domenica 17 settembre 2017

Filosofia del surf secondo Frédéric Schiffter: l'amore è una cosa, i progressi nel surf un'altra

Chissà se il surf è uno dei pochi contesti in cui la parola 'tunnel' ha connotazioni positive. Il tunnel dell'onda è senza dubbio uno dei momenti d'estasi per chi prova a cavalcarla su tavola. Mi domando questo tanti anni fa, in una cittadina del Portogallo, Ericeira ("che si pronuncia quasi come il vostro ieri sera", precisa al telefono il mio ospite, svizzero di origini iraniane che a Ericeira è per lavoro, come me, anche se lui in pianta stabile). Siamo in ottobre; la mattina, quando non è ancora chiaro, ben prima delle riunioni di prodotto tenute sveglie a capsule di Nespresso, si va a surfare. Ci sono anche due possenti inglesi nel gruppo e hanno l'aria di essere i più bravi. L'oceano è entrato per tutta la notte dalle larghe finestre delle camere dell'albergo e le tavole sono belle prima di bagnarsi, in quel poco buio che degrada sempre più, mentre si cammina verso tutta quell'acqua. Quanta acqua. Quello è un posto ricercato da chi ama il surf, si sa, ma anche dalle aziende che vogliono darsi una connotazione surf nel loro periodico "international meeting". Mi è capitato di ritornare su questo ricordo leggendo più passaggi del piccolo libro Filosofia del surf del filosofo surfista amatoriale Frédéric Schiffter (Il Melangolo, pp. 104, euro 8, traduzione di Marta Albertella). Sono per me difficili da affrontare i libri che appiccicano la parola filosofia a qualsiasi cosa. Potrebbero essere assimilati a un genere editoriale, ma se è così io vorrei leggere anche una breve Filosofia del bagnoschiuma. Il Melangolo pare avere inaugurato una piccola serie acquatica, se pensiamo al bel libro di Carola Barbero, filosofa, intitolato L'arte di nuotare. Meditazioni sul nuoto (di cui si è parlato in questa intervista). I precedenti di libri che mescolano filosofia, arte e sport sono illustri, si pensi solo a L'ombra del Massaggiatore Nero di Charles Sprawson. Ad ogni modo, vinta questa resistenza iniziale, il libro di Schiffter vince la sua scommessa. La vince per come delimita il proprio progetto (non esiste una metafisica o un'etica del surf e la parola 'filosofia' del titolo non deve quindi ingannare), convince per passo e strutturazione dell'esposizione (tra l'altro l'edizione francese titolerebbe Petite philosophie du surf). L'autore dice di rivolgersi ad appassionati di meditazioni balneari e potrebbe essere questa una buona chiave per un ufficio stampa che deve lavorare alla promozione del libro. Naturalmente non c'è solo il balneare, ma al fine di entrare-per-uscire in certi giornali serve un Cavallo di Troia, si sa come funziona (l'agenda-setting della macchina dell'editoria è però micidiale e esiziale talvolta, non mi riferisco a casi come questo ma ad altre situazioni per le quali vale il principio dello "stendere un velo pietoso"). Poiché l'estate è ormai finita, secondo me il momento è ancora più giusto per darne notizia in questo posto.

Il libro è ricco per quello che dice circa il surf e la sua tecnica, le parole per dirla, la storia della disciplina, gli incroci con la filosofia e l'estetica in particolar modo, le considerazioni sul rapporto tra onde dell'oceano e diverse popolazioni del globo terracqueo. Non assomiglia a quei libri in cui si tenta di nobilitare uno sport con un susseguirsi di citazioni colte, anche se le citazioni e i rimandi non mancano. Lo sanno tutti - e stavo a Ericeira per questo, alla fine - che attorno al surf gira un'industria abbastanza grossa con tutto il suo indotto, persino quello modaiolo che non ha niente a che fare con tavole e onde ma solo con le t-shirt e le infradito. Però, come per lo sci e altri sport, non v'è bisogno di nobilitare con un libro proprio alcunché, semmai c'è bisogno di capire cosa evocano o attivano delle suggestioni mentali quando si scorre con una tavola attaccata ai piedi sull'acqua. Questo è un pensiero che Schiffter ha fatto e proprio grazie a questa consapevolezza il suo libro non ha tracce di ingenuità o, peggio ancora, di autoconvincimento e autocompiacimento. Che poi il suo trasporto per il surf nasca da una donna e da un innamoramento lo mette in chiaro sin da subito, precisando anche che "l'amore è una cosa, i progressi nel surf un'altra". Ma si sa come vanno anche queste cose, nessuna sorpresa. Comunque, se lo spazio è davvero la chiave per qualsiasi emozione, lo sport triangola continuamente con spazio e emozioni, a prescindere da tutti i discorsi che si possono fare sull'industria che gira attorno a ogni sport. Insomma, avete presente Goffredo Parise quando descrive le sciate sulle Dolomiti? O anche, per stare a autori vicini a noi, come Simone Marcuzzi descrive il formidabile esercizio agli anelli di Jury Chechi alle Olimpiadi di Atlanta? Lì si parla di sport, non di affari milionari (tra l'altro lo sport, questo grande contenitore sovranazionale, è curiosamente trascurato dall'industria del romanzo, almeno mi pare, e se è vero questo fatto la situazione è quantomeno strana). Cerca di parlarci dello sport anche Schiffter, che non è certo ingenuo, nemmeno quando centra subito la questione del paesaggio marino e della natura come finzione poetica. Ad un certo punto lo scrive: l'esercito di fotografi di paesaggi che siamo diventati, specialmente in estate, è solo un (indegno) erede di chi ha isolato questa finzione poetica per primo (i grandi pittori, fondamentalmente). Per di qui arriva una considerazione attorno al sublime dell'onda, e da qui vengono i paragrafi come quello su Defoe: l'odissea interiore del Robinson Crusoe nell'isola fissa per sempre il nuovo miraggio dell'esotismo della solitudine. Il libro è strutturato in brevi paragrafi che vanno a schiantarsi sull'entusiasmo (in senso etimologico) del surfista e perfino sulla sua hybris. La sua onda e il tunnel non sono però metafore di nulla. Il surf è puro dramma, ogni onda che si avvicina è agli occhi e ai piedi di chi l'attende solo un avvenimento gravido di incertezze. Filosofia del surf è un libro breve con poca filosofia e grande temperamento. Mi è parso, tra le altre cose, un bel contraltare a tutta l'accozzaglia di titoli sulla montagna e la "viandanza" che esce in libreria da un po' di anni a questa parte. Chissà che dia una bella equorea spazzata a quell'accozzaglia, che mostri come si può parlare di paesaggi, natura e movimento con intelligenza, senza formare nuove scuole, tendenze o correnti di pensiero. Del marketing che si eleva a filosofia totalizzante o, peggio ancora, che cavalca uno spettro di spiritualità proprio si deve iniziare a fare a meno.

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