Per chi ha letto e riconosciuto un passo unico e mitico in Pedro Páramo, non sarà difficile ritrovare quell'allucinazione diafana di sospensione del tempo psicologico e del tempo storico, le tracce di un pellegrinaggio di personaggi esiliati da tutto, persino da loro stessi. Dionisio Pinzón, un banditore del popolo a San Miguel del Milagro, è un uomo che lavora con la voce perché il braccio anchilosato gli impedisce di coltivare la terra o costruire case, le uniche attività possibili nel suo paese. Vive con la madre in povertà. Il gallo da combattimento che gli viene regalato un giorno è assai malridotto, tuttavia grazie alle sue cure recupera e diventa il gallo d'oro che consente plurime vittorie alle fiere dove si organizzano i cruenti combattimenti fra galli (le peleas de gallos). La madre invece non riceve le stesse cure e muore. Dionisio non riesce nemmeno a procurarle una bara decente, tra gli scherni dei paesani. Inizia la sua vita itinerante ed è allora, in uno di questi già detti pellegrinaggi, proprio quando il gallo lo abbandona e muore, che Dionisio conosce la sua futura moglie, la cantante Bernarda Cutiño detta appunto “La Caponera”, amante dell'amico Lorenzo Benavides. La ruota della buona sorte riprende a girare proprio quando sembrava dovesse fermarsi. Bernarda sarà un talismano che porterà a Dionisio molta fortuna al gioco, tuttavia dopo il matrimonio fermerà il proprio andare di fiera in fiera a cantare, per rimanere a casa con Dionisio impegnato nel gioco d'azzardo. Così si deprime, si ubriaca e muore. Finisce così anche la fortuna di Dionisio. Quando lei muore, Dionisio si suicida. Dalla loro unione era nata Pinzona, altro personaggio che sembra proseguire un destino di pellegrinaggio e ripetizione. E di canto.
Ernesto Franco, prefatore del volume, ha chiaramente scritto:
Tutti i personaggi di El gallo de oro, a ben vedere, non sono uomini o donne alla ricerca di un proprio fare dentro la storia, ma figure del destino condannate a ripetere per l’eternità la propria parte. Forse è per questo che i luoghi dove si svolgono i fatti sono quasi sempre palcoscenici o simulacri di palcoscenico. Palcoscenici grandi come un paese o una città sono le fiere; palcoscenico sono le arene per i combattimenti dei galli o i tavolati più o meno improvvisati su cui canta La Caponera; palcoscenico, infine, è anche il tavolo del gioco d’azzardo su cui tutto si vince o tutto si perde. Senza un possibile senso ulteriore.
El gallo de oro è la metafora concreta di un’idea di filosofia della storia e dell’esistenza. Al suo interno, ne è figura icastica il combattimento dei galli, spettacolo di una violenza assoluta, come ben sa chiunque vi abbia assistito almeno una volta, molto più cruento di qualsiasi corrida. Entrambe raccontano la vita e la morte. Entrambe sono un duello all’ultimo sangue. Nella corrida, però, l’uomo fa almeno il gesto di mettersi in gioco. Nel combattimento dei galli, no. L’uomo si limita ad alterare la natura (gli speroni) e a far sì che i due combattenti non abbiano altra scelta che quella di vivere, uccidere o morire secondo le regole incomprensibili dell’arena.
Per Juan Rulfo l’uomo è un esiliato dalla propria storia. Qualcuno gli impedisce ininterrottamente di sceglierla e di viverla. Qualcuno, sì, o forse peggio: un angelo personale. Qualcosa.
Quest'insistenza rulfiana sul palcoscenico e l'intuizione di Ernesto Franco forse ci spiegano il destino di questo breve testo rimbalzante tra pagina, grande schermo e piccolo schermo. Sempre che un destino - e a maggior ragione il destino di un testo - si possa persino spiegare.
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