Il volume che Quodlibet presenta col titolo Una nuova interpretazione della filosofia politica di Platone (pp. 112, euro 16) contiene soprattutto, fra gli altri apparati, la traduzione di uno scritto che Leo Strauss pubblicò esattamente settant'anni fa, On a New Interpretation of Plato’s Political Philosophy (1946). La cura è di Mauro Farnesi Camellone, che per la stessa casa editrice ha pubblicato nel 2009 lo studio su Ernst Bloch La politica e l’immagine. Il curatore ha dedicato a Strauss nel 2007 un altro volume uscito da Franco Angeli, Giustizia e storia. Saggio su Leo Strauss. Lo scritto di Leo Strauss è, nella realtà, qualcosa di occasionale, cioè una lunga recensione del libro Plato’s Theory of Man di John Wild. Tuttavia, come sappiamo, la recensione (soprattutto a quei tempi e a certi livelli, dentro certi spazi e respiri) non sempre si limita a essere una recensione, ma diventa il pretesto per gettare sulla pagina idee già in circolo e che fra l'altro diventeranno poi gli assi e i cardini della lettura matura di Platone da parte del filosofo, concretizzatasi nella seconda metà del secolo scorso con i vari commentari dedicati alle più note opere platoniche. Inoltre, anche quando Strauss si occuperà di tirannide, lo farà trasversalmente, partendo dal passato per parlarci del presente che aveva sotto gli occhi. Tutto questo per dire che Strauss ha spesso colto il momento e un'occasione per enucleare la propria speculazione, in una forma che potremmo definire dialogica coi testi del passato, sotto un ombrello metodologico di volta in volta "nuovamente maieutico".
Il filosofo politico ebreo tedesco attraversa come una lanterna volante decenni cruciali del secolo scorso, a partire dal fondamentale periodo di crisi economica e spirituale tra le due guerre. Formatosi nel clima weimeriano - si laurea a Friburgo nel '21 con Cassirer -, allievo di Carl Schmitt, come molti altri assorbito agli inizi della carriera dall'attenzione per Heidegger, distante dal relativismo tanto quanto dal normativismo che porta Hans Kelsen a cementare il ruolo del diritto e della filosofia rispetto alla devastante crisi politica degli anni Trenta, il nostro filosofo ha abbracciato, assieme alla via dell'esilio (prima Inghilterra, poi USA) anche l'avventura della rilettura (o nuova lettura) di Platone nel Novecento. Insomma, l'ebreo in esilio che all'inizio della carriera si era concentrato su Spinoza, Maimonide e Hobbes, ritornerà spesso su percorsi platonici per tutto il resto della vita. Compirà per forza quindi tragitti anche socratici, poiché Platone non perde mai di vista la questione posta da Socrate sul "come vivere". Tale frequentazione e meditazione, che in questo breve scritto affiora, diventerà un perno per tutta la riflessione sulla controversa e spinosa vicenda della democrazia moderna e del rapporto, mai dato una volta per tutte, tra filosofia, politica e società.
È uno Strauss scettico quello che si consegna nelle pagine di questo scritto apparentemente occasionale, che fa leva sulla forma dialogica di Platone per scardinare le odierne concezioni e inganni di rappresentazione politico-morale. L'orizzonte giusnaturalista, il ritorno a una filosofia premoderna e il primato greco, quell'elitismo/esoterismo filosofico spesso chiamato in causa nella sua vicenda, l'attenzione per la "scrittura reticente" e dissimulata dei filosofi del passato e soprattutto l'ossessione per il metodo dialogico platonico (una scrittura che riprende il parlato) sono già presenti in queste pagine. Qualsiasi sforzo che contribuisca a sollevarci dalle paludi del relativismo e del nichilismo, prodromi delle tirannidi plurime e delle barbarie affossanti nelle quali annaspiamo, è degno di esser messo in risalto, così come qualsiasi tentativo di riportare la filosofia fuori da un banale mercato delle idee da votare con le stelline del rating tipiche di un processo post-vendita di un sito di ecommerce. Strauss aveva già visto questa possibile deviazione pericolosa della filosofia e in questo panorama di rischio aveva posizionato la propria interpretazione platonica, fondata su quanto il curatore definisce un "radicale scetticismo zetetico" che necessariamente inietta in qualsiasi filosofo un solitario, indefesso orientamento alla pratica imposta via via dal contesto, alla critica costante dei meccanismi costitutivi e delle opinioni della polis. Insomma, "un Socrate con l'anima di Nietzsche" per il curatore dell'opera Camellone, una figura di primo piano che tuttavia oggi rischia di essere appiattita a seguito dell'appropriazione non altrettanto "dialogica" della sua eredità filosofica da parte del pensiero neocon.
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