da solo
non sa chi lo ha ingannato.

Gira per casa
e fischietta un motivo che conosce solo lui
e qualche volta senza ragione cade
come un ubriaco che non parla più

da quando è tornato
non si è ancora spogliato

un giorno avrà 
due lacrime sotto gli occhi
ammazzatelo.

(Traduzione di Nicola Muschiatello)

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