Una poesia da #60
Sono sempre tempi propizi per i bestiari. Ma forse non è nemmeno questione di tempi propizi e si tratta di constatare, più semplicemente, che l'idea di bestiario non ha mai smesso di fornire un palinsesto per la creazione di nuovi libri, talvolta anche nella saggistica, come In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'antievoluzionismo all'italiana di Telmo Pievani, oppure in un "bestiario lacaniano" come quello curato e proposto da Erminia Macola e Adone Brandalise anni fa. Mi chiedo se la tendenza sia più forte in Italia che altrove. A volte i bestiari sono disseminati e celati nella produzione di un autore (lo abbiamo visto tempo addietro nell'ultimo libro di poesie di Igor De Marchi), altre volte sono palesi sin da un titolo, altre volte ripescano bestie immaginarie come l'ornitorinco (l'abbiamo visto con il libro Ornitorinco in cinque passi di Lorenzo Mari uscito per Prufrock spa). Dai sudamericani Neruda, Arreola e Cortázar a Dino Buzzati e Attilio Lolini, dall'attore Marco Paolini ai disegnatori Andrea Pazienza e Guido Scarabottolo, fino a prove come Un bestiario di Mariagiorgia Ulbar, uscito con la prima serie di tre titoli di Nervi Edizioni ormai oltre un anno fa assieme ai libri di Andrea Longega e Sebastiano Gatto (autori rispettivamente di Primo lustro e Strada lavoro), non mancano insomma esempi e richiami a questo "istituto" che trova nel Medioevo la sua pressoché attuale codifica e sistemazione. All'epoca però il bestiario era concepito come strumento didattico volto a descrivere gli animali e le loro proprietà all'interno di una mentalità allegorico-simbolica che rimandava a un ordine sopranaturale, di cui la bestia è simbolo. Qualche secolo più tardi che cosa sono i bestiari e che cosa resta di quell'impianto? Molte discussioni si potrebbero aprire sulle ragioni di questa fortuna e durata secolare, tutte plausibili e forse nessuna esaustiva. Basterebbe ricordarci che se chiamiamo Dante il "padre della nostra letteratura", probabilmente ci siamo già dati una risposta con le tre fiere in cui ci imbattiamo nel primo canto dell'Inferno. Insomma, delle bestie, allegoriche o no, non si può fare a meno e ognuno di voi saprebbe fornire interessanti spunti di riflessione sul perché della longevità dei bestiari. Più difficile diventerebbe dire della trasformazione dei bestiari nel tempo e dei moventi che spingono in epoca post-human a comporre nuovi bestiari.
Ci collochiamo nel 1959, né nel Medioevo né nell'oggi, anno in cui esce postumo Il bestiario di Arturo Loria, numero 20 della collana "Biblioteca delle Silerchie" de Il Saggiatore (pp. 56, a cura di Alessandro Bonsanti, con una nota autobiografica dell'autore, volume reperibile ormai solo nelle biblioteche o dagli antiquari). Divagazione breve: sono davvero stupende le copertine della collana "Biblioteca delle Silerchie" (nel catalogo storico de Il Saggiatore qui) e non ho ricordi di collane dove sia così preponderante l'immagine rispetto al nome dell'autore e al titolo, relegati a una fascetta minima (addirittura manca un cenno al nome e al marchio dell'editore in copertina, accadimento raro). Nel caso de Il bestiario di Arturo Loria la copertina è opera di Balilla Magistri. Come noto la collana è stata rilanciata tempo fa, tuttavia, senza alcuna nostalgia per quella che fu e anche senza critica per l'operazione attuale di rilancio di quel "brand", vi invito davvero a scorrere il catalogo storico della prima "Biblioteca delle Silerchie" per comprendere come certi esperimenti editoriali siano irrepetibili, oppure replicabili con la consapevolezza di stare su un'altra scala e in contesti ormai mutati in lungo e in largo. La domanda, in senso editoriale, dovrebbe diventare circa questa: quando "conviene" ripescare qualcosa (un nome?) dal passato e quando "conviene" provare a inventarsi qualcosa di completamente nuovo? Con la "Biblioteca delle Silerchie" troviamo una fusione e sintesi di molte forze e esperienze in circolo allora, nei tanti campi del sapere e della ricerca scrittoria che accostava con una naturalezza mai più vista e sentita arte, filosofia, narrativa, saggistica, critica e anche la poesia. In questo quadro editoriale, la collana poteva ospitare il libro di poesie postumo di chi poeta non fu o non volle essere, di un altro autore passato ormai sotto il piagnisteo della ingiusta dimenticanza. Ai retori difensori degli "ingiustamente dimenticati" vorrei ricordare che contro l'oblio degli scrittori e delle loro opere esistono forse due rimedi pratici: 1) certe campagne pubblicitarie abbastanza onerose di rilancio ma non necessariamente efficaci e 2) tornare a leggere certi libri e a parlarne. Prima ancora di tornare a parlare, tornare a leggere. Questo quindi è un semplice invito a leggere Arturo Loria poeta, con due testi da Il bestiario. Il quadernetto azzurro contenente le sue poesie, acquistato a Parigi il 24 maggio 1952, presentava in certi casi più varianti dello stesso testo. La scelta della variante finita nel libro si deve all'amico e curatore Antonio Bonsanti, che con Loria e Montale diresse nel dopoguerra il periodico "Il Mondo".
LA MARMOTTA
Dormire, dormire nel chiuso del covo
per ridestarmi, consunta, da una morte
così sospesa e così dolce,
al primo soffio di primavera!
È nuovo il mondo, allora;
ma ripete i ricordi di passate stagioni:
[sole che offende gli occhi, cibo ottenuto
per caccia paziente].
Vengono cauti e feroci i maschi;
più tardi partorisco i figli inermi
e l'istruisco a vivermi lontano.
Il grasso fa lucente il pelo smorto;
però mai basta all'intimo comando
di più indossarne pel nuovo letargo.
Ecco: è già tempo. Si annunciano le nevi.
Scòstati. Voglio chiudere la tana.
Tu guardi i vetrici già rossi sul greto
e mesto mi sorridi e abbrividisci...
ma che accade di voi, mentr'io dormo?
L'ASINO
Calura e mosche intorno a te,
mentre il padrone contratta o beve.
Ma ecco l'evasione del tuo grido
che si sprigiona dalle mille pelli
di un mantice rotto di pena
nella piazza dell'erbe
e spazza l'aria d'ilarità.
Sei fermo tra gli orecchi, gli occhi fissi
alla cavalla baia. Il carrettino
proietta l'ombra di una nuova stanga.
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