lunedì 28 dicembre 2015

La collana “Maestri” di Elliot edizioni. Un’intervista con Loretta Santini e Antonio Debenedetti

Librobreve intervista #65

Circa un anno fa approdava in libreria una nuova e notevole collana di saggistica di Elliot edizioni curata da Antonio Debenedetti. I libri di questa collana sono brevi e propongono un’idea forte di “saggistica” come genere letterario fra gli altri, un genere ritenuto indispensabile per avvicinare i nodi cruciali di un’epoca. Il nome scelto per tale raggruppamento di titoli è “Maestri” e alcuni volumi, come ad esempio il Sade di Apollinaire, hanno già trovato spazio in queste pagine nei mesi scorsi. Lo scorso ottobre ho approfondito il percorso svolto fin qui e indagato su alcuni sviluppi futuri in un’intervista telefonica con la direttrice editoriale di Elliot edizioni, Loretta Santini, e con il direttore della collana Antonio Debenedetti (e pure un simpatico cane, responsabile della collana a suo modo, che ha voluto dire la sua in modo stentoreo a metà del nostro colloquio). Il testo che segue è la trascrizione di quella chiacchierata.

LB: Vorrei partire dall’attualità della collana “Maestri” da lei curata, cioè dalle Lettere dal fronte di Renato Serra, uno degli ultimi titoli proposti. Quale il movente, centenari a parte?
AD: Perché Serra? Perché la collana parte con l’intento di recuperare la grande saggistica e Serra rientra pienamente in questo intento, anche con le sue lettere. I saggi rappresentano una nicchia e lo diventano sempre più, anche perché spesso sono inghiottiti da opere monumentali. Un esempio: La letteratura e le idee di Lionel Trilling, uno dei grandi maestri della critica americana del Novecento. Abbiamo voluto estrapolare un saggio da quel volume Einaudi di molti anni fa. Il suo Arte e nevrosi uscito per la collana “Maestri” tocca un tema di straordinaria attualità, anche per le giovani generazioni, ma non solo per queste. Noi lo abbiamo proposto in un’edizione per forza di cose piccola, molto economica. C’è una cosa che però mi piace sottolineare: la saggistica è un genere letterario come la poesia o il romanzo, è chiaro che è così, anche se ciò non pare un assunto di pubblico dominio. Quello che noi vorremmo evidenziare con il nostro operato è allora questo aspetto. La invito a riflettere su come sono stati saccheggiati i classici della narrativa che hanno fatto la fortuna di alcuni editori. Questo non è accaduto con la saggistica. Assieme a Loretta Santini abbiamo immaginato questa collana, fors’anche perché sono figlio di un critico, scrivo recensioni e mi occupo di critica. Ma posso anche dire che la recensione è diversa dal saggio. Le recensioni sono interventi critici, oggi spesso troppo vicini alla volontà degli editori, mentre i classici della saggistica sono dei grandi interventi che riguardano la cultura di una società e di un tempo. Ci sono dei grandi autori di saggi che stiamo inseguendo, Edmund Wilson è uno. I suoi libri e i suoi ritratti sono di una godibilità assoluta. Qual è dunque il tentativo della collana allora?  Prendiamo il nome: “Maestri” è un’idea di Loretta Santini, per dare subito al pubblico l’idea di cosa si parla. Fosse per me avrei scelto “I complici segreti”, perché tali sono da sempre i grandi libri. Tuttavia riconosco che era necessario dare una riconoscibilità immediata del progetto, all’interno delle logiche di una casa editrice di cultura e non “di cassetta”.
LS: Volevo aggiungere solo un appunto sul nome scelto, “Maestri”. L’esigenza era far conoscere questi personaggi del passato come “maestri” e mostrare, allo stesso tempo, come siano assenti oggi figure di quello spessore.

LB: Il nome “Maestri” presuppone un allievo dall’altra parte. Qual è allora la vostra idea di “allievo”?
LS: Per me è un’idea intergenerazionale. Dal punto di vista dei più giovani, io penso che debbano arrivare a capire la differenza di una grande scrittura applicata alla saggistica, una scrittura che spesso non si distingue dalla narrativa o dagli altri grandi generi di cui più spesso si parla.
AD: Per capire una cultura bisogna partire dalla saggistica. Lei esordisce citando Renato Serra, un intellettuale troppo presto strappato alla vita, e fa bene. Abbiamo voluto pubblicare le sue lettere per far emergere il suo risvolto umano, di artista sensibile. Ma presto pubblicheremo Pesci rossi di Emilio Cecchi (già in libreria, ndr). Lei sa che Cecchi è tra i padri della prosa d’arte. Oltre a essere un critico eccellente e fondamentale per la cultura italiana, Cecchi è pure uno scrittore elegantissimo, maestro del suo genere. Ecco, direi che con i primi volumi della collana volevamo far capire anche come vari molto al suo interno lo stile della saggistica, come si possa passare da quello della prosa d’arte di Cecchi, a quello delle folgoranti espressioni creative di Virginia Woolf: i suoi scrittori russi (L'anima russa. Dostoevskij, Cechov, Tolstoj, ndr) diventano un racconto di un racconto, escono dalla cornice saggistica e diventano personaggi della narrativa. La saggistica è un genere che quindi varia moltissimo al suo interno. Avrà una sorpresa quando uscirà il “nostro Collodi”, ma non aggiungo altro (il volume Pinocchio. Poli, Papini, Pancrazi, Montanelli è da poco in libreria, ndr). Da quel volume, inventato qui in casa editrice, però si potrà evincere meglio la nostra idea di saggistica e le diverse sfaccettature del saggio: saggio come racconto e ritratto dell’artista, come analisi stilistica, come analisi psicologica e come analisi di contenuti.

LB: C’è una pianificazione di medio-lungo termine delle uscite?
AD: I lavori avvengono tra me, Loretta e un terzo, spesso in mezzo: il cane. In realtà si tratta di costruire un dialogo e capire come comportarsi ad esempio con gli autori stranieri che pubblichiamo, che non sempre sono fuori diritti. In sostanza, quello che pubblicheremo nei prossimi sei mesi è chiaro nelle nostre teste, ma poi bisogna sempre fare i conti con quanto si riesce effettivamente a pubblicare. Questo accade perché parliamo di una collana che non raccoglie quello che si trova facilmente nei tavolini; è una collana che talvolta si alimenta di un gusto “tirannico” e che per tale motivo può trovarsi davanti dei muri o delle porte chiuse.

LB: L’ultima domanda è relativa al costrutto editoriale di collana. Tale costrutto mi pare regga ancora nel mondo dell’editoria. Elliot stessa è strutturata per collane. Ma tale costrutto regge davvero o vacilla? Presenta qualche difficoltà e scricchiolio o è ancora il costrutto principe per organizzare un catalogo editoriale?
LS: La domanda tocca una questione aperta. Già qui in casa editrice la vediamo in modi assai diversi. Per alcuni dei miei collaboratori la centralità di tale costrutto editoriale è messa in discussione. Io invece sostengo la necessità delle collane (per i contenuti, ma pure per la grafica), anche perché da lettrice questo è stato un modo per fidarmi, quando queste erano la rappresentazione del bagaglio di personaggi di grandissimo valore culturale. Quindi devo molto alle collane e se ho letto quello che ho letto è grazie alla presenza di un titolo in una data serie di titoli raggruppati sotto un comune denominatore all'interno di un catalogo di un editore. Per i cosiddetti lettori forti - che forse non frequentano nemmeno più le librerie tradizionali, ma si muovono diversamente per i loro acquisti - penso sia ancora viva la necessità di collana e la volontà di affezione a questa. Lo stesso progetto di “Maestri” insegna, pure da un punto di vista prettamente pratico e commerciale: se mando l’elenco delle novità a un agente particolarmente “riottoso”, non particolarmente motivato a promuovere un “piccolo libro” su cui rischia solo di perdere del tempo e non guadagnare molto, avere alle spalle l’elenco dei titoli già usciti mi aiuta. Anche questo è il senso della collana, qui da un punto di vista commerciale.
AD: Le collane hanno certamente un senso. Le mie generazioni si sono formate su certe collane, pensi ad esempio a “Lo Specchio” per la poesia, ma anche al “Il tornasole” di Niccolò Gallo e Vittorio Sereni, oppure pensi a “La Medusa” e ai titoli che quella collana permise di pubblicare durante il Fascismo, oppure a “I Gettoni” di Vittorini che hanno rimesso in moto la macchina della narrativa italiana nel dopoguerra. Ma ci sono anche altre collane a cui pensare, come “Il pesanervi” di Bompiani di cui stiamo recuperando un titolo, ma non per la collana “Maestri”. Le collane sono dunque fondamentali e, dirò di più, credo siano pure un vanto della nostra editoria. Quando Attilio Bertolucci dirigeva la collana di letteratura di Garzanti uscirono ad esempio Ivy Compton Burnett o Il moscardino di Pea. In Italia ci sono state collane e direttori di collane che hanno fatto epoca. Ricordiamo Il Gattopardo uscito per Feltrinelli sotto la direzione editoriale di Giorgio Bassani. Le collane allora sono un modo di far rivivere la rivista letteraria, con le sue scelte e il suo percorso culturale. Oggi è chiaro che le riviste stentano molto, ma le collane possono comunque diventare un punto di riferimento come lo erano le riviste. Lo spirito da cui nascevano le scelte, all’interno di una redazione di una rivista, si rifaceva alla memoria di titoli che poi venivano proposti e diventavano attuali. In una collana si va a cercare il libro che rappresenti qualcosa, una zona della cultura, illuminando così, a poco a poco, una sorta di diorama. Noi vorremmo che avvicinando questi libri si potessero riannodare certi punti fermi della cultura. Una battuta per concludere: fare cultura con pochi soldi ad alto livello, ecco, questo è l’obbiettivo primo e ultimo di questa collana “Maestri”.

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