Avaro nel tuo pensiero è il libro del 1955 rimasto inedito sino a ora, nonostante si presenti come libro di poesia già strutturato e organico, pronto per la pubblicazione. In realtà poteva uscire per Lerici, curato proprio da Roberto Lerici e Giuseppe Tedeschi ad inizio degli anni Sessanta dopo la morte di Calogero, ma non se ne fece nulla. Fu Amelia Rosselli, nel 1980, che tentò di rimettere in circolo i suoi versi, pubblicando un'ampia silloge sulla rivista "Tabula". Prendiamo il semplice dato annuale e facciamo un esperimento utilizzando la cronaca letteraria. Siamo nel 1955. Per rimanere al nostro paese troviamo un Montale prossimo a pubblicare La bufera e altro (1956), Alda Merini che pubblica Paura di Dio, Zanzotto è tra l'esordio di Dietro il paesaggio (1951) e Vocativo (1957). Vittorio Sereni sta nella lunga pausa tra Diario d'Algeria e la sua terza fondamentale opera, Gli strumenti umani, e si appresta a diventare direttore editoriale di Mondadori. Nel 1955 escono per Vallecchi le Poesie di un corrispondente di Calogero, Carlo Betocchi. L'anno successivo, il 1956, è quello di Laborintus di Sanguineti pubblicato per volere di Luciano Anceschi e quello di una grande prova di Nelo Risi, Polso teso. Una collana come Lo Specchio in quegli anni pubblica autori come Lucio Piccolo, Rocco Scotellaro, Maria Luisa Spaziani, Leonardo Sinisgalli ma anche poeti oggi non più frequentati come Gaetano Arcangeli, Stefano Terra, Gian Piero Bona e Orazio Napoli (è facile ricostruire queste informazioni, basta consultare il catalogo storico di Mondadori agilmente interrogabile online tramite dei filtri). Tutto questo spaccato per dire cosa? Magari anche per dire nulla, ma forse per suggerire che le questioni che fanno la memoria e l'oblio sono spesso i casi della vita da un lato e le fregnacce dall'altro, come sempre, e che finché ci appassioniamo troppo alle "riscoperte" e "alle misteriose cadute nell'oblio", che spesso combaciano più con dispute d'accademia e d'editoria che con questioni riguardanti la vita vera della poesia, non succhieremo mai la polpa di un poeta. E poi per sostenere che a noi, oggi, la poesia di Calogero interessa forse per la riscossione che la lingua compie nei testi, mentre leggiamo. C'è davvero un senso di riscossione e risarcimento che attrae verso la lettura di questi componimenti assolati e nivali, un ardere e osare che si riscontrano raramente altrove:
Sopra mormorii quadrati,
di onda in onda, sopra una vetta antica
perduta, di gennaio, i tuoi sogni
sono oggi esigui.
Nubi dense appaiono
e non fu più che sogno,
una vanità che lievemente oscilla
dentro le tue mani modiche.
Un sapore
esse avevano di neve
che teneramente internamente brilla.
Maria Grazia Calandrone, in uno squarcio di felice abbrivio critico, ha scritto che in questo libro "[...] veniamo avvolti dalle nebbie di una perdita: dalle pagine esala malinconia sovrannaturale. Qualcosa che era non è più. Il mondo vero è decaduto e decaduto è il tempo. La terra è fantasmatica, fatta di ombre lacustri e baci perduti, gioie che non tornano, cose concluse. È terra fatta dal suono delle parole, che la descrivono con assonanze e allitterazioni soprattutto in r e in v: trilli e fischi di uccelli boschivi. Muoviamo in un silenzio post apocalittico, mosso da «euritmie». L’autore stesso è tutto sguardo e memoria, piaga di nostalgia per qualcosa che inverava il mondo, se prima «vergine e distesa tu potevi tutto ricoprire» e ora «tutto riverso sono dentro un mio pensiero»". Leggere Calogero è primariamente un'iniziazione acustico-fonica installata, built-in, all'interno di una scrittura divenuta gesto quotidiano (il fondo Calogero prevede 800 quaderni manoscritti) e disperazione solidificata in un passo, in un volto o una postura, tanto che il già citato Montale concluse il suo articolo Attesa per Calogero, uscito sul "Corriere della Sera" del 14 agosto 1962, sostenendo che "se avesse potuto distaccarsi almeno per un attimo dai suoi versi, sarebbe ancora vivo."
Lorenzo Calogero (1910 - 1961) |
AVARO NEL TUO PENSIERO
Se, da diverse parti, sottintesi i segni
divengono quel che sogni e non sai
più quale curva lena sia rosea una linea
tesa, quale vergine sia pura e ferma ora una stella
e, senza percorso, più sopra un pensiero
ti sporgi nella medesima ora
che improvvisa si rinnovella
e ti dette le nudità del sogno,
l’anima sempre uguale era senza mistero
o l’anima puoi perdere alle radici
o la semplice nudità era un assolo.
Ma perché da parti uguali erme divise
non più ti soccorrono fermi i tuoi pensieri
sopra i tuoi fiori nella medesima aridità che ora scintilla essa balena
e ti accorgi di essere più solo.
Avaro nel tuo pensiero,
la stessa sostanza arida t’invischia
solo per tuo diletto.
Erme cinte di cose
appaiono già tutte le rose.
Finalmente qualcuno che scrive, con competenza, di uno dei libri più importanti degli ultimi cento anni in Italia. Grazie di tutto cuore e complimenti.
RispondiEliminaGrazie a lei, Antonio.
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