Pubblico di seguito una nota critica sul libro di poesie Ornitorinco in cinque passi di Lorenzo Mari (Prufrock Spa, 2016, pp. 60, euro 10) scritta per Librobreve da Giusi Montali, che ringrazio.
Sul limine della raccolta ornitorinco in cinque passi di
Lorenzo Mari due citazioni illuminano i testi che seguiranno: la prima di
Franco Fortini, l'altra di Miguel García Argüez. La citazione di Fortini («[…]
L'uno che in sé si separa e contraddice, e tu fissalo; | finché non sia più
uno. E poi torni a esserlo, e ti porti via») rivela il programma della
raccolta: enfatizzare le discrasie presenti nel proprio io per meglio
delinearle, materializzarle in una concreta dualità affinché possano essere
dapprima comprese e poi sintetizzate in un'immagine di sé risolutiva - ma non
certo pacificata. Questa scissione dell'io che cerca di assumere nuova forma si
esprime attraverso la metafora dell'ornitorinco, piccolo mammifero che, per le
sue caratteristiche peculiari, complica le consuete classificazioni
tassonomiche: il becco e le zampe d'anatra, il corpo un singolare incrocio tra
il castoro e la lontra (o meglio, secondo la raccolta, un animale duale in
bilico «fra papera e coniglio»). L'ornitorinco diviene così l'emblema di ciò
che è irriducibile e palesa la fallacia delle consuete classificazioni,
rivelandosi quindi come una forma di resistenza all'omologazione. Ma
l'ornitorinco è anche, come testimonia la citazione di Miguel Garcia Argüez,
all'origine di tutte le catastrofi e di tutte le ferite («de todas las
catástrofes» e «de todas las cosas que me hieren»). La dualità dell'ornitorinco
inoltre sta anche negli effetti del veleno presente sulle sue unghie: strumento
sia di avvelenamento che di guarigione.
Il piccolo «manuale d'istruzioni» in versi che ci troviamo
in mano - uso questo termine senza alcun intento spregiativo, ma facendo
riferimento allo scopo della raccolta, ovvero trasformare il soggetto (e forse
anche il lettore) in cinque passi, o in cinque sezioni, in un ornitorinco
secondo le valenze metaforiche alle quali si è accennato prima - traccia un
percorso che indica al lettore come superare le contraddizioni dell'essere
singolo scindendosi in due per poter trovare un modo di convivenza, un punto di
equilibrio che possa permettere di racchiudere nuovamente in sé le due anime. E
che si tratti di un manuale di istruzioni è comprovato dalla ricorrenza nei
testi di imperativi, congiuntivi esortativi e dall'utilizzo dell'infinito con
valore prescrittivo. Inoltre, la complessità perseguita, contrariamente a
quanto vorrebbe l'omologazione della società, non deve essere superata, bensì
tutelata, salvaguardata e si rivela essere un atto di opposizione al sistema
dominante.
La figura dell'ornitorinco viene invocata dal soggetto
(«Ornitorinco, gìrati»; «Ornitorinco, svìtati») durante «la nevicata del
secolo» che, a causa della sua eccezionalità, induce ad affrontare un bilancio
di ciò che è stato dell'impero, ovvero di una realtà di presunta magnificenza
che è crollata su se stessa («Non resta quasi niente | della campagna, della
città, | degli archi altissimi, a tutto sesto, | dell'impero»). E il
riferimento al dato meteorologico è rintracciabile lungo tutta la raccolta:
l'evento naturale nella sua eccezionalità permette una sospensione dell'ordine
precostituito, insinuando la possibilità di crearne un altro. Sicuramente la
nevicata è correlata a una situazione personale di inquietudine, di ipocondria
che impone al soggetto un'analisi minuziosa delle proprie anomalie per lo più
legate al senso della vista (esoftalmo; miodesopsie), a quello dell'udito
(otorragia, labirintite), all'atto respiratorio (emottisi; broncospasmo), a un
generico acutizzarsi delle sensazioni di dolore (iperalgia) e a un senso di
ipocondria più o meno accentuato che sfocia in forme di angoscia
(«un'ipocondria scambiata per ipertensione»; «mi faccio tutto ipocondriaco |
fino al rantolo»; «lasciare, per contro, una certa dose di soprannumero, quanto
all'ansia»; «l'ipocondria | che vola»; «a discapito di soggetti già
precedentemente ansiosi»; «Hanno risolto invocando ipocondrie: nausea,
vertigine»). Il soggetto stigmatizza sul suo corpo le catastrofi sociali ed
economiche, e ripartendo dal suo io malato cerca di attuare una guarigione che
può avvenire soltanto attraverso l'accettazione della propria
contraddittorietà: vagheggiare un'ideologia pressoché estinta ed essere
consapevoli di appartenere, per coordinate geografiche e storiche, a una
società capitalista in crisi che ha precipitato l'umanità in una palude («noi
andavamo, per andare || (andavamo, andavamo) || ma fuor di ogni dubbio | noi si
andava a male»). Ma attraverso la metamorfosi in ornitorinco matura nel
soggetto la convinzione di una via d'uscita: l'animale si fa infatti portatore
di un messaggio di speranza («Sì che se ne esce - | lo dice di una crisi che
non è affatto distinzione, | parola che accende, resta sempre uguale - | c'è
sempre una via di uscita»; «Perciò lascia. Un messaggio, || innanzitutto, preso
nel becco, ovvero | infitto nelle orecchie, che svelto | procede tra le
granaglie e ripete: sì | che se ne esce»).
Del resto, appare chiaro nella raccolta che ciò che importa
è opporsi senza dar peso all'inevitabile fallimento della propria ribellione:
anzi, ribellarsi nella perdita è la vittoria estrema come già disse Victor Hugo
di Cambronne («fulminare con una tale parola il nemico che vi annienta, vuol
dire vincere»). E così è anche per il soggetto che con veemenza esprime la sua
opposizione al capitalismo: «Cambronnando ripetutamente, cambronnando
velocemente, cambronnando al soldo (come sempre): merda, merda, merda».
Dicevamo di questa raccolta come di un manuale di istruzioni
per divenire ornitorinco, ma non è la sola sua funzione: è anche un manuale di
resistenza sotterranea, interiore, celata ma diffusa che si esplica anche, o
forse soprattutto, nella scrittura, in particolare nella scrittura in versi
(autentica forma di resistenza se si considera che a detta di alcuni non gode
di buona salute o è morta, e a detta di tanti non esiste nemmeno): «Passano
sempre carta e penna, | tra le grate, a ogni ora. Affinché | tu dica, io dica:
nessuno si fermi | tra le quattro mura – senza pane». Resistenza sotterranea,
nascosta, covata intimamente, come se la rivoluzione potesse ormai solo avvenire
nello spazio interiore, celandola accuratamente da occhi indiscreti: «non
rifletto nulla dall'esterno, | poi mi tuffo. Qui dentro è la storia, || dicono,
se fuori nevica: | è sotto la coltre - in albo vitro - || che lottano le classi
(oppure, poco oltre, | nell'angolo cieco che proprio non vedi)». La scrittura è
però anche cura, tentativo di guarirsi da sé («La parola è ispirata, | in
corpo, a sanare il debito, alla cura»). Lo stesso ornitorinco è una cura, o
meglio farmaco in senso etimologico, che istilla tramite i suoi artigli: gli
effetti non sono gravi perché determinano un acuirsi della sensibilità agli
stimoli dolorifici che, come la poesia stessa, ricordano al soggetto la propria
dimensione interiore e la propria sofferenza, sottraendolo a uno stato di
apatico torpore («non uccide, ma causa iperalgia, | come tutti gli spilli
del mondo || che attraversano tutte le poesie del mondo | e si infilano anche
negli organi molli -»). L'ornitorinco quindi risvegliando il soggetto e la
società dal suo sonno destabilizza il sistema costituito e rende possibili
alcune forme di lotta. E, per inciso, non è la prima volta che la poesia
italiana ricorre ad animali bini per manifestare la sua opposizione al
capitalismo: già lo aveva fatto Elio Pagliarani con i coniglipolli della Merce
esclusa. Mentre il Magrelli dei Disturbi del sistema binario nella
sezione dedicata all'Individuo anatra-lepre aveva immaginato un animale
duale come simbolo della doppiezza, cedendo a una visione estremamente
pessimista dell'uomo (la lepre è consapevole della sua cattiveria, mentre
l'anatra, convinta di essere buona, non è poi così diversa dalla sanguinaria
lepre). Altri animali compaiono infine nel testo: un solitario airone che «si
scambia di posto» con l'ipocondria e richiama L'airone di Antonio Porta
che osservava «quello che è rimasto, | quello che resiste, | là sotto, […]
sotto le montagne di macerie, | dentro i crateri delle bombe, | sotto le
colline d'immondizia» (Antonio Porta, L'airone, 4, in Id., Tutte le
poesie, a cura di Niva Lorenzini, Milano, Garzanti, 2009, p. 558). Molto
più numerosi invece - una vera e propria invasione - sono i topi e le api che
sembrano ricordare agli uomini la possibilità o l'aspirazione a una società più
giusta («attende dalle api una forma | di ritorno, un'invasione che cancella |
e feconda») e la capacità di sopravvivere nelle condizioni più disagiate.
L'ornitorinco nella sua dualità sembra provocare delle reazioni che conducono a
un processo di raddoppiamento e di contrapposizione; così, nella raccolta tutto
diviene duale: la poesia lascia il posto ad alcuni testi in prosa ma, essendo
tutto in perenne metamorfosi, due di essi si chiudono con due versi, cedendo il
passo nuovamente alla poesia (cfr. «conto a mente...», p. 19 e «Prima che
partiamo», p. 45); il tondo si alterna al corsivo; il genere maschile si
confonde con quello femminile («lui - forse lei, per dimorfismo - | rinasce
dall'acqua al fango all'aria, || lei – forse lui - | crede ancora, fermamente,
nella dialettica.»). Così, duale è il continuo oscillare da un io a un tu,
dall'io a una terza persona singolare (che solitamente è l'ornitorinco stesso),
dal noi al loro. Infine, altre dualità sono disseminate nella raccolta anche se
meno evidenti: quella tra la superficie e ciò che è sotterraneo, quella tra
interiorità ed esteriorità. E il percorso della raccolta porta a una
progressiva ostensione di ciò che prima era celato e conduce il soggetto
dall'ambiente angusto della sua cella («Che io mi sia costruito | una cella,
quattro mura, || un nido di altri topi») al mondo esterno («uscii, lei con
me, ma non dissi nulla, | lui con me - || perché la mattina era bella»), e
in questa fuoriuscita da sé si verifica anche il passaggio dalla propria lingua
madre a un'altra («presi a cantare in un'altra lingua»).
E possiamo concludere che se Lorenzo Mari ha scritto per
resistere, la lettura di questa raccolta è uno strenuo, generoso, bellissimo
atto di resistenza.
Giusi Montali
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