7x7 è
una rubrica articolata in regolari uscite metrico-stilistiche nell'arco di
sette venerdì e dedicate ad un libro. Come non piangenti è il libro di
poesia di Cristina Alziati, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2011 nella
collana Gli Alianti, per il quale è stata scelta l'immagine emblema del
Vergesslicher Engel di Paul Klee. Le analisi sono tratte da un più ampio studio
di Alessandra Conte, dedicato a Cnp nel 2014.
Ricapitolazione
In una notte come questa, e lontana
qualcosa mi aveva inciso nella mente
come elenchi i nomi. lo da allora
quando chiamo la terra e la casa
la dolcezza il pane, e dentro
c'è una notte come questa, io
quando dico terra,
è disfarla, dico, la terra - è farla
- quando dico mattina ed è questa
in cui guardo Sofia andare a scuola
con altri bambini, e domando
dove ora saranno i bambini dei fuochi
i soldati bambini, quando dico
mattina, e quegli altri, con i loro
giocattoli-mina quando dico bambini -
In una notte come questa, e lontana
qualcosa mi aveva inciso nella mente
come elenchi i nomi. lo da allora
quando chiamo la terra e la casa
la dolcezza il pane, e dentro
c'è una notte come questa, io
quando dico terra,
è disfarla, dico, la terra - è farla
- quando dico mattina ed è questa
in cui guardo Sofia andare a scuola
con altri bambini, e domando
dove ora saranno i bambini dei fuochi
i soldati bambini, quando dico
mattina, e quegli altri, con i loro
giocattoli-mina quando dico bambini -
Il
significato del titolo di questa poesia, Ricapitolazione,
ne anticipa il tenore sia in termini di espressione che di contenuto. Il testo
infatti ridice e riscrive uno dei caratteri essenziali della poesia
dell’Alziati, già esposto implicitamente nella trattazione, e lo fa avvalendosi
della figura della ripetizione. Questa si realizza nell’ossessiva
riproposizione di frammenti di discorso volti alla precisazione, come quando chiamo, quando dico (ripetuto quattro volte, più una quinta con dico solamente) e dell’espressione
deittica come questa, che riconduce
alla realtà. Il primo verso indica al lettore una situazione notturna – simile
ad una che l’autrice ha già vissuto nel passato – in cui presumibilmente sia
coinvolto ed immerso: infatti è indicata con l’espressione come questa. Potrebbe sembrare un’apertura classica e cantabile,
che ad orecchio richiami una sera leopardiana, per la posposizione
dell’aggettivo che la qualifica, lontana,
tramite la congiunzione coordinante e
(«In una notte come questa, e lontana»). È una situazione non nuova, quella
notturna, in cui spesso l’Alziati stessa si trova nelle sue poesie, specie
nella prima sezione Vicoli, ed è
nella notte che si sente il grido di un
istrice e l’aculeo di una storia
si conficca, che vanno al suicidio i
piccoli, che si muove quella domanda
d’inferno, che si è soli e, infine, si scrive. Anche in quest’occasione si
ribadisce che qualcosa si è inciso: nella carne o nella mente non importa,
poiché i piani slittano. Si parla di parole, di nomi che si incidono.
Potrebbero essere anche gli elenchi dei nomi delle vittime di stermini celebri,
ma il caso specifico non è importante ai fini del messaggio. Ciò che conta è la
riflessione sui destini che le parole comuni assommano in sé. Ciò di cui si parla,
esplicitato nella seconda strofa, è dell’infanzia, racchiusa nel nome bambini e, con essa, di tutta la parte
di umanità offesa. È di fatto sulla condizione degli esseri inermi su cui si
posa lo sguardo qui. E una volta feriti, resi inermi – per il macigno che grava
sulla mente a causa di fatti biografici, che scivolando simboleggiano tutte le
ferite del mondo – il quotidiano nasconde sempre tra le sue pieghe dei punti di
buio, un lato oscuro. Così usare parole semplici e medie non è più facile
perché, dice l’autrice,
dentro c’è una notte come questa, io
quando dico terra,
è disfarla, dico, la terra – è farla
quando dico terra,
è disfarla, dico, la terra – è farla
È
come dire che ogni volta che si usa una parola la si mette in discussione, se
ne vedono gli antri oscuri dietro al senso comune pieno e positivo, come di «la
casa / la dolcezza il pane»: un elenco asindetico di parole medie che si
accumulano con facilità, ma non così scontate per l’autrice. Dunque considerare
tutte le variabili di realizzazione delle parole, significa anche guardare la
pervasività del male, farlo emergere – come in altre poesie – inaspettatamente
contiguo alla vita di tutti i giorni. Di conseguenza la mattina della seconda
strofa paradossalmente è la notte, e con un azzardo si potrebbe ricostruire a
ritroso il discorso così: «quando dico mattina» «c’è una notte come questa», e
da qui di nuovo si pensa alla mattina dell’esordio. E’ come dire: quando vedo
Sofia, vedo anche i bambini soldato e i bambini morti nelle guerre, come
succede a Sereni che, guardando la figlia, vede «l’angelo nero dello sterminio»
e «il bambinetto ebreo» invitato «al gioco del massacro» (nella raccolta Stella variabile),[1]o a
Pusterla, che associa l’immagine della figlioletta felice a quella «della
bambina schiacciata da un panzer a Gaza»[2].
La
forma segue il contenuto: solo il primo periodo è segnato dalla chiusura del
punto fermo, il resto del testo si articola in brachilogie frammentarie
coordinate in una continua iterazione di espressioni, quasi fosse un continuo
ragionare e riportare i pensieri della mente. Le due strofe sono apparentemente
simili per numero di versi (la prima di 8, la seconda di 7), i quali presentano
ampiezza medio-lunga. Tre di questi sono significativamente degli
endecasillabi: il verso 8, frazionato con lieve pathos dai segni di
punteggiatura, in cui si pone la questione di pensiero del fare e disfare le
parole, cioè di mettere in discussione i nomi («è disfarla, dico, la terra – è
farla»); il verso 10, dove si colloca la serena e prosaica immagine della
figlia che va a scuola («in cui guardo Sofia andare a scuola»); il verso 13 che
nomina esplicitamente l’altro lato della medaglia, i soldati bambini, invertendo la posizione di testa e usando due
plurali al posto della sequenza ordinaria del sintagma “bambini soldato”, usato
comunemente per indicare il fenomeno. Vengono qui sottolineate due diverse
prospettive, una più “occidentale”, per la quale dei bambini vengono sfruttati
nella guerra, e una più propria della vita di questi bambini, che in altre
latitudini geografiche sono attributo secondario all’essere principalmente
soldati. Lo stesso procedimento d’inversione, per sottolineare l’aberrante
realtà, l’Alziati usa con l’espressione giocattoli
– mina in luogo di “mine giocattolo”, per sottolineare che il diritto
dell’infanzia inerme sarebbe quello di essere spensierata e di giocare senza
rischiare la vita.
In
questo contesto è palese lo stordimento che il linguaggio, che nomina con
leggerezza, genera nell’autrice, che è costretta a ribadire io perché non riesce a capacitarsi di una tale semplicità, e si
chiede dove siano tutte le vite che una sola parola racchiude. Ancora una
volta, il mondo descritto e nominato con nomi comuni è segnato dall’instabilità
e dalla labilità, che è anche stilisticamente presente.
[1] VITTORIO
SERENI, Sarà la noia, in Poesie e prose, Milano, Mondadori, 2013,
p. 264.
[2] FABIO PUSTERLA, Le prime fragole, in Folla Sommersa, Milano, Marcos y Marcos, 2004.
[2] FABIO PUSTERLA, Le prime fragole, in Folla Sommersa, Milano, Marcos y Marcos, 2004.
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