LB: Come si profila l'idea di un libro come Piccola storia delle eresie (pp. 168, euro 14) e come si arriva a una casa editrice come Quodlibet per pubblicarlo?
R: Per un paio d'anni, tra la fine del 2010 e l'inizio del 2012, a Bologna, si sono svolti degli incontri di libere pensate letterarie che avevano anche un nome: Spazzavento.
Durante questi incontri si leggeva e si stava ad ascoltare. Si discuteva di scritture malfatte, di temi immensi e insolubili: per esempio cos'è l’anima e se esiste ancora. Si assisteva a spettacolini di pochi minuti, proiezioni di foto, cortometraggi, microlezioni. Si facevano elenchi, elenchi di quel che sarebbe stato bello realizzare.
Durante uno di questi incontri avevo letto un pezzetto che parlava della Trinità e lo faceva in un modo un po' avventato. Cioè spiegavo la Trinità prendendo come esempio l'ovetto Kinder. E poi da lì sono partito a scrivere dei piccoli testi nei quali cercavo di spiegare in parole semplici i dogmi della Chiesa. Poi però è venuto fuori che era più interessante studiare le dottrine di quelli che avevano infranto i dogmi. E alla fine mi sono trovato a scrivere di eresie ed eretici.
A questi incontri era presente era presente Ermanno Cavazzoni, che assieme a Jean Talon, cura la collana Compagnia Extra di Quodlibet. Mi ha chiesto di provare a compilare una piccola storia di queste eresie. E così ho fatto.
Mauro Orletti |
R: Quasi tutto quello che sappiamo delle eresie è stato tramandato dai vincitori del conflitto che si scatenò fra i cristiani delle origini. Si tratta di una circostanza che, agli occhi di uno storico, deve apparire funesta. Significa avere a disposizione delle fonti che, in molti casi, hanno un livello veramente basso di attendibilità. Sono spesso faziose, raccontano solo una parte della storia e lo fanno in un modo che, certe volte, non esita a falsificare per dare un’immagine negativa del proprio avversario.
Ecco per me, che non sono uno storico e che non ho alcuna pretesa di ricostruire una presunta verità, tutto questo si è presentato come una grande opportunità.
Raccontare vita e dottrina degli eretici a partire dalla versione dei padri della storiografia ecclesiastica mi è sembrato un modo originale e appassionante per restituire tutta la straordinaria complessità delle varie sette cristiane. Quindi, in un certo senso, posso dire che sono stati loro i miei modelli: non ho mai raddrizzato le loro distorsioni, ho accettato nel racconto piccole e grandi falsificazioni, ho riportato le descrizioni fatte, anche quelle ai limiti della caricatura.
LB: Il libro è strutturato quasi come una minienciclopedia ma poi, leggendolo, si capisce che rifugge ovviamente l'approccio enciclopedico. Qual è stata la difficoltà maggiore nel sintetizzare una materia così vasta, sterminata?
R: Proprio perché volevo che il taglio fosse letterario e non enciclopedico, mi sono preso la libertà di selezionare. In fondo non c'era bisogno di fare un libro con pretese di esaustività (e comunque non ne sarei stato capace). Allo stesso tempo, e penso sia stata questa la principale difficoltà, dalla selezione di eresie e dal successivo montaggio volevo emergesse il racconto di un cristianesimo che non è sempre stato ufficiale, che si è evoluto poco per volta, che ha modificato la propria dottrina man mano che lo scontro con gli eretici si è fatto insanabile. Più in generale il racconto di uno strano periodo storico, fatto di sinodi e controsinodi, di pazzi che si affrontavano a suon di scomuniche e condanne, di sette che inventavano ogni giorno nuove ragioni per odiarsi, cavillando su aspetti apparentemente irrilevanti. Ad esempio se nell'impasto del pane usato per l'eucarestia bisognava aggiungere olio e sale.
Sant'Ireneo di Lione |
R: Qualche tempo fa è uscita su un quotidiano una bella recensione del libro. Venivano citate molte delle eresie raccolte e fra queste quella di uno gnostico di nome Marco che aveva fondato una teologia aritmetica in base alla quale Dio aveva creato ogni cosa in 8 giorni pronunciando quattro parole che contenevano 30 lettere. Il numero 30 era composto da 1 decade, 1 dodecade, 2 tetradi (10+12+4+4). Alla Trinità, quindi, veniva a sostituirsi una delle due tetradi, una Santa Quaternità. Tant'è che l'articolo si intitolava “Pregare nudi in nome della Santa Quaternità”. Ora, a parte il fatto che non sono sicuro che autore del pezzo e autore del titolo siano la stessa persona, comunque questo titolo deve aver attirato l'attenzione di un giornalista “ortodosso” che ha scritto un articolo, su un altro giornale, dal titolo: “Deridere la religione e la fede... È una moda ma non fa ridere”.
Però nelle dottrine degli gnostici come Marco - che noi oggi chiamiamo eretici e che allora non lo erano e avevano pari dignità rispetto agli altri cristiani – non c'era la volontà di deridere la religione e la fede. E così, nell'includerli in una storia delle eresie, per quanto piccola sia questa storia, non c'è l'intenzione di ridicolizzare né l'eresia né l'ortodossia. Infine, nel citarli in un articolo intitolato “Pregare nudi in nome della Santa Quaternità” non c'è intento scandalistico né compiacimento nel ricercare le sette più strambe e risibili. Mi sembra un'accusa un po' gratuita perché, per rimanere all'esempio dello gnostico Marco, la sua stramberia è semmai conseguenza della versione dell'Adversus haereses di Sant'Ireneo di Lione. Quindi, potrei sbagliare, ma ho la sensazione che il timore che gli eretici, le storie di eretici o le recensioni delle storie di eretici possano deridere la religione e la fede è un timore ingiustificato, un timore che nasce forse da una dimenticanza: la religione cristiana, per come la conosciamo oggi, è il risultato di una serie di aggiustamenti che si sono realizzati man mano che venivano avanzati dubbi, obiezioni, interpretazioni alternative. Le eresie alimentavano anche loro la discussione, permettevano di verificare la solidità degli impianti dottrinali, inducevano ad effettuare alcune scelte. È in questo modo che andò formandosi l’ortodossia: selezionando, sacrificando, recuperando e in certi casi copiando.
Non sono in grado di esprimere un giudizio di valore al riguardo, ma penso che le cose siano andate più o meno in questo modo. Per fare un esempio: se Ario non avesse fatto notare che Gesù era nato e quindi, fino ad un certo punto, non esisteva, e non esistendo ab eterno mancava di un attributo divino fondamentale, di modo che era necessariamente subordinato al Padre, se Ario non avesse fatto notare tutto questo magari il Concilio di Nicea non avrebbe parlato di consustanzialità fra padre e figlio e non avrebbe fissato i contenuti principali del Credo. Lo stesso, o quasi, che i cattolici recitano ancor oggi.
LB: Ci consiglia qualche altro libro eretico su cui approfondire?
R: Ci sono tantissimi libri che, da semplice lettore, consiglierei a quanti fossero interessati. Ecco però, nel rispondere alle domande per Librobreve, mi veniva in mente il capitolo sul “Settimo giorno” de Il nome della rosa e in particolare il dialogo fra Guglielmo da Baskerville e il venerabile Jorge. Quest'ultimo spiega per quale motivo ha cercato di nascondere il libro del Filosofo contenente il discorso sul riso. E a un certo punto dice così: “Il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto, dunque controllabile. Ma questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza. Quando ride, mentre il vino gli gorgoglia in gola, il villano si sente padrone, perché ha capovolto i rapporti di signoria: ma questo libro potrebbe insegnare ai dotti gli artifici arguti, e da quel momento illustri, con cui legittimare il capovolgimento. Allora si trasformerebbe in operazione dell'intelletto quello che nel gesto irriflesso del villano è ancora e fortunatamente operazione del ventre. Che il riso sia proprio dell'uomo è segno del nostro limite di peccatori.”
Insomma mi veniva in mente il libro di Eco, soprattutto questo brano in cui si parla del discorso sul riso del Filosofo. E mi veniva in mente la paura ingiustificata del venerabile Jorge che alla retorica della convinzione si sostituisse la retorica dell'irrisione. E forse su questo rischio il venerabile Jorge avrebbe detto: è una moda ma non fa ridere.
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