Queste [le corone di sonetti] sono composte di quindeci sonetti, l’ultimo de’ quali si appella Magistrale; e dai versi di questo si cavano i principj, ed i fini di tutti gli altri quattordici; imperocchè il primo sonetto incomincia col primo verso del magistrale, e termina col secondo, il secondo incomincia col secondo verso dell’istesso magistrale, e termina col terzo, e così si seguita fino al decimoquarto sonetto, il quale incomincia col decimoquarto verso del magistrale, e termina ripigliando il primo del medesimo, di modochè, entrando poi il magistrale, con esso si chiude il componimento circolato a guisa di corona. Di questa maniera rarissime sono quelle, che sieno state fatte da un sol Compositore.Si può parlare di un gruppo di poesie scritte quindi al contrario, partendo dall'ultimo sonetto "magistrale" e invito allora a leggere lo scritto di Berni quale felice esempio di discorso sulla traduzione, sulle sue insidie e sulle sue gioie incomparabili con altre. Il testo proposto per Donzelli, nell'altra collana "bianca" di poesia del bel paese - dove fra l'altro Bruno Berni ha curato pure la traduzione della bella antologia di Henrik Nordbrandt intitolata Il nostro amore è come Bisanzio - è la traduzione di un libro del 1991 intitolato Sommerfugledalen. Et requiem. Il telaio di Inger Christensen dispone l'osservazione e il gioco, l'attesa e lo stupore, la finzione del pensiero estrapolata da finzioni di parola in un congegno che ruota, quasi un diorama. Dato quanto scritto sopra, avrebbe senso dare un assaggio del "magistrale", ma preferisco un prelievo dal quarto movimento (o quarta stazione):
IV
Coperta dal profumo della piana,
la fioritura nel marcio s’avvia,
nell’ombra, nell’intreccio, è un’insana
incolta, labirintica idiozia,
così farfalla cela col suo volo
d’esser legata al corpo dell’insetto,
crediamo che sia un fior che lascia il molo
e non tempesta di figure a effetto,
come se quando bombice o civetta,
che vola superando quel colore,
a noi lanciasse un rebus che ci ometta
che tutto ciò che l’anima ha sperato
di là da tutto è simmetria e dolore
come atalanta, antiopa ed erato.
L'intero componimento è un requiem che acquista forza centrifuga alla rilettura, con le continue fughe e deviazioni che l'immaginazione prende a ogni quartina o terzina, nello sguardo svagato eppure ferocemente attento di chi s'allontana dal mondo e di chi scrive su quel che è ovunque e da nessuna parte. Questo almeno avviene nella traduzione di Berni. Sarebbe interessante sapere da chi ha la fortuna di poter leggere l'originale se le poche indicazioni qui contenute stanno in piedi oppure no.
(Rimando infine a questa intervista al traduttore Bruno Berni, ospitata nel bel sito di Dori Agrosì "La nota del traduttore". Per chi preferisce un tuffo nel danese, il rinvio è alla lettura che di questo testo ne fa la stessa autrice nel video qui sotto.)
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