È dalla lettura di Plausi e botte che cercavo un modo per proporre un post introduttivo all'opera di Giovanni Boine. Alla fine lo ha scritto chi è molto più competente in materia, Chiara Catapano, che ringrazio molto per il contributo che segue.
Giovanni Boine nel 1913 |
Chi partisse a conoscere
Boine dalla produzione poetica dei Frantumi,
com’è capitato anche a me, si troverebbe in grande imbarazzo, piuttosto
sconcertato e certo confuso, perché vedrebbe aperta davanti a sé una strada che
– contestualizzata agli anni in cui apparve – risulta chiaramente non ancora
battuta. Un sentiero vergine e ricco di nuove specie, che vorremmo sapere dove
porta senonché ecco! termina bruscamente e in mezzo ad intricatissima
vegetazione, con la morte dell’autore. Mappe per uscirne Boine, per quanto
incomplete, ce le ha lasciate: tutta quella produzione sommersa fino a pochi
anni fa, fatta di lettere, saggi, articoli e diari.
Un buon affare, per chi lo trova |
Giovanni Boine nasce a
Finale Marina, in Liguria, nel 1887. Vive l’ambiente della provincia e, spesso
in polemica con gli amici della rivista fiorentina la Voce, rivendica la sua appartenenza
a un ambiente culturale marginale ma vivo, spesso più lucido nei giudizi e
nelle intenzioni, come vuole dimostrare partecipando attivamente alla rivista
di Mario Novaro, la Riviera ligure.
Rivista questa senza programmi, e stiamo già registrando la prima bizzarria,
nell’epoca dell’impegno e degli “–ismi” serpeggianti tra gli intellettuali italiani
all’alba della I Guerra Mondiale. Ma proprio questo piace a Boine: libertà di
dire, disomogeneità dei testi, ampio respiro di contro al cappio dell’asservimento
a qualsivoglia programma. Partecipò anche alla Voce di Prezzolini, ma sempre in
polemica e pronto all’affondo dinnanzi alle virate alla dove va il vento, eccessivamente utilitaristiche della compagine fiorentina (“Chi è d’accordo mandi formale adesione per
lettera, chi no buona notte”). Ma certo è alla Riviera ligure che Boine affidò i suoi testi senza mai doversi
preoccupare di epurazioni e scontri ideologici. Nella rivista di Novaro, Boine
prenderà in mano la rubrica Plausi e
botte: pagina di recensioni “con gli
umori” dei libri contemporanei in uscita. Claudio Magris ha sottolineato a
tal proposito lo spessore di questa sua produzione, indicando in essa più un
libro di letteratura che sulla letteratura. Le recensioni sono 87, e Boine dà
giù più di botte che di plausi, senza peli sulla lingua e senza risparmiare
stoccate anche agli amici (e soprattutto a loro, poiché a loro teneva e non
sopportava i rammollimenti letterari di chi si sentiva già in cattedra) come
Soffici e Papini, quando percepiva in loro una piega al ribasso, un
intorpidimento che non ammetteva negli uomini d’ingegno. Apertamente divertenti
le critiche a libri che non meritavano molta attenzione; oppure volutamente
polemiche per “buttarla un po’ in caciara”
altre. Ma non vanno dimenticati gli articoli, ampi, di lucida presenza e
coscienza letteraria, dedicati a poeti allora sconosciuti che Boine veicolò
(per primo scoprì, mi vien da dire) come Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Dino
Campana, Vincenzo Cardarelli.
C’è pure nella sua produzione
il romanzo. Anzi, si può affermare che Giovanni Boine fu l’antesignano del
romanzo novecentesco, anticipando Italo Svevo e il suo Zeno. Giancarlo
Vigorelli ci ricorda che James Joyce, mentre a Trieste scriveva l’Ulisse,
teneva sul comodino Il peccato. Non è
un particolare irrilevante, e va collegato all’aspra polemica con Benedetto
Croce, alle cui teorie Boine opponeva la propria “estetica della simultaneità”.
Scrive Boine a proposito del suo romanzo Il
peccato: “L’intenzione generale era
di rappresentare quel lirico intrecciarsi di molto pensiero sulla scarsezza di
pochi fatti: quel continuo sconfinare della poca cronistoria esteriore nella
contraddittoria, nella dolorosa, angosciata complessità del pensare che è la
vita di molti e la mia”. La vita, questa la chiave in fondo di ogni sua
pagina: la vita e la regola, la vita e il canone, la vita e la tradizione. La
vita e la storia. E l’intreccio tra l’una e le altre, il groviglio doloroso la
cui soluzione per alcuni è la fede, per altri la legge. Ma Boine, che non
riesce ad esaurirsi in nessuna delle due dimensioni, sentirà per tutta le sua
breve esistenza la tensione tra i due poli, separati ma non distinti. E non
sappiamo quale soluzione avrebbe potuto tentare, se una ne avesse infine tentata;
siamo al punto di partenza, nello sconcerto e persi in un sentiero
d’intricatissima vegetazione.
Giovanissimo, intesse un
breve ma intenso scambio epistolare con Unamuno
(dicembre 1906 - marzo 1908) del quale tradusse il saggio “Inteligencia
y bondad” e recensì “Vida de Don Quijote y Sancho”, “Soledad” e “Plenidud de
Plenitudes”. Era quello il periodo modernista di Boine, della rivista
“Rinnovamento”, della lettura di Tyrell e von Hügel, dell’enciclica “Pascendi
dominici gregis” (8 settembre 1907) e delle scomuniche, della ricerca attiva e
partecipata al rinnovamento spirituale inteso nella sua dimensione comunitaria,
prima del ripiegamento verso una dimensione intima e soggettiva della fede,
come la descriverà nel suo saggio “Esperienza religiosa”.
Boine in un dipinto di Stefano Parolari |
Per questo, a mio avviso,
ancora più importante riscoprirlo ora, in un’epoca di estremo spaesamento,
crisi dei costumi, imbarbarimento con un portone aperto verso possibili futuri
che richiedono capacità di ragionamento, approfondimento, inventiva e
profondissima umanità.
Giovanni Boine si ammalò
di tisi negli anni del liceo, a Milano, e non vide il chiudersi della guerra; la
malattia lo costrinse all’inoperosità, all’indigenza e ad una morte precoce.
Morì il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio.
A chi desiderasse
conoscere l’autore e le sue opere mi sento di consigliare un inizio dal
ricchissimo epistolario (G. Boine, Carteggio, 5 volumi, a cura di Margherita
Marchione e S. Eugene Scalia, Roma, Edizioni di Storia della Letteratura)
arricchito di recente dal prof. Andrea Aveto (Giovanni Boine – Adelaide Coari,
Carteggio 1915 – 1917, Città del Silenzio, 2014), attraverso il quale è
possibile ricostruire l’uomo e il suo tempo, quasi respirarlo e viverlo. Ed
anzi di cuore io mi auguro che presto il piccolo cimitero di Porto Maurizio
possa conoscere nuovi amici che, senza enfasi retoriche, desiderino posare un
fiore sulla sua lapide.
Chiara Catapano
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