La favola simbolica consegnata a queste pagine è tracciata attorno a un immaginario che riprende vari elementi della letteratura cristiana delle origini e della coeva letteratura gnostica, che proprio tra il secondo e quarto secolo dopo Cristo toccò apice e fervore. Tra i simboli vanno ascritti la perla del titolo, oggetto che il protagonista deve recuperare in Egitto per poter tornare a Oriente ed essere erede del regno del Padre, il mare, il serpente, una sbuffante creatura degli inferi che custodisce la perla, e l'Egitto stesso, spesso considerato nell'antichità regno del materiale ma anche della morte, una sorta di meta di pellegrinaggio d'oltretomba, che ricollega questo Canto con un fitto reticolo di miti greci, babilonesi e naturalmente al Libro dell'Esodo. C'è la figura centrale del figlio, protagonista mandato in viaggio, il ricorso al "travestimento" in una terra straniera, l'essere comunque riconosciuto come straniero dalla popolazione locale che cerca di addomesticarlo con carni e bevande, il cadere prigioniero e servitore di quel popolo e di un altro re (e qui s'infittisce una serie di immagini relative al sonno e al torpore, a quella stanchezza che è così prossima alla dimenticanza e alla morte), la dimenticanza del motivo della missione e l'avvicinarsi del fallimento di questa, ai quali però pone rimedio una tempestiva lettera mistica e salvifica, inviata dai genitori informati dell'accaduto e levatasi in forma di aquila, chiusa con un sigillo forte che solo il protagonista sa rompere.
E la perla del titolo, che come ricordato è titolo moderno? Gli esegeti del testo hanno molto dibattuto sulla valenza allegorica e simbolica della perla, oggetto della ricerca, cercando di allontanare via via un parallelismo tra la sua ricerca e una concezione cristiana di viaggio e esilio terreno come espiazione e prova di sofferenza. Il rimando all'"anima" rappresentata dalla perla è lì, nella sua evidenza sferica. Sono molte le strade che ci possono ricondurre a quei primi secoli dopo Cristo, in cui si situa anche questo breve testo privo di cosmogonia che per alcuni studiosi è da datare prima degli "Atti" dell'apostolo Tommaso. Senza poter approfondire le diramazioni che dalla Genesi e dalla Lettera ai Filippesi portano e riconducono alle diverse storie dei "messaggeri di salvezza" e anche a questo testo delle origini del cristianesimo, Carlo Angelino ha concluso la sua nota scrivendo
[...] vale piuttosto la pena di sottolineare come all'origine di questi testi vi sia un'identica esperienza del Religioso e un identico statuto di pensiero, dei quali è soggetto la Sapienza stessa, ovvero l'idea che la sapienza di cui è partecipe l'uomo mortale, altro non sia che la stessa sapienza non-mortale di dio prigioniera del mondo mortale; senza questa idea filosofica, nessuna cristologia sarebbe stata possibile, e neppure la favola che il Canto della perla ci narra con la stessa seduzione e lo stesso mistero delle età che confinano con la nascita del primo uomo.Da questo passo che si ferma sul "primo uomo" - quest'io del mondo appartente al divino (e che fra l'altro ha interessanti analogie con il libro di Albert Camus intitolato proprio Il primo uomo e incentrato sul rapporto tra figlio e padre morto durante la Prima guerra mondiale) - sarebbe quanto mai opportuno concludere che anche la gnosi e lo studio di quei secoli che la avvolgono debbano finalmente uscire dalle assurde nebbie esoterico-iniziatiche che, ancora compiaciute quasi duemila anni dopo, talvolta persistono nel loro orizzonte. Lo studioso italiano a cui dobbiamo di più in questo versante, Luigi Moraldi, ricorda ad esempio come la basilica di Aquileia conservasse illustri tentativi di penetrazione cristiana mediante i simboli della gnosi, "simboli fantastici, affascinanti, profondi". Un messaggio troppo arduo da comprendere, al quale si preferì un armamentario più alla mano (per chi desidera, si può leggere qui, alla fine).
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