mercoledì 24 dicembre 2014

"Avaro nel tuo pensiero" di Lorenzo Calogero

Nel 2011 Donzelli aveva mandato in libreria Parole del tempo, primo movimento di un percorso di riproposta della poesia di Lorenzo Calogero. In questo 2014 il catalogo e la collana si arricchiscono di Avaro nel tuo pensiero (pp. XXVI-200, € 24, a cura di Mario Sechi e Caterina Verbaro, autrice quest'ultima de I margini del sogno. La poesia di Lorenzo Calogero uscito per le Edizioni ETS nel 2011). Si prova sempre in questi casi a riesumare le vecchie categorie del "poeta dimenticato" e dell'"emarginazione letteraria", senza ricordarsi che queste si stanno svuotando progressivamente di senso, se mai ne hanno avuto uno. Ma ben si capisce, visto che sono umani tentativi di attrarre attenzione verso una poesia che in realtà attenzione la merita comunque, solo per quello che offre e per come si dà e per tutto quello che lascia nel non detto, per come sa porsi ai nostri occhi di lettori di oltre mezzo secolo più tardi. Voglio dire che non occorre arrampicarsi su questi stratagemmi, spesso accademici, per scoprire la bellezza di una poesia come questa: "A rilento le stesse sostanze/ vedi. Non è mancanza di sole/ la luce che vien meno, la calma piena, il bosco,/ una gocciola, una luce, una casa,/ la cara sembianza di persone morte,/ com’è solido il sapore, il frutto del limone/e in altro giorno attiguo il tuo gelido sopore./ Sopra le ossa, su le medesime cose/ è opaco assiduo, in un fiore,/ deserto il batticuore."

Avaro nel tuo pensiero è il libro del 1955 rimasto inedito sino a ora, nonostante si presenti come libro di poesia già strutturato e organico, pronto per la pubblicazione. In realtà poteva uscire per Lerici, curato proprio da Roberto Lerici e Giuseppe Tedeschi ad inizio degli anni Sessanta dopo la morte di Calogero, ma non se ne fece nulla. Fu Amelia Rosselli, nel 1980, che tentò di rimettere in circolo i suoi versi, pubblicando un'ampia silloge sulla rivista "Tabula". Prendiamo il semplice dato annuale e facciamo un esperimento utilizzando la cronaca letteraria. Siamo nel 1955. Per rimanere al nostro paese troviamo un Montale prossimo a pubblicare La bufera e altro (1956), Alda Merini che pubblica Paura di Dio, Zanzotto è tra l'esordio di Dietro il paesaggio (1951) e Vocativo (1957). Vittorio Sereni sta nella lunga pausa tra Diario d'Algeria e la sua terza fondamentale opera, Gli strumenti umani, e si appresta a diventare direttore editoriale di Mondadori. Nel 1955 escono per Vallecchi le Poesie di un corrispondente di Calogero, Carlo Betocchi. L'anno successivo, il 1956, è quello di Laborintus di Sanguineti pubblicato per volere di Luciano Anceschi e quello di una grande prova di Nelo Risi, Polso teso. Una collana come Lo Specchio in quegli anni pubblica autori come Lucio Piccolo, Rocco Scotellaro, Maria Luisa Spaziani, Leonardo Sinisgalli ma anche poeti oggi non più frequentati come Gaetano Arcangeli, Stefano Terra, Gian Piero Bona e Orazio Napoli (è facile ricostruire queste informazioni, basta consultare il catalogo storico di Mondadori agilmente interrogabile online tramite dei filtri). Tutto questo spaccato per dire cosa? Magari anche per dire nulla, ma forse per suggerire che le questioni che fanno la memoria e l'oblio sono spesso i casi della vita da un lato e le fregnacce dall'altro, come sempre, e che finché ci appassioniamo troppo alle "riscoperte" e "alle misteriose cadute nell'oblio", che spesso combaciano più con dispute d'accademia e d'editoria che con questioni riguardanti la vita vera della poesia, non succhieremo mai la polpa di un poeta. E poi per sostenere che a noi, oggi, la poesia di Calogero interessa forse per la riscossione che la lingua compie nei testi, mentre leggiamo. C'è davvero un senso di riscossione e risarcimento che attrae verso la lettura di questi componimenti assolati e nivali, un ardere e osare che si riscontrano raramente altrove:

Sopra mormorii quadrati,
di onda in onda, sopra una vetta antica
perduta, di gennaio, i tuoi sogni
sono oggi esigui.
         Nubi dense appaiono
e non fu più che sogno,
una vanità che lievemente oscilla
dentro le tue mani modiche.
         Un sapore
esse avevano di neve
che teneramente internamente brilla.


Maria Grazia Calandrone,  in uno squarcio di felice abbrivio critico, ha scritto che in questo libro "[...] veniamo avvolti dalle nebbie di una perdita: dalle pagine esala malinconia sovrannaturale. Qualcosa che era non è più. Il mondo vero è decaduto e decaduto è il tempo. La terra è fantasmatica, fatta di ombre lacustri e baci perduti, gioie che non tornano, cose concluse. È terra fatta dal suono delle parole, che la descrivono con assonanze e allitterazioni soprattutto in r e in v: trilli e fischi di uccelli boschivi. Muoviamo in un silenzio post apocalittico, mosso da «euritmie». L’autore stesso è tutto sguardo e memoria, piaga di nostalgia per qualcosa che inverava il mondo, se prima «vergine e distesa tu potevi tutto ricoprire» e ora «tutto riverso sono dentro un mio pensiero»". Leggere Calogero è primariamente un'iniziazione acustico-fonica installata, built-in, all'interno di una scrittura divenuta gesto quotidiano (il fondo Calogero prevede 800 quaderni manoscritti) e disperazione solidificata in un passo, in un volto o una postura, tanto che il già citato Montale concluse il suo articolo Attesa per Calogero, uscito sul "Corriere della Sera" del 14 agosto 1962, sostenendo che "se avesse potuto distaccarsi almeno per un attimo dai suoi versi, sarebbe ancora vivo."

Lorenzo Calogero (1910 - 1961)
Vi è in Calogero uno scorrere sotterraneo e una scossa tellurica, un mancamento che da provvisorio tende a farsi definitivo e che aggancia le altre e alte forme della poesia mondiale di quei tempi, a testimonianza che certe risorse degli artisti e del cervello vivono in tempi di limbi comuni e si sfiorano, agglutinano, pur rimanendo a distanze enormi nello spazio, in un tempo che non è più quello degli orologi e che non è mai stato quel tempo. Il nostro poeta era nato nel 1910 a Melicuccà, paesino in provincia Reggio Calabria, lo stesso anno di un altro scrittore che fu interessato e attraversato dai temi della cosiddetta "salute mentale". Mi riferisco a Mario Tobino e mi riferisco ovviamente ai Quaderni di Villa Nuccia per Calogero. Fece studi di ingegneria e poi di medicina a Napoli, si laureò nel 1937. Fino al 1955, l'anno di questo Avaro nel tuo pensiero, esercitò a sprazzi la professione di medico. La morte, avvenuta nel 1961, è ancora avvolta dal cosiddetto alone di mistero. Sembra condannato, in ugual misura, a un destino diviso tra roboante caso letterario e ricaduta nell'oblio, ma il modo migliore per salvare la sua poesia rimane uno solo: leggerla finché si è vivi. Non ci sono davvero altri metodi, funziona solo così, al di là di tutti i discorsi che riguardino il canone, la memoria e l'oblio. Si sa che il desiderio più o meno conscio di tanti scrittori è accaparrarsi un frammento di eternità, un prolungamento di memoria, ma la prospettiva di un destino di dimenticanza non deve mai abbandonarci del tutto, e non lo dico perché oggi mi sento foscoliano. Allora si legge finché si è vivi e la letteratura mi interessa perché mi serve oggi. Punto. Spesso è accaduto che ogni generazione (quello di generazione è un concetto che ha dentro parimenti vita e morte, è un concetto giusto quindi) abbia fatto le proprie scoperte e allora per la mia generazione e non solo dico che è venuta l'ora di provare a leggere Lorenzo Calogero.


AVARO NEL TUO PENSIERO


Se, da diverse parti, sottintesi i segni
divengono quel che sogni e non sai
più quale curva lena sia rosea una linea
tesa, quale vergine sia pura e ferma ora una stella
e, senza percorso, più sopra un pensiero
ti sporgi nella medesima ora
che improvvisa si rinnovella
e ti dette le nudità del sogno,

l’anima sempre uguale era senza mistero
o l’anima puoi perdere alle radici
o la semplice nudità era un assolo.

Ma perché da parti uguali erme divise
non più ti soccorrono fermi i tuoi pensieri
sopra i tuoi fiori nella medesima aridità che ora scintilla essa balena
e ti accorgi di essere più solo.
Avaro nel tuo pensiero,
la stessa sostanza arida t’invischia
solo per tuo diletto.

Erme cinte di cose
appaiono già tutte le rose.

2 commenti:

  1. Finalmente qualcuno che scrive, con competenza, di uno dei libri più importanti degli ultimi cento anni in Italia. Grazie di tutto cuore e complimenti.

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