Ma tralasciamo le noiose motivazioni personali, che sono più che altro la spiegazione del perché ho deciso di dar notizia di questa uscita bibliografica. Leggendo questo brevissimo dialogo di Valéry tra Socrate, Fedro e il medico Erissimaco sono molte le suggestioni che ritornano. Il gesto-dono mai spiegato del danzare, il pensiero incarnato nel tronco e negli arti semoventi, la centralità coreografica assunta nell'arte coreutica e allo stesso tempo l'enigmaticità di quest'arte all'interno delle altre arti sembrano suggerire da subito che la forma platonica del dialogo sia l'unica forma di testo possibile per avvicinare le interpretazioni sul suo "statuto". Ed è uno statuto, se così lo chiamiamo per comodità, che rimanda a ciò che incandescente e primario, invisibile eppure così sulla superficie, in una storia millenaria che davvero si perde nelle origini dell'uomo e che pare aver enigmaticamente smarrito, ad un certo punto, il collegamento con il sacro che per secoli aveva trattenuto (o forse tale collegamento ha solo subito una traslazione?). La danza è poi un'arte tra le più antiche e quasi paradossalmente tra le più documentate, forse più di qualsiasi altra arte, ed ecco allora che emerge un altro motivo di grande interesse e una nuova ragione per riflettere che non solo la musica dovrebbe essere insegnata a scuola decentemente, ma pure la danza.
La danza appare allora come un grande sì, un'affermazione assordante del corpo creatore, che è in grado di affermare e annientarsi nello stesso istante del proprio sforzo infinito, dissipando creativamente l'energia. La danza è alleanza salda di spazio e tempo come poche altre. Arte povera per antonomasia, prima ancora che "arte povera" diventasse etichetta, la danza ha trovato in questo scritto di Valéry un'opportunità eccezionale di rinnovamento nella poesia e nel pensiero di uno dei grandi intellettuali del Novecento. Certo Valéry non è nuovo a queste riflessioni, e si citi soltanto un altro suo libro disponibile in italiano come Degas danza disegno. E molti sono gli spostamenti che possiamo ipotizzare, una volta imboccata la strada di queste riflessioni che investono anche il gesto e la gestualità. Perché non richiamare Bergson e la sua riflessione sulla materia? Oppure studi pionieristici tanto imprescindibili quanto oggi introvabili come Il gesto e la parola di André Leroi-Gourhan, tanto più interessante proprio in quei punti in cui si spende sulla tecnica sviluppata dall'uomo preistorico e diventa alterità pura rispetto alla gratuità e al mancato utilitarismo della danza. E poi sì, certamente anche lui: Cartesio. Per come vi si avvicina Valéry, anche la danza pare rientrare pienamente nell'alveo dell'implexe e in quello di potenzialità biologica, ovvero due dei concetti fondanti i suoi inesauribili Cahiers. Tutto torna. Dicevamo però che la riflessione sulla danza puntella da decenni lo stare al mondo dell'arte coreutica. Ecco, la cosa forse da tener presente e non scontata è che la danza, quando è tale, è qui sì, ma non del tutto a questo mondo.
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