"Resta il fatto che il linguaggio, attraverso
l’anima, può dire di tutto ciò che esiste al mondo e in questo senso
esprimere il mondo, però non può dire il suo rapporto con quel totale
che pure, bene o male, esprime". Basterebbero queste poche righe di Enzo Melandri, che quasi riecheggiano anche certi approdi della fisica novecentesca, per convincerci della necessità di affrontare questo piccolo ma fondamentale libro sui generi letterari e sulla loro origine. I generi letterari e la loro origine (pp. 120, euro 13,50, con una prefazione di Giorgio Agamben) è uscito da Quodlibet e, sulla scia del titolo che porta, si apre sotto il segno di Croce e della sua avversione per i generi letterari e, prima ancora, con un'epigrafe benjaminiana che distingue fra genesi e origine: "Quantunque categoria del tutto storica, l'origine non ha nulla in comune con la genesi. L'origine non comprende il divenire di quanto è nato, ma piuttosto sottintende qualcosa di sorgivo nel suo crescere e appassire. L'origine sta come un vortice nel flusso del divenire e trascina col ritmo suo proprio il materiale genetico".
Questa nuova edizione stampata a settembre scorso rientra in un meritorio processo di riproposizione che l'agambiana casa editrice maceratese sta compiendo, sin dalla pubblicazione dell'opera più nota e maggiore del nostro filosofo, per decenni docente nell'ateneo bolognese, La linea e il circolo del 1968. Questo breve testo vide la luce nel 1980 nella rivista "Lingua e stile" edita da Il Mulino e forse fu risultato di riordinamento delle tante e proverbiali schede che puntellavano sempre la scrittura di Melandri. Non si tratta quindi, almeno originariamente, di un libro, bensì di un corposo studio uscito dapprima su rivista.
Se diciamo che confrontarsi con i generi letterari non è affatto lezioso rischiamo di coprirci di ridicolo, se poi lo facciamo dando notizia di questo libro rischiamo davvero di sprofondare. Eppure c'è qualcosa di mai risolto nel nostro accoglimento del fatto che esistano differenti generi letterari e quest'esistenza di generi differenti rappresenta un problema che - si abbia il coraggio di dire - né la storia della letteratura né la comparatistica hanno affrontato pienamente e con una strumentazione adeguata. Per Melandri questo problema di storia della letteratura ricade in un solco che è precipuamente di filosofia (filosofia del linguaggio, se volete, anche se forse non ha senso continuare a distinguere filosofie tenendole separate con apposite etichette), e ha inoltre a che fare con la natura imprecisa del linguaggio. Un libro che quindi si sofferma sull'impossibilità per il linguaggio di dire il proprio rapporto col mondo, sulla frattura esprimere/dire, sull'impossibilità di far collimare mimesi e conoscenza. Il linguaggio sta allora tra uomo e mondo ma in una relazione col mondo che resta nel non detto.
In queste pagine il traduttore de Il volto demoniaco del potere di Gerhard Ritter (libro importantissimo per provare a capire cosa accadeva in Europa tra le due guerre partendo da Machiavelli, Moro e Erasmo e testimonianza dello spettro larghissimo di interesse della sua speculazione e formazione) porta a compimento un'altra passeggiata contro il simbolico. Confrontandosi con un problema che si ritiene spesso squisitamente letterario, Melandri arriva a tratteggiare i vari generi che passa in rassegna quasi come cicatrici, incidenti, forme sicuramente, ma soprattutto come una sorta di rinculo che ogni colpo di esperienza del limite del linguaggio scarica e incide sulla polpa del linguaggio e delle lingue stesse, all'interno di questa già citata cornice in cui il linguaggio dice il mondo ma mai il suo rapporto con esso. Ne consegue (conseguirebbe) anche un possibile dibattito, oggi forse ignorato e nemmeno tentato, sulla stabilità di queste forme e sul loro futuro. Perché appare chiaro, leggendo questo articolo ora proposto come libro, che ciò che sta a cuore alla speculazione di Melandri, nonostante l'affondo che guarda necessariamente al passato, è invece la futura forma che potrà prendere quel triangolo i cui vertici costituiti da pensiero, linguaggio ed essere vanno sempre a riposizionarsi e a disegnare nuovi generi di letteratura, nuovi triangoli: isosceli equilateri o scaleni ma, soprattutto, acutangoli retti o ottusangoli. Sono interrogativi che nascono da uno stupore o, come potrebbe dire Valéry, interrogativi che incominciano con un'interruzione.
Mi sembra una buona recensione..
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