Il primo scritto di Giacomo Noventa ripreso in Tre parole sulla Resistenza (Castelvecchi, pp. 72, euro 9) si potrebbe leggere a ripetizione in giornate come queste. Dopo aver concluso le poche pagine di Discorso sulla Resistenza e sulla morale politica (del 1947) ho pensato a quanto raramente ci poniamo il problema di come raccontiamo la storia, e qui intendo il racconto degli storici, siano questi storici di professione, statisti, giornalisti improvvisati, letterati, scienziati sociali o altro ancora. La prosa di chi scrive sulla storia non è quasi mai in cima alle nostre preoccupazioni e per questo a volte è interessante ascoltare anche chi, spostandosi dalla prosa, parla di poesia come storiografia. E non si tratta di capire soltanto perché Gioacchino Volpe fosse un grandissimo scrittore o perché altri storici attuali dovrebbero prestare molta più attenzione alla loro prosa sciatta e cascante, pena l'inanità dell'intero loro operato; si tratta anche di capire, piuttosto, perché ogni ragionamento attorno alla storia sia primariamente un trattato di retorica. Ma come?, si chiederà qualcuno. Dopo tutto lo sforzo che proviamo a fare per liberarci della "retorica fascista", della "retorica comunista"? Io credo invece - e leggendo Giacomo Noventa ho delle conferme - che il grosso equivoco di fondo sia aver dato e continuare a dare a "retorica" una connotazione negativa. Retorica è tutto, ovunque ci sia testo e quel conflitto che qualsiasi testo ineludibilmente imprime su una pagina. Mi rendo conto di dire una cosa ovvia per molti, ma forse meno ovvia di quanto si possa credere. E a volte può star bene ripetere anche le cose ovvie, tanto più quando si è vicini a ricorrenze.
E allora il punto più importante e decisivo di questo libretto confezionato con alcuni scritti a tema resistenziale è la distinzione netta tra Resistenza e antifascismo. La prosa storica di cui necessitiamo ha un tremendo bisogno di distinzioni e di pochissime sfumature impressionistiche. I due termini su cui si sofferma Noventa, Resistenza e antifascismo, non sgorgano dalla stessa polla, vanno proprio divelti. Una certa "retorica" (virgolette d'obbligo qui, allora) ha voluto darcele a bere assieme, mescolate come goccette in un bicchier d'acqua e un'altra "retorica", oggi, usa la parola "resistenza" o il verbo "resistere" con un tic fastidioso. Gli uomini della Resistenza, prima ancora di combattere contro il Fascismo, combatterono contro sé stessi. Quest'aspetto della battaglia contro sé stessi è uno dei temi centrali di Noventa ma anche di tanta parte del secolo scorso, basti pensare a un autore come Brecht oppure a Fortini, per tornare in Italia. L'appurare l'esistenza di tale battaglia ci offre la spinta per saltar giù dagli angusti parapetti dai quali si affaccia qualsiasi discorso resistenziale e sulla resistenza, con o senza maiuscola. E di qui, ritornando a Noventa, anche a costo di dover passare dapprima per le sue riflessioni resistenziali, tralasciando momentaneamente il resto della sua opera, è giunto il momento di ridare a Ca' Zorzi un posto di grande pregnanza fra coloro che esercitarono un vero magistero d'azione nel Novecento, nonostante (o forse proprio a causa di) quello scontro irrequieto contro sé stessi che trovò il suo campo di battaglia proprio nel testo e nella retorica (senza virgolette) che ha tentato un racconto tra tanti possibili. Lì sta uno dei motivi che ci riporta continuamente a Noventa, lì - se vogliamo usare un termine che non amo - sta la sua attualità. E per far ciò, va bene ripartire da questi scritti, sia pure nel clima spesso annacquato dalle ricorrenze e soprattutto senza dimenticare che Noventa fu grande poeta. Per chi volesse cimentarsi con altri scritti, con altri suoi testi, resta imprescindibile
l'opera monumentale di sistemazione che fece l'editore Marsilio a cura
di Franco Manfriani, anche se non guasterebbe una più agile frammentazione e
proposta editoriale più continuativa, dal momento che le opere monumentali di sistemazione, pur meritorie, sono spesso la tomba luccicante di uno scrittore.
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