martedì 30 dicembre 2014

"Sibber", il romanzo di Walter Nardon

Il sito "Urban Dictionary" definisce sibber come una combinazione di parole, tra "sister" e "sibling", usato come vezzeggiativo (e allora noteremo che una sorta di fratellanza si svilupperà nel corso di questa storia, ma non insistiamo troppo ora). Sibber è il nome del protagonista (non del narratore), nonché titolo del primo romanzo di Walter Nardon pubblicato da Effigie (pp. 98, euro 15). Sibber è il protagonista osservato, perché il protagonista narratore in questo libro che non ricorre sovente a dialoghi è un animatore di un'associazione (anzi, con la maiuscola, come scrive Nardon: Associazione) di una non specificata provincia italiana. L'attacco del romanzo, nella sua schietta semplicità apodittica, mette subito in chiaro lo studio, che è il vero motore di questa storia. Ma leggiamo proprio le prime frasi del romanzo: "Questa non è una storia come tutte le altre. Non lo è perché io mi butto via ogni giorno e la storia l’ho cominciata proprio adesso. Quindi, almeno questo lo posso assicurare. Mi butto via in modo sistematico, un po’ alla volta. Apro il giornale, guardo le immagini, i titoli, il taglio della pagina, l’insieme come un’unica immagine. Mi alzo, mi muovo per la stanza: passo molte ore alla finestra. E andrei avanti sempre così, se fossi coerente, se solo ogni tanto non mi facessi prendere la mano dallo studio, che è rimasto la mia ultima risorsa." E la trama sembra esile, sottile, prossima a spaccarsi subito: il narratore chiede a Sibber, un uomo tozzo di mezza età, di poter stargli davanti e essere osservato mentre attraversa una piazza con una valigia in mano. Di qui l'osservazione del narratore, di qui lo studio che impedisce il "buttarsi" via minacciato sin dalla seconda frase del romanzo. Di qui pure la centralità e il movente di questo romanzo: la materia e il talento innato per la materia che Sibber dimostra subito, una materia che lui sa inaugurare, "trasformare per il meglio - pur senza mutarle forma - favorendo in tal modo anche la condizione in cui noi la affrontavamo."

Il narratore, nel veloce e leggero ventaglio di queste pagine, scorge via via le virtù dell'uomo eccezionale che sta osservando, una persona "festivizzante", disinvolta, sicura e uno dei punti notevoli dell'opera è la discreta messa in scena di un crescente sentimento di gratitudine del narratore verso il suo (s)oggetto di studio. C'è un portato allegorico in questo prendere le mosse da una persona comune e da avvenimenti "insignificanti" (è da chiedersi allora se esistono davvero avvenimenti insignificanti separati da avvenimenti significanti?) e elevarli a prepotenti gesti che sfrondano i nostri processi di coscienza e li mostrano nella loro circolarità viziosa, in un profondo contrasto con Sibber e il suo diventare a poco a poco il vero autore dell'opera e il diventare di noi lettori veri spettatori, che possono decidere cosa pensare di questa allegoria. Perché è proprio qui che sta probabilmente il motivo più degno di nota di questa prova di Nardon, che rivisita certi istituti della narrazione e dell'avventura, ed è un'interrogazione incandescente ancora una volta su che cosa sia la "realtà", su come si costruisce e su come la distruggiamo ad ogni istante per provare a farla nostra. Dopotutto viviamo in un'epoca di forte pendenza realista, per fortuna senza neo- davanti. Sibber è colui che condivide una materia senza nemmeno il bisogno di svelarla e Sibber è un libro d'esordio, anzi inaugurale, che vi invito a prendere in considerazione.

(E con un libro inaugurale chiudo quest'anno, augurando buon 2015 a tutti i lettori.)

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