Che cosa c'era prima del Big Bang? Domanda legittima per il nostro cervello che produce il tempo assieme ai concetti di prima (e dopo). Ma se pensiamo che dal Big Bang è iniziata anche la "storia" del tempo così come lo conosciamo (o tentiamo di conoscere) la domanda comincia a vacillare o quantomeno a proiettare una luce diversa su quel qualcosa che per Kant era un a priori dell'esperienza assieme allo spazio (e a livello neuronale abbiamo scoperto che c'è prossimità tra quanto è deputato alla percezione del tempo e quanto è deputato alla percezione spaziale). Chiedersi cosa c'era prima del Big Bang è allora chiedersi cosa c'era prima della nascita del concetto di prima. Tutto cambia e il tempo stesso evolve, muta. Il tempo di oggi non è quello di una volta, verrebbe da dire, e tanto meno quello dei primi minuti dell'universo. Inoltre, allargando lo sguardo, il quadro cosmologico e fisico, semplificando drasticamente, risulta circa il seguente e chi legge libri di divulgazione lo sa: per il tempo non è un gran periodo all'interno della fisica moderna e non certo da oggi. La fisica quantistica pare abbia intrapreso un lungo percorso, a tratti convincente e persuasivo anche per chi la frequenta da esterno, volto a espungere il tempo dalla trama della realtà. In termini simili si esprime un fisico e divulgatore di successo come Carlo Rovelli. Non tutta la comunità dei fisici però concorda e chi ha anche solo preso in mano i libri del fisico statunitense Lee Smolin lo sa, perché Smolin pone un assunto di fondo che coincide con quanto ricaviamo dalla lettura del libro di Arnaldo Benini Neurobiologia del tempo (Raffaello Cortina, pp. 120, euro 14): non è possibile né opportuno prendere congedo dal tempo. La nostra domanda di partenza potrebbe allora essere anche un'altra: fino a quando saremo in grado di sostenere una teoria come quella del Big Bang e cosa succederà alla conoscenza umana, anch'essa risiedente nel cervello degli uomini, se questa teoria sarà abbandonata? Naturalmente non è questo il punto focale del libro di Benini, ma questo passaggio e la piccola provocazione in esso contenuta serviva a riportare lo sguardo sul cervello e sui risultati delle neuroscienze cognitive che Benini sintetizza con efficacia. Il suo percorso è diventato un libro scritto con una prosa che alterna significativamente il rimando alla letteratura scientifica e il riferimento alla nostra esperienza comune e diffusa del tempo e delle sue bizzarrie. Per fare un solo esempio, al di là di discorsi che si possono fare sull'inquinamento luminoso di uno stadio, nelle gare di atletica si usa tuttora per la partenza uno stimolo sonoro e non visivo, poiché reagiamo in minor tempo a potenti stimoli sonori. Così Usain Bolt si trova già proiettato in gara prima ancora di averne coscienza.
Arnaldo Benini, che è professore emerito di Neurochirurgia e neurologia presso l’Università di Zurigo, non è nuovo a simili affondi saggistici e ha scritto un libro breve e chiaro sul tempo e sul contributo neurobiologico alla comprensione di questo quid che da sempre chiama a raduno le intelligenze di filosofi, letterati, fisici e neuroscienziati. Per stare alla "nostra" letteratura, un campo caro anche a Benini e da sempre irretita e sedotta dal tempo, non è da escludere che la nozione di "temps perdu" usata da Proust per titolare La recherche fosse entrata nel suo radar grazie alla familiarità di certi studi del padre medico, in particolare con quelli di Herman von Helmholtz, che a metà del XIX secolo, studiando l'elettricità animale, scoprì il "tempo perduto" tra un evento e la sua coscienza (è infatti illusione la simultaneità tra evento e sua percezione e oggi si parla infatti generalmente di "tempo compresso", insomma, siamo sempre in ritardo e il presente stesso è presente ricordato). Attraverso capitoli brevi e ben calibrati Benini si mette al servizio di un lettore disponibile a percorrere le diverse immaginazioni attorno al tempo. In queste pagine il neurochirurgo passa attraverso realtà e illusione del tempo, le sue certezze e il suo enigma (come nel celebre adagio agostiniano sul tempo), la distinzione tra GT (tempo oggettivo, government time) dei fusi orari e degli orologi, manufatti dell'uomo, e PT tempo personale (personal time) nel quale "detta legge" l'affettività che fa vivere il tempo a ciascuno in modo diverso. Benini affronta anche in un capitolo dedicato la centralità del tempo negli studi sul linguaggio e sulla musica e non mancherà di interessare linguisti e musicologi. Efficace risulta in chiusura la rassegna della letteratura scientifica nei casi di lesioni o glioblastomi e molto belli sono i capitoli dedicati al mondo animale e al senso del tempo che permane anche nel caso di non-coscienza dato dal sonno.
Per tornare al quesito del titolo, secondo l'autore "non è possibile né opportuno prendere congedo dal tempo", neanche a seguito delle pressioni del mondo fisico. Pare paradossale il contesto contemporaneo, dove se da un lato troviamo la scienza fisica che prova, nel suo studio delle relazioni tra corpi e particelle, a spingere fuori il tempo, dall'altro riscopriamo continuamente i sensi del tempo per provare a sentire e capire qualcosa che sta dentro la natura (natura tout court, non natura umana). Ogni scienza, nel tempo (tocca dirlo), tende a creare una curiosa sovrapposizione con gli strumenti concettuali di cui si è servita per studiare il proprio oggetto e un senso quasi felice di profonda incompletezza, che non è da intendersi come rinuncia (tanto meno rinuncia dell'avventura scientifica) inizia finalmente ad abitare in noi. Potrebbe essere un nuovo scenario assai fecondo. Aspettiamo. Per Richard Feynman, fisico, il tempo è quello che succede quando non succede niente.
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