L'espressione "Pirandello poeta" dovrebbe subito collocare in un terreno insolito, dal momento che quasi mai si ricorda Pirandello per le sue poesie. A perlustrare la produzione in versi dello scrittore siciliano ci ha pensato Selene Gagliardi, che da poco ha pubblicato il saggio Pirandello poeta. Il verso come “serio comento a questa fantocciata della vita” (Augh!, pp. 172, euro 14). Le risposte che seguono rappresentano un'opportunità per tornare a parlare di questo lato. Si affrontano anche temi "spinosi" come quello dell'analisi testuale, tornato - almeno un po' - alla ribalta nei discorsi generali attorno alla poesia, all'analisi del testo e al modo in cui insegnarla.
Luigi Pirandello (1867 - 1936) |
R: In realtà dei veri e propri studi critici
sulla produzione lirica di Pirandello non sono mai partiti, o meglio non sono
partiti studi organici, essendo le analisi della poesia pirandelliana sempre
affidata all’iniziativa di singoli ricercatori appassionati alla materia.
Sicuramente sono pesati molto i giudizi negativi di due luminari della critica
letteraria novecentesca come Leone de Castris e Luigi Russo, che addirittura
additò i versi dell’Agrigentino come opera di “scolasticume”. Una nuova spinta
alla lettura del Pirandello lirico, tuttavia, si è avuta dopo la pubblicazione
di una raccolta complessiva delle sue liriche, curata da Manlio Lo
Vecchio-Musti e che prese vita nel 1960 (e non a caso nel ’66 e nel ’68 videro
la luce due monografie sull’argomento, a opera rispettivamente di Francesco
Bonanni e Vittoriano Esposito). Altro capitolo fondamentale è stato il convegno
internazionale organizzato dal Centro Nazionale di Studi Pirandelliani di
Agrigento, che nel 1981 venne dedicato proprio al Pirandello poeta.
Probabilmente fu quello il primo, vero studio sistematico delle raccolte in
versi dello scrittore. Da lì si accesero di nuovo i riflettori su una parte
dell’opera pirandelliana tanto poco studiata. Personalmente, per comporre
questo libro ho cercato di trovare una mia strada, evitando confronti diretti
con chi mi aveva preceduto nell’analisi.
LB: Come è nata l'idea di questa
pubblicazione?
R: Il progetto è nato quasi per caso,
trovandomi a sfogliare un volume degli anni Novanta che comprendeva tutte le
liriche, i saggi e altri scritti vari di Pirandello: si trattava di una
versione aggiornata della già citata raccolta a cura di Lo Vecchio-Musti,
contenuta nella famosa e prestigiosa collana dei Meridiani Mondadori. Aprendolo
e leggendone subito alcune parti, mi è venuto in mente che non avevo mai
sentito parlare di un Pirandello poeta e che quindi mi sarebbe piaciuto
approfondire l’argomento. Era il 2011 e a quel tempo stavo per laurearmi alla
Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma e perciò ho proposto al
mio relatore, Francesco Muzzioli, di affrontare il tutto in una tesi. In corso
d’opera ci siamo accorti della scarsità delle fonti critiche, per questo ho
tentato di fare analisi inedite sulle liriche di Pirandello. Una volta ottenuto
il diploma di laurea, ho rimaneggiato un po’ la dissertazione e inviato lo
studio a diverse case editrici. La proposta più convincente è stata quella di
Augh.
LB: Lo studio si struttura in due aree
principali: nella prima si analizza il percorso lirico di Pirandello, mentre
nella seconda si ricorre all'analisi testuale. Ultimamente, almeno tra gli
addetti ai lavori e con particolare riferimento a come si insegna la poesia a
scuola, si parla molto di analisi testuale. Quali sono gli strumenti e le linee
di forza attraverso le quali si è strutturata l'analisi testuale sul corpus
poetico di Luigi Pirandello?
R: L’analisi testuale viene abitualmente fatta
nelle scuole, per affinare la capacità critica dei ragazzi, ma in realtà in
ambito accademico è meno frequentata di quanto si potrebbe immaginare.
Raramente nel corso delle lezioni universitarie c’è il tempo per prendere in
mano un testo e farne una puntuale disamina, e d’altronde i saggi che
illustrino dettagliatamente dei testi non sono diffusissimi, in quanto si
preferisce dare spazio al resoconto dell’analisi o comunque andare meno a fondo
per poter affrontare più tematiche. Inoltre, in ambito accademico c’è anche una
disputa tra diverse scuole di pensiero su come approcciare un’opera, tanto che
la storia della critica letteraria vede più “schieramenti” contrapposti. A mio
avviso, tuttavia, è fondamentale tornare a leggere il testo direttamente.
Innanzitutto è necessario avere una buona base di conoscenza delle figure
retoriche, anche se potrebbe sembrare superfluo. Per me, al contrario, è stato
fondamentale: ad esempio, andando a leggere la lirica Meriggio, sulla scorta della retorica mi sono accorta che
Pirandello aveva operato un fittissimo ribaltamento degli stilemi poetici di
d’Annunzio (e in particolare della sua lirica omonima di qualche anno prima),
ribaltamento tutt’altro che evidente a una prima lettura dei versi. Per
ambientazione, lessico e metrica i due componimenti sembrano non accostabili,
eppure grazie all’analisi retorica è risultato evidente che Pirandello voleva
imitare il Vate, ma per opposizione, andando a scardinare punto per punto il
suo modo di fare poesia. Spesso la retorica ci mostra quello che i poeti non
vogliono dirci apertamente.
Georg Simmel (1858 - 1918) |
LB: Restano saldi in questa recente pubblicazione molti rimandi filosofici, che emergono anche affrontando il Pirandello poeta...
R: Pirandello è nato nel 1967, quindi gli anni
della sua gioventù e del suo sviluppo intellettuale li ha vissuti in un periodo
in cui imperversava la cosiddetta filosofia negativa (si pensi soprattutto a
Schopenhauer e Nietzsche, ma anche a Simmel e Bergson). A cavallo tra i due
secoli sono in particolare tre i lasciti filosofici che l’Agrigentino eredita e
rielabora: la concezione vitalistica del mondo, secondo cui la realtà sarebbe
un flusso in perpetuo movimento, in eterno divenire, per cui il reale è
ontologicamente disarmonico e contraddittorio; l’incapacità – derivante
direttamente dal primo assunto – per l’uomo di comprendere davvero ciò che lo
circonda, infliiggendogli continuamente un forte senso di smarrimento; la presa
di coscienza che anche l’uomo stesso altro non era se non un insieme di varie
personalità, continuamente in evoluzione, tanto che il concetto di identità, di
io, appariva a Pirandello ridicolo (e in tal senso grande importanza ebbero le scoperte
di Freud e di Binet, che portarono nello scrittore siciliano all’utilizzo della
metafora della maschera). Da qui la caduta di ogni ideale e di ogni convinzione
precostituita, così come la necessità di elaborare un’arte, quella umoristica,
che mettesse in risalto le contraddizioni e del mondo al di fuori di noi e di
quanto avviene dentro di noi. Ridendone di gusto.
LB: Non v'è dubbio sulla modernità
del Pirandello drammaturgo. In che misura la sua scrittura poetica illumina (o
è illuminata da) la sua scrittura di teatro o prosa?
R: Per comprendere in toto l’arte pirandelliana, bisogna considerare le date in cui le
varie opere del Maestro (così lo chiamavano i suoi collaboratori) furono
composte. Pirandello fu poeta costante nella prima fase della sua carriera
(anzi, iniziò come poeta e solo dopo l’incontro con Luigi Capuana si diede alla
scrittura in prosa). Eppure dal 1912 in poi l’Agrigentino non pubblicò più
sillogi in versi, dedicandosi interamente alla scrittura di teatro, romanzi e
novelle, lasciando alla lirica un ruolo marginale da un punto di vista
editoriale (ma non da quello sentimentale, tanto che in realtà Pirandello non
smise mai del tutto di comporre versi). La poesia, quindi, anticipa cronologicamente
la grande produzione drammaturgica e novellistica soprattutto, precorrendo le
tematiche fondamentali del Pirandello maturo (la caduta di tutti gli ideali,
l’impossibilità di credere in qualsivoglia divinità o principio precostituito,
una sorta di pessimismo di matrice leopardiana, la presenza dell’ipocrisia
nella società borghese, la necessità per l’uomo di vestire una maschera per
destreggiarsi nel mondo), ma mostra uno stile inedito rispetto all’umorista che
diventerà e contiene in germe dei temi poi poco sviluppati, come la passione
storica, l’amore smodato per la natura incontaminata, il bisogno d’amore.
LB: Vorrei chiudere con un passaggio dal libro.
Ma perché l’uomo, in un’epoca in cui si era accertata l’illusorietà del concetto classico di identità, non riusciva a rinunciare all’opprimente bisogno di velare il proprio indefinito volto con una deformante maschera? Pirandello fornisce una spiegazione di matrice esistenziale e sociologica: l’uomo comune non potrebbe mai sostenere la vertigine dell’assenza di una determinazione individuale, non potrebbe mai portare avanti la propria vita fronteggiando titanicamente la carenza di un senso ultimo dell’esistenza, non potrebbe mai accettare il distanziamento da quella società – che la rinuncia alla fossilizzazione in un’identità precisa comporterebbe – nella cui integrazione scopre la propria ragione d’essere. Ed esattamente come accade per i ragni, le lumache e i molluschi, condicio sine qua non per l’essere umano è possedere “un piccolo mondo […] per vivere in esso e per vivere di esso. Un ideale, un sentimento, una abitudine, un’occupazione – ecco il piccolo mondo […]. Senza questo è impossibile la vita”. L’umorista, allora, non può pascersi beatamente nel riso che una tale buffonesca condizione gli fa nascere spontaneamente sulle labbra, ma viene colto, immediatamente dopo, da un acuminato sentimento di compatimento per la miserrima vanità delle cose umane, alle quali comunque gli è impossibile aderire. Ogni uomo, del resto, soggiace non solo alla maschera identitaria che volontariamente si pone sul volto, bensì anche alle infinite categorizzazioni in cui a forza viene immesso dagli individui con cui entra in contatto. L’insieme delle classificazioni a cui ciascun individuo viene fatto corrispondere rappresenta la totalità di altrettante trappole, dalle quali qualunque esperimento d’evasione risulterebbe vacuo. L’autore, inoltre, individua una terza tipologia di maschera, per così dire “naturale” – oltre a quella sociale e a quella che ogni uomo si autoimpone –, che trova perspicuo riscontro nei versi della lirica su cui si sta ragionando: il reclusorio del corpo. (pp. 150-151)
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