sabato 25 novembre 2017

"Nabokov e la sua Lolita" di Nina Berberova: sulla catarsi e sul doppio

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #38


Il 2017 marca il quarantennale della morte di Vladimir Nabokov (Pietroburgo, 1899 – Montreux, 1977). Di novità vere e proprie sinora si conta solamente l'opera giovanile La gloria, tradotta di recente da Franca Pece per Adelphi, e davvero poco altro. Dell'autore di Lolita e in particolar maniera proprio di Lolita è utile ricordare un libretto di Nina Berberova uscito da Passigli nel 2002 e ancora in commercio. S'intitola Nabokov e la sua Lolita (pp. 64, euro 7,50, a cura di Silvia Sichel). Negli ultimi tempi fra l'altro si è parlato molto di Rivoluzione d'Ottobre, per ovvi motivi legati agli anniversari e, a guardare bene, quanto accomuna i destini individuali di Berberova e Nabokov è aver lasciato la Russia in seguito a questo avvenimento. Nina Berberova, di due anni più giovane di Nabokov, gli dedicò questo breve scritto nel 1965, vale a dire a dieci anni dall'uscita parigina del romanzo più celebre e discusso di Nabokov. Il breve scritto si apre con una sguardo d'insieme sulla letteratura del Ventesimo secolo, momento in cui si delinea una sorta di "sistema periodico letterario" dove ogni opera si sviluppa secondo quattro elementi e assi essenziali, che costituiscono il prerequisito per parlare di qualcosa di grande della contemporaneità. Questi sono l'intuizione di un mondo frammentato (già all'origine dell'idea stessa di romanzo, verrebbe da aggiungere), l'apertura delle chiuse dell'inconscio, l'ininterrotto flusso di coscienza e la nuova poetica derivante dal simbolismo. Ognuno di questi assi si può trovare secondo Berberova in opere dei secoli passati, ma è solo nel Novecento che questa configurazione molecolare stabile diventa essenza di ogni opera che possa ambire a definirsi "grande". Di qui parte anche il suo ragionamento su Lolita.

L'intuizione fondamentale di questo scritto sta sia nell'introduzione generale ripresa poco sopra ma anche nel saper mostrare come Lolita sia un (altro) grande libro sul tema immane del doppio: dal doppio nome Humbert Humbert alla doppiezza del nemico che si prova ad eliminare. Doppio e catarsi appaiono come i binari principali della trattazione di Berberova. Per la scrittrice, prima di Nabokov era impossibile trovare traccia di catarsi collegata all'intuizione della frammentarietà del mondo, mentre con Nabokov e con Lolita in particolar modo avviene quello che non si era mai verificato prima: la catarsi non contraddice l'intuizione della frammentarietà del mondo ma "la sostiene e le dà senso". Centrale in tal senso resta l'analisi di Humbert Humbert e del punto di svolta del romanzo dato dalla morte della madre di Lolita. È qui che si insinua al massimo grado il tema del doppio e che la confessione di Humbert ha luogo (in carcere):
In questo mondo dove si può tutto, dove in verità tutto è possibile basta che non si sappia in giro, in un mondo dove non solo nessuno crede in Dio, ma nessuno si chiede se esista o non esista, in questo mondo dove con gran facilità ci si nasconde in spazi immensi, dove nessuno è obbligato a rispondere delle proprie azioni, dove la coscienza non ha più voce - perché in assoluta solitudine a che serve la coscienza? -, in questo mondo improvvisamente comincia il mistero della pietà, il terrore davanti al quale quanto è stato fatto prende a far sanguinare la coscienza fintanto che tutto non si conclude con una lotta selvaggia con se stessi.
In questo mondo così tratteggiato Nabokov restituisce una catarsi. Nelle pagine conclusive Berberova inizia quasi a dividere con l'accetta, separando, nel mondo della letteratura contemporanea, gli scrittori che hanno abolito la catarsi e gli scrittori che l'hanno risuscitata, con Nabokov in prima fila tra questi. Per Berberova Nabokov è uno autore che, come Joyce, "fa maturare il mondo", per quanto poi non tralasci di scrivere pagine essenziali e giuste sulle oggettive difficoltà di avvicinare opere come quelle di Joyce o Proust. Il breve saggio di Berberova riprende opportunamente sul finire le frettolose considerazioni di Sartre su Nabokov e "l'antiromanzo". Per l'ingombrante intellettuale francese, fautore di una "letteratura di idee" tenuta invece in spregio da Nabokov, l'autore di Lolita esercitava un effetto distruttore interno al proprio libro. Sartre pare quindi più interessato a liquidarne subito certi effetti, senza riconoscerne la grandezza, salvo poi rifarsi a Nabokov e a quanto lei chiama La spia - e che per noi lettori italiani è meglio noto con il titolo L'occhio (a proposito, sugli interessanti traduzione di questo titolo si veda questo documento di Irina Marchesini) - e l'influenza che quest'opera ha avuto nel teatro di Sartre.

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