domenica 2 novembre 2014

da "Notti di pace occidentale" di Antonella Anedda

Una poesia da #46
Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #24

Quasi emblematicamente apparso a chiusura di secolo nel 1999, nella collana di poesia di Donzelli che fu inaugurata da Meteo di Andrea Zanzotto, ovvero da un libro contraddistinto da una simile tensione a captare le guerre di quel lembo di storia, Notti di pace occidentale di Antonella Anedda (pp. 72, euro 9,30, ancora in commercio) resta un libro con il quale si continua il confronto quindici anni più tardi. Sono tanti o pochi quindici anni per la poesia? Oggi anche persone intelligenti, quasi a guisa di consolazione, ripetono che il tempo farà pulizia e lascerà solo la "vera poesia". Io non sono molto convinto di questo effetto-delega sul tempo e simili discorsi mi sembrano sempre più spesso viziati e guidati, oltre che da un atteggiamento rinunciatario di fondo, dal solito tarlo-desiderio di poter accedere ad una qualche forma di "immortalità" letteraria per mezzo del tempo che passerà, laddove credo che la letteratura ci serva più ora, nel presente. Allora quando sento questi discorsi mi risalgono improvvisi pensieri foschi e foscoliani per la testa. Ad ogni modo, quindici anni più tardi possiamo dire che questo libro ha avuto una portata considerevole, e lo si capisce anche banalmente nelle tante prove di scrittura oggi costruite su esitanti imitazioni del giro di verso aneddiano. Tuttavia, a una rilettura, sembra tuttora insistere in un altrove la squisita indole di questo versificare. Ho voluto riprenderlo a distanza di tempo e ho scelto un testo che pubblico qui sotto perché è domenica sera, anche adesso. L'autrice, che come Fabio Pusterla esordì con un libro dal titolo-omaggio all'inverno - Concessione all'inverno lui, Residenze invernali lei - deposita in quest'opera la propria concessione al buio e alle notti tanto più evidente nella sezione che accosta poesia e prosa poetica nella stessa pagina, la fede in un'insularità della scrittura che consenta di guardare davvero al Continente (il rapporto con le isole a sud di Genova, da lei considerata come città natale, è evidente nel recente Isolatria. Viaggio nell'arcipelago della Maddalena uscito per Laterza). In Notti di pace occidentale Antonella Anedda inculca una fede ancor più forte in una reinvenzione dell'accostamento analogico, che tanta parte ha avuto nella definizione della lirica moderna. Ed è un accostamento divenuto desiderio di seguire con occhi e orecchie, da un posto lontanissimo eppure fra noi, il trascolorare della vita, la quale è per forza più forte di tutto. Una poesia cieca che vede di più m'appare oggi quella di Antonella Anedda, ma anche una poesia sorda che sembra sentire tutto. Il suo spostamento fra i versi è capace di ricordarci continuamente che dentro di noi, da qualche parte, magari in ammutinamento, risiederà sempre anche la persona che siamo stasera, questa domenica sera o notte, mentre la leggiamo e percepiamo in lontananza la luce sfrigolante di uno sforzo di scrittura che avviene dentro la prepotente ebollizione della realtà, al cospetto delle visioni di "spettri dei mondi che verranno".


È scesa la notte di una domenica notte
di un tavolo con la tovaglia cerata
e strade in salita e inghiottite dal buio.

Non nevica da giorni.
Il marciapiede asciuga sui suoi fianchi
schegge di asfalto e fischio morto di fuochi.
Nessun incanto né memoria di un gesto
desiderio e cenere verde dell’abete –
nessun tremore nel volto accanto al nostro.

Questa notte insegna solitudine
sceglie un nome alle cose: al muro
nell’alba d’estate
alle scarpe tra i rovi
prima della discesa sulla sabbia.
Eppure nessuno ha mai sottratto qualcosa
noi siamo uniti – stelle
rese perfette dalla tenebra, pietre
premute sulla pietra della stanza in penombra.

Le cose che amiamo, le cose che custodiamo
le sere come questa più lontana di altre
indecifrabile nella sua fredda luce
sono spettri dei mondi che verranno.

Un lampo batte sui bambini addormentati
sul tavolo sgombro e pulito.

Tutto è quaggiù – il poco, l’immenso
che avanza verso l’alba feriale.

2 commenti:

  1. “Una poesia cieca che vede. […] una poesia sorda che sembra sentire tutto”

    In “Notti di pace occidentale” le varie sequenze poetiche sono scandite da una dialettica apparentemente semplice dal sapore quotidiano. Il susseguirsi degli avvenimenti appaiono come parapetti da cui ognuno può scorgere lembi di vita che gli appartengono. Incisivi i dialoghi dentro e fuori dal tempo con i “Maestri”; le poesie sono vendemmia d'uva spina. Forti ma dalla buccia trasparente.

    Cordiali saluti
    T. Tius

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