martedì 18 aprile 2017

Passaggi. Italiani dal fascismo alla Repubblica. Intervista a Mariuccia Salvati

Librobreve intervista #79


Si intitola Passaggi. Italiani dal fascismo alla Repubblica ed è edito da Carocci (pp. 212, euro 19) l'ultimo libro di Mariuccia Salvati, docente di Storia contemporeanea all'università di Bologna. In collaborazione con Franco Baldasso, che insegna Italian Studies presso Bard College a New York, ho rivolto alcune domande all'autrice. Ci siamo soffermati sul percorso che l'ha portata a questa nuova opera e l'intervista è diventata un momento nel quale ricordare figure di primo piano della ricerca storica. Quasi involontariamente il tutto si è trasformato in un omaggio a Silvio Lanaro, storico dell'Università di Padova scomparso nel giugno del 2013, che desideriamo così ricordare. 

Cogliamo l'occasione per segnalare che giovedì 20 aprile alle ore 17:00 presso la Sala Igea di Palazzo Mattei di Paganica (Piazza della Enciclopedia Italiana, 4 - Roma) si terrà la presentazione del volume. Ne discuteranno con l’autrice Giuliano Amato, Marc Lazar e Renato Moro.

Silvio Lanaro
AC:. Il suo libro pone al centro il problema del linguaggio. Era un tema caro a uno storico come Silvio Lanaro, che dedicò ai problemi epistemologici del linguaggio e della scrittura storica addirittura un libro che è quanto di più lontano possa esserci dall'odierno furoreggiare dello "storytelling" (Raccontare la storia. Generi, narrazioni, discorsi, Marsilio, 2004). Come muta questo tema fondante del linguaggio nel suo libro, nei diversi decenni che prende in esame?
MS: Lei ha colto giustamente il legame del mio libro con Silvio Lanaro, che con il suo Retorica e politica (2011, pubblicato due anni prima della morte), è stato molto vicino ai miei pensieri mentre riflettevo sulla opportunità di procedere a una operazione come la raccolta di saggi sparsi. Con Lanaro siamo stati molto amici a partire dalla fine degli anni ’80; abbiamo collaborato insieme nella costruzione di reti come la Sissco (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea), nella selezione di giovani allievi (concorsi), in numerosi convegni. Vi è sempre stata una sintonia di fondo: direi la voglia di chiarezza, di intelligenza delle cose, oltre allo scarso interesse per l’uso politico della storia contemporanea. Vi era poi tra di noi (oltre alla profonda amicizia…) uno strano legame ‘culturale’ antecedente alla nostra collaborazione universitaria: entrambi abbiamo letto per tempo gli scritti di un intellettuale protagonista del ventennio fascista (e poi della sociologia del dopoguerra), come Camillo Pellizzi (citato in Passaggi): soprattutto gli scritti degli anni ’20, quando l’uso della retorica politica era rivendicato sulla stampa (in polemica con Gobetti) dal giovane intellettuale in funzione del fascismo. Il fascismo è stato prima di tutto (di questo era convinto anche Silvio) un linguaggio pubblico, un linguaggio retorico, cioè funzionale a una soggezione mentale delle masse e a una visione distorta della realtà: ce ne rendiamo conto ancora di più oggi.
Quanto alla sua domanda (se il tema del linguaggio muti nel libro): in realtà mi sono resa conto (ex post) che quel tema non muta e per questo il libro è un libro coerente. Il linguaggio rimane per lo storico lo strumento attraverso cui cogliere i cambiamenti: il linguaggio - dei testimoni, del corpo (la maschera), della folla, del leader – è prova, è testimonianza, ma può essere letto se lo si inserisce in un percorso di eventi che aiuti a coglierne il senso profondo. 

Marc Bloch
AC: Si percepisce nella sua prosa la necessità di un ritorno a un "fattore umano" nel mestiere di storico. Il richiamo a Marc Bloch è evidente, tuttavia potrebbe chiarire cosa significa davvero riportare il "fattore umano" dentro la ricerca storica? Da un punto di vista epistemologico e di metodo è qualcosa che può essere più facile a dirsi che a farsi...
MS: Lei ha colto benissimo quest’altro punto di sintonia con Silvio Lanaro. Per anni ho insegnato a Bologna Storia della Francia (nei primi anni del corso di laurea in storia si insegnava la storia dei singoli paesi europei, poi si passò a insegnare la storia d’Europa) e dunque la Francia tra le due guerre, il movimento operaio e figure come Marc Bloch e Simone Weil. Così Apologia della storia, La strana disfatta, La prima radice, erano testi di lettura quasi obbligatori per trasmettere il dramma degli anni Trenta e la permanenza di una cultura che non era solo antifascista, ma umanista e razionalista. Era un modo per contrapporre intellettualmente (e non ideologicamente) il filone della Dichiarazione dell’89 alla cultura dello stato fascista. Entrambi gli autori sono poi presenti – sempre per il loro richiamo all’uomo - nel capitolo su Amnistia e amnesia, cioè sulla guerra e sul come uscirne.

FB: Perché secondo lei questo periodo di transizione è stato oggetto di moltissimi studi storiografici negli ultimi 10-15 anni? Da Zunino a Liucci, da Focardi a Bistarelli, da Lanaro a La Rovere, da Luzzatto a Schwartz per citarne solo qualcuno.
MS: In realtà, come lei sa bene, questo periodo è stato oggetto di studi storici fin dall’immediato dopoguerra, ma con un focus diverso nei vari periodi: la resistenza, la RSI, la guerra civile (il libro di Claudio Pavone è un libro di storia di una guerra civile non solo tra corpi ma anche tra menti, spiriti, giudizi): ma è pur sempre una transizione, un passaggio. Quello che lei giustamente segnala per i decenni più vicini a noi è l’attenzione agli intellettuali, testimoni e protagonisti di quella transizione e per questo chiave di lettura della transizione. Credo che un ruolo importante come ‘segnalatori di incendio’ l’abbiano svolto i convegni organizzati per i decennali della resistenza) dagli istituti di cultura come la Fondazione Basso, il Gramsci, lo Sturzo (oltre che dagli istituti della resistenza), soprattutto negli anni ’90: è allora che viene meno, con la crisi dei partiti, anche la fiducia nella affermazione di una cultura diffusa e progressista. Mentre volgeva al termine il Novecento, si era davanti a un nuovo passaggio di cui non si conosceva (e non si conosce ancora...) l’esito. Per questo si tornò a riflettere su quegli anni interrogandosi se, quando e come il fascismo fosse stato mentalmente, ‘intellettualmente’ sconfitto.

FB. Secondo lei ci sono figure di quegli anni oggi ingiustamente dimenticate? Perché?
MS: Certamente molte altre figure, soprattutto di scrittori, meritano di essere ricordate, ma mi sembra che i nomi che cito siano già di per sé evocativi di altri che non cito, ma che si inseriscono in questo recupero. Consiglio a questo proposito una bella antologia di brani, Autoritratto italiano di Alfonso Berardinelli.

Ruggero Zangrandi
FB. Lei dedica un capitolo a una figura oggi poco ricordata ma la cui testimonianza ebbe un enorme impatto per la generazione del secondo dopoguerra, Ruggero Zangrandi. Ci può introdurre alla sua figura e dire perché a suo avviso è importante ancora oggi?
MS: Non so se sia importante ancora oggi. È certamente stato dimenticato, osteggiato, probabilmente frainteso. Ed è per questo che lo ritengo un po’ il simbolo di un passaggio non completamente compiuto (o forse impossibile da compiere) nell’immediato dopoguerra dal nostro paese. Zangrandi ha pagato duramente il suo essere stato da ragazzo il compagno di banco del figlio di Mussolini. Creò alla fine degli anni ’30 un gruppetto socialista di opposizione, fu incarcerato a Regina Coeli, ma nell’estate del ‘43, a differenza di altri prigionieri politici, non venne liberato e quindi fu portato dai tedeschi occupanti in Germania. Tornò due anni dopo, segnato per sempre da quella prigionia, si iscrisse al Pci, ma non incontrò, salvo pochi casi, veri amici in quel partito. Solo Togliatti lo difese, perché in fondo condivideva la battaglia che Zangrandi stava conducendo: cioè (oltre a testimoniare Il lungo viaggio attraverso il fascismo) quella di tentare di raccogliere l’adesione al Pci anche dei giovani che erano stati mandati da Mussolini a fare la guerra, senza conoscere nulla del fascismo e tanto meno dell’antifascismo (troppo lontano).

AC: E poi troviamo pagine molto belle su Nicola Chiaromonte. Quale lettura consiglierebbe a chi è non ha letto nulla di Chiaromonte?
MS: Nicola Chiaromonte è stato un grande intellettuale e un grande scrittore. Per questo ho voluto dedicare un suo testo politico-giornalistico inedito a Silvio Lanaro nel libro in suo onore (quello riprodotto in Passaggi). Di lui consiglierei la raccolta di saggi Credere e non credere. Ma si trovano quaderni di suoi scritti e saggi su di lui presso le edizioni Una Città di Forlì. Sempre da parte del gruppo di Una città è stata fondata la biblioteca Alfred Lewin, che ha il grande merito di aver messo in rete, a disposizione di noi lettori, un grande numero di opere e soprattutto riviste, legate a queste correnti intellettuali minoritarie nell’Italia degli anni ’50-‘60.

Giaime Pintor
FB: Una domanda sorta leggendo il libro: come si può fare storia intellettuale del Novecento in Italia in modo tale da aprire una conversazione con la più ampia storia intellettuale europea?
MS: Ma questa storia è già inserita nella storia intellettuale europea! Basta intenderci su che cosa sia la storia intellettuale europea. Pellizzi era un intellettuale europeo, non solo per la sua biografia (ha vissuto a Londra dal 1922 al ’39, insegnato letteratura italiana a University College - facendo allo stesso tempo propaganda fascista), ma anche per i temi che introduceva nel dibattito italiano, collaborava con le migliori riviste di cultura, di teatro. La svolta avvenne, per lui in senso fascista, e per molti altri giovani intellettuali in senso antifascista, circa nel ’38, con le leggi antiebraiche (del resto è a quella data che si avvia anche nel mondo cattolico, a partire dal pontefice, una presa di distanza dal fascismo). Così come lo era – intellettuale europeo -  Giaime Pintor che nell’estate del 43, prima di scegliere la resistenza rivede le note al Saggio sulla rivoluzione di Pisacane, e corregge la sua traduzione delle poesie di Rilke da appassionato germanista quale era. Credo che siamo stati, come intellettuali, più provinciali noi negli anni ‘70… Detto questo l’Europa tra le due guerre era un luogo terribile per viverci e pensare (basta leggere i Diari di V. Klemperer, e il suo La Lingua del Terzo Reich).

FB. Secondo lei è ancora possibile una qualche religione della politica quali furono a modo loro, e completamente diverso (il che non implica di sicuro un'equivalenza) le grandi ideologie del Novecento come Fascismo e Comunismo?
MS: Temo purtroppo che siano sempre possibili forme di accecamento della ragione, anche se non necessariamente per la politica: compito degli intellettuali dovrebbe essere quello di segnalarne i pericoli.

FB. Per finire una domanda apparentemente fuori tema, forse, ma che si collega al titolo del suo libro Passaggi: cosa pensa di Donald Trump? E di Angela Merkel?
MS: Ha ragione: il primo segna un vero passaggio su cui dovranno interrogarsi soprattutto (spero) gli storici americani del futuro, la seconda è storia nostra, europea, quella migliore, intendo e che spero sia destinata a durare (sono una convinta europeista).  

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