giovedì 16 luglio 2015

Meglio di uno specchio. Riccardi, Buttafuoco, Berardinelli alla notte bianca e fonda della poesia?

Libri brevi che mi piacerebbe scrivere o trovare #8

In questo spazio così titolato provo, di tanto in tanto, a fermare pensieri che mi vengono spesso su libretti che mi piacerebbe scrivere se avessi capacità, tempo, spazi o persino, ancora più presuntuosamente, un committente. Oppure, meglio ancora, librini che vorrei trovare già scritti brillantemente da altri. Libri piccoli, che provino ad affrontare temi o autori che già hanno una bibliografia, ma con la voglia di provare a dire cose nuove, magari correndo qualche rischio. Non occorre scrivere tanto, pensate a certi articoli filosofici brevissimi, a come hanno cambiato tutto. Scrivendone così brevemente qui, mi faccio passare l'idea di intraprendere tortuosi percorsi inconcludenti.

Prima è arrivata la notizia della fine del rapporto tra Antonio Riccardi e Mondadori, di cui era direttore letterario. Poi gli articoli di Alessandro Zaccuri su "Avvenire", di Pietrangelo Buttafuoco su "Il Fatto Quotidiano" e di Alfonso Berardinelli su "Il Foglio". Un piccolo fuoco è stato buttato attorno attorno alla poesia, al suo fiacchissimo mercato e attorno a un lutto probabile, ovvero quello immaginato per la più gloriosa delle collane di poesia italiane, Lo Specchio Mondadori (da tempo in queste pagine ne ho registrato agonia e cure palliative, pur tra alcune uscite interessanti). L'articolo di Berardinelli non è che un coacervo di cose risapute e ridette attorno alla poesia contemporanea, un facile gioco al ribasso che non aggiunge granché. A mio avviso rappresenta assai bene quel genere di articoli che non serve davvero a nulla, tantomeno a sorridere. Prendete ad esempio quel provare a dare dei numeri sulla quantità di poeti pubblicabili o prendete il raffronto con la narrativa (ma che senso ha? Che senso ha in quel punto dell'articolo?), o prendete l'ormai tipico deviare in corner sull'artigianalità (tipico rimedio da difensore cotto di stanchezza?) o il raffronto con l'opera d'arte la quale, fra l'altro, se vogliamo parlare di mercato, si trova in una situazione diametralmente opposta a quella della poesia, visto il suo essere oggetto di frequenti speculazioni del tutto analoghe a quelle della finanza. Questi ragionamenti che si pensano provenire da un critico sono normali pezzi giornalistici, poco critici e poco interessanti a mio modo di leggere, e non sono dissimili da quelli della stampa sportiva o musicale che da sempre crea le rivalità ad hoc, all'interno di una stessa squadra o band o tra due squadre o band diverse, per vendere qualche copia in più (la stampa giornalistica ha sviluppato se non altro un linguaggio originale e i titoli de La Gazzetta dello Sport talvolta sono uno spasso).

Ci sono molti discorsi più interessanti che si potrebbero affrontare, al posto di prolungarsi in simili articoli, occupando le pagine dei quotidiani e perdendo così il tempo (beninteso, uno il tempo può perderlo come gli pare, a maggior ragione se gli viene pagato, ma almeno si senta dire che quello che scrive non è interessante). Ad esempio potremmo ragionare attorno al "libro" come opzione paradigmatica; parallelamente potremmo ragionare attorno all'istituzione editoriale della "collana"; poi potremmo occuparci con più attenzione dei contesti in cui si continua a proporre la poesia; potremmo infilarci dentro anche qualche discorso sui nostri desideri (perché no?); poi potremmo smetterla di lamentarci ripetendo la solita solfa e potremmo fare molte altre cose. La vita è breve, si dice, e pare anche a me, anche se la nostra vita (media) è l'unità di misura con cui siamo soliti stabilire ciò che ha vita lunga o breve, aforismava Oscar Wilde. Se avessimo un po' più coscienza di tutto il nostro nulla, potremmo vivere con maggior profitto, economico ed etico, l'avventura della poesia sulla faccia della terra. Questa "arte e tecnica di comporre versi o, più generalmente, di esprimere in forme ritmiche estranee alla prosa idee, sentimenti e realtà" potrebbe infatti aiutarci a spaccare il mondo per vedere meglio che cosa c'è dentro e riesaminarlo dopo un po'.

Da un punto di vista personale mi interessa chi continua a scrivere e pubblicare poesia senza troppe fisime, paure e paranoie, cercare di ascoltare e scoprire prima ancora di capire, senza continuare a vivere circondato di tutte queste sovrastrutture vecchie come il cucco, intrise di discorsi raffazzonati, un patchwork che ora para sul mercato, ora sui rapporti di potere (potere?), ora sulle amicizie, su giochetti sporchi o sull'alternativa secca tra l'essere distrattamente mainstream vs. l'essere fieramente underground. Sono cose note che ormai lasciano davvero il tempo che trovano. Ci fa schifo provare a scrivere e basta? Ci fa schifo provare a leggere e basta? Ci fa schifo, se capita, vendere? Ci fa schifo capire quali sono i meccanismi della produzione e promozione di un libro e osservare cosa accade alla poesia nella sua attuale scompaginazione? Ci fa schifo provare a criticare con criterio, argomentare con argomenti, domandare con domande e magari rispondere con risposte che riformulino meglio le domande, sempre guidati da una incrollabile fede nel nostro nulla? Ci fa schifo tornare a conoscere quali poesie si scrivono in altre lingue e magari tradurle? Per ora non mi fa schifo nessuna delle attività elencate, per cui mi rammarico della sterilità di articoli come quello che adesso finalmente vi indico e per il quale sviluppo solo un senso di stanchezza inaudita. 

Se la collana Lo Specchio chiude allora non è, come scrive Berardinelli, perché non ci sono più poeti pubblicabili, ma magari per altri motivi meno notiziabili e meno sensazionalistici: avrà esaurito la propria funzione e l'energia, avrà smesso di produrre un pur piccolo utile all'interno di un gruppo editoriale che ha determinate logiche di utile e marginalità, avrà pure esaurito la forza attrattiva del brand e magari verrà solo silenziata per qualche anno, per essere rilanciata fuori tempo massimo quando il vintage non andrà più di moda, magari con l'originaria grafica di copertina. Chi vivrà vedrà: morto un Papa se ne fa un altro. L'unico punto di interesse sembra essere dove Berardinelli si pone il problema di cosa significhi essere leggibile, anche se, alla fine, mi è sembrato pure quello un problema mal posto. Meglio tornare a parlare di "opera" e di "abitazione/coabitazione di un'opera", e da parte di un autore e da parte di un lettore, anziché porre simili domande. Infine, al di là del verosimile calo dell'argent de poche dedicato ai libri, riflettiamo piuttosto sul perché ci sono molte più inibizioni ad acquistare (anche d'impulso) un libro di poesia, rispetto ad un romanzo o a un saggio. Forse perché la poesia manca di storia e manca di idee? Eppure a me pare che niente più della buona poesia - che ancora si fa in giro per il mondo - sia d'aiuto a chi si interessa di storia-delle-idee.

4 commenti:

  1. Sottoscrivo in toto e in particolare la parte ritmata dai "provare". Articoli come quelli di Berardinelli rischiano di scoraggiare veramente i nostri umili tentativi. Di fare. Di capire. Personalmente del discorso leggibilità/illeggibilità (come se si dovesse scegliere e non esistessero peraltro infinite gradazioni) non ne posso veramente più. E' una contrapposizione inutile e facilona che in nulla aiuta a comprendere. Bellissimo articolo, grazie mille.

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  2. Grazie Francesca per aver letto. Il mio è solo un punto di vista dettato da somma stanchezza. Immagino che molti (la maggior parte di quelli che si interessano di queste cose?) concordino con Berardinelli e il suo punto di vista. Io proprio non riesco, davvero. E penso davvero che se la collana Lo Specchio se ne esce di scena non sia un dramma o una spia di chissà cosa. Buona estate

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  3. Ottimo articolo, Alberto. Non fa una piega. Il pezzo di Berardinelli suona come un "muoia Sansone con tutti i Filistei", e avendolo letto altre volte credo che possa fare molto meglio di così. E sulla questione dello Specchio, si può a buona ragione esserne dispiaciuti - è comunque un pezzo di storia che se ne va - ma forse impostare una resistenza a tutti i costi serve a poco: in fondo la poesia italiana è esistita per secoli senza Specchio, e questa tappa non significa la sua morte. E' la fine di un'esperienza ben precisa, per quanto molto influente e significativa.

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  4. Ciao Marco. La questione non è certo esaurita. Per quel che mi riguarda, mi trovo lontano dalle posizioni di Berardinelli da molto tempo, non sto qui ad approfondire dal momento che non interessa a nessuno. Ho ripreso questo suo articolo solo perché stava in scia ad una serie di ragionamenti che mi interessava e mi interessa. Grazie e buone cose estive anche a te.

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